Le ragioni di Peter Doshi sui vaccini: “Fidati, ma verifica”

La richiesta (negata) di Peter Doshi dell’accesso ai dati grezzi della sperimentazione sui vaccini pubblicata sul British Medical Journal è l’esempio che fa da spunto per la riflessione sul delicato rapporto tra scienza e media di Andrea Monti, professore di Diritto dell’ordine e della sicurezza pubblica dell’Università di Chieti-Pescara.  Originariamente pubblicato da Scienza in rete

Chi pratica il metodo scientifico ha la testarda abitudine (incomprensibile ai più) di trarre conclusioni dall’analisi di dati secondo i criteri di un’ipotesi di ricerca e applicando un metodo che consente la verificabilità intersoggettiva dei risultati. Questo atteggiamento mentale è diametralmente opposto a chi basa le proprie opinioni e—peggio— decisioni sulla “fiducia” (spesso tramutata in “fede”) e dunque sull’autorità di eminenze varie. Non discuto questo atteggiamento nell’ambito religioso; ma in quello laico, quello della scienza, sì. Se un dogma esiste, nella pratica del metodo scientifico, è quello della metodicità del dubbio, insieme a quello dell’assenza di certezze. Un teoria sperimentalmente verificata vale fino a quando vale. È successo, tanto per fare un esempio su cui la competenza trabocca al di fuori dei laboratori, con la gravitazione di Newton e la meccanica quantistica.

Questa lunga premessa serve per esprimere qualche perplessità sull’approccio giornalistico al metodo scientifico che in quest’ultimo anno ha caratterizzato i media generalisti in relazione alle complesse questioni poste dalla pandemia. L’ultimo esempio (ma non certo l’unico né l’ultimo) è rappresentato dalle reazioni alla richiesta (negata) di consentire l’accesso ai dati grezzi della sperimentazione sui vaccini formulata alle autorità competenti da Peter Doshi, un professore universitario statunitense che ha pubblicamente spiegato i motivi che lo spingono a rileggere i dati sull’efficacia dei vaccini. In sintesi, la posizione di Doshi è espressa da un vecchio proverbio russo, poi ripreso anche dall’allora presidente americano Reagan: ???????, ?? ????????. Trust but verify . Fidati, ma controlla.

Non c’è niente di male, dunque, nel voler “santommasianamente” toccare con mano i dati che hanno consentito di valutare nel quasi 100% l’efficacia dei vaccini che si stanno somministrando in queste ore. Se Doshi avesse ragione, infatti, dovrebbero essere immediatamente adeguate le politiche di vaccinazione (e i relativi costi) per compensare la minore efficacia dei vaccini. Anche solo in nome di un principio di precauzione, tante volte invocato a sproposito, una verifica indipendente sulle percentuali di efficacia dei vaccini sarebbe un utile strumento per orientare le scelte dei decisori (che, intanto, bene fanno a continuare con la vaccinazione di massa).

Curiosamente, la posizione espressa dal professor Doshi è stata criticata non su basi scientifiche (che so: errori di metodo, ambiguità negli obiettivi da raggiungere, utilizzo di software e strumentazioni inadatte) ma dell’opportunità politica e del principio di autorità. Cioè su presupposti diametralmente opposti a quelli di una critica tecnica. Allo stesso modo, le posizioni del docente americano vengono utilizzate per fargli dire, o meglio, per far dire al British Medical Journal che ha ospitato l’articolo di Doshi, che i vaccini autorizzati sono meno efficaci di quanto dichiarato (salvo poi specificare che in realtà si deve attendere ancora del tempo per saperlo). 

Infine, ma forse prima di tutto, l’articolo di Peter Doshi non avrebbe dovuto suscitare tutto questo interesse perché la vera notizia sarebbe stata la pubblicazione delle conclusioni del suo studio, non l’annuncio di volerlo iniziare.

Intendiamoci, Doshi non è Giordano Bruno né Galileo. Nessuno gli pianterà un chiodo in gola per non farlo parlare né lo ostracizzerà fino a farlo ritrattare. Fra qualche giorno i media si dimenticheranno di questa non-notizia per dare spazio all’ennesimo “uomo che morde il cane”, e via così. Altrettanto curiosamente, i media generalisti hanno, invece, ignorato questioni importanti sulla ricerca per il vaccino contro il Coronavirus, come quelle sull’importanza della sperimentazione animale e sul modo in cui la confusa normativa italiana rallenta la ricerca.

È ovvio, ma inevitabile, constatare che parlare di scienza è cosa molto delicata, da maneggiare con estrema cautela anche da parte degli addetti ai lavori, come spiega bene Giovanni Boniolo su Scienza in rete. Essere un professionista della comunicazione non implica automaticamente il dono dell’onniscienza. Dall’altro lato, ricercatori bravissimi fra le mura dei loro laboratori non sono per questo qualificati a “fare comunicazione”, un mestiere per il quale non sono preparati e che, se mal praticato, può avere conseguenze gravissime. Gli esempi sono sotto gli occhi di tutti da tempo, da quando medici e ricercatori sono diventati presenze costanti in telegiornali e talk-show, trasformati da “tecnici” in “opinionisti” anche su questioni sulle quali non hanno una autorevolezza particolare. È la rivincita dei geek. Di quelli che hanno passato una vita in laboratorio, ignorati dai “tipi giusti” e che non si fanno capaci del fatto che, finalmente, qualcuno si è accorto di loro. Sono inebriati dal fatto che, finalmente, nell’Olimpo della fama siedono a fianco di soubrette e calciatori.

Ma questo è un altro articolo.

 

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