Apple contro Pegasus: è giusto che siano le aziende private a decidere i limiti della sicurezza?

Apple fa causa alla società israeliana Nso per fermare lo spyware. Ma cosa accade quando sono le aziende private a decidere i limiti della sicurezza nazionale, invece di affidare questo potere ai parlamenti e alla società civile? di Andrea Monti – Inizialmente pubblicato da Wired.it

Quello di Pegasus, lo spyware israeliano della società di matrice governativa Nso Group, che sarebbe stato utilizzato anche nei confronti di attivisti e giornalisti, non è il primo caso di aziende private coinvolte dalle istituzioni di un Paese per sviluppare e utilizzare sistemi di sorveglianza di massa. Il caso di Hacking Team è senz’altro il precedente più illustre e presenta molti punti di contatto la vicenda del software israeliano. 

Entrambi hanno suscitato polemiche per i livelli di invasività della sorveglianza che consentono agli Stati, ma trascurano il fatto che la sorveglianza è una componente strutturale di qualsiasi Stato, anche il più democratico, e che le operazioni di intelligence nei confronti di altri Paesi, amici e non, sono all’ordine del giorno. L’ultimo fatto balzato agli onori della cronaca riguarda le operazioni clandestine francesi in Egitto, ma volendo approfondire, la lista sarebbe lunga e imbarazzante. Molti sono gli interrogativi suscitati da questa vicenda, ma il principale è cosa accade quando sono le aziende private a decidere i limiti della sicurezza nazionale, invece di affidare questo potere ai parlamenti e alla società civile.

Gli aggiornamenti del caso Nso 

L’ultimo atto (anzi, gli ultimi due) della vicenda Nso sono l’invio di un amicus curiae scritto da Google, Microsoft, Cisco, Linkedin e Vmware nella causa fra Nso Group e Whatsapp e l’annuncio di Apple dell’avvio di un’azione legale contro Nso Group. In entrambi i casi, il nucleo degli argomenti sostenuti dalle  big tech è che questo spyware, non importa se utilizzato su indicazioni di uno Stato, lede i diritti civili degli utenti, o meglio, come si legge nel comunicato di Apple, dei clienti. 

La tutela dei diritti civili a due velocità 

Dunque, ed è il primo punto fermo, l’interesse (più che legittimo) di queste aziende è innanzitutto la protezione del loro mercato. In altri termini, la “protezione della privacy” dei clienti da intrusioni esterne è funzionale alle necessità commerciali e non al rispetto in quanto tale dei diritti della persona. Per esempio, la stessa Apple è stata oggetto di critiche per le scelte commerciali nei rapporti con la Cina, i sistemi operativi Microsoft sono utilizzati in Iran anche in strutture carcerarie nelle quali sono stati violati i diritti dei detenuti senza che siano stati adottati provvedimenti e Google deve gestire critiche severe da parte della società civile a proposito del modo in cui progetta i servizi

 

Ancora una volta, non è in discussione il diritto di un’azienda di tutelare i propri investimenti, ma ci si dovrebbe chiedere se questo diritto può essere esercitato fino al punto di sostituirsi alla società civile e al legislatore per stabilire quali siano limiti e contenuti di un diritto fondamentale. La privacy non equivale a that’s none of your business —non sono fatti tuoi— lo slogan con il quale veniva reclamizzato uno smartphone, e non necessariamente viene tutelata da Vpn commerciali pur presentate come “idonee” allo scopo.

Le aziende private e la sicurezza nazionale

Analogamente al potere di definire cosa sia un diritto fondamentale, la reazione delle Big Tech al caso Nso evidenzia che per proteggere i propri interessi stanno adottando un approccio analogo a quello adottato verso la privacy, ma questa volta orientato alle indagini penali e alla sicurezza nazionale. Nel 2016 fece molto rumore il rifiuto opposto da Apple all’Fbi di cooperare per decrittare un iPhone utilizzato nella strage di San Bernardino e più recentemente ha sollevato molte proteste la scelta (poi rinviata) di introdurre  in iOS un sistema di client-side scanning per la ricerca e la segnalazione di immagini pedopornografiche. Ora il paletto viene spostato più avanti e dopo la prevenzione criminale e le indagini penali è, appunto, la sicurezza dello Stato a diventare oggetto di negoziazione fra istituzioni pubbliche e aziende private.

Un equilibrio impossibile?

In termini di crudo pragmatismo, è impensabile che uno Stato, qualsiasi Stato, possa ridurre o addirittura cessare il ricorso a sistemi di sorveglianza, che sono connaturati alle attività per la tutela della sicurezza dello Stato. È anche difficilmente ipotizzabile che questi sistemi possano essere gestiti senza il ricorso ad aziende private, più o meno esplicitamente legate al mondo istituzionale.

I meccanisimi di controllo sul modo in cui operano gli apparati dello Stato e la diffusione di un controllo grassroot promosso da giornalisti, gruppi di cittadini e attivisti dei quali Wikileaks è l’esempio più noto ma non l’unico sono stati, fino a ora, un rimedio migliorabile ma efficace per definire i limiti dei poteri dello Stato. La reazione delle big tech nel caso Nso, tuttavia, cambia le regole del gioco e fa entrare in campo dei soggetti la cui agenda non necessariamente coincide con quella di cittadini e istituzioni. E ripropone in modo drammatico la tradizionale domanda che aleggia senza risposta oramai da secoli nelle stanze del potere e negli incubi dei cittadini: quis custodiet ipsos custodes? Chi controlla, veramente, i controllori?

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