Vaccino Pfizer, la percezione della sicurezza e la sicurezza della percezione

di Andrea Monti – originariamente pubblicato da Infosec.News

Nella protezione di obiettivi sensibili la percezione della sicurezza —il fatto che malintenzionati e vittime potenziali siano consapevoli dell’esistenza di misure difensive— gioca un ruolo fondamentale quanto la sicurezza della percezione, cioè la corrispondenza fra il livello di protezione percepito e la sua effettiva capacità di svolgere la funzione.

In un sistema ben progettato questi due elementi interagiscono in modo virtuoso. Viene identificata una minaccia, sono predisposte delle difese efficaci, e queste ultime sono percepite come tali. Il risultato è che gli aggressori sono disincentivati dal attaccare il castello, e coloro che vi abitano possono vivere tranquilli. 

Quando, invece, mancano misure efficaci, si spezza il legame fra percezione della sicurezza e sicurezza della percezione. Si possono inondare giornali, televisioni e siti internet con dichiarazioni roboanti sostenute dal “massimo esperto” di turno sull’adozione di questo o quel sistema miracoloso che “tiene lontani i cattivi” o sull’importanza del “fattore umano”. Poi, però, la realtà dimostra la solita antipatica attitudine a smentire sistematicamente chi spera che basti generare sicurezza percepita perché quella vera si produca automaticamente.

A volte questo meccanismo è frutto di crassa ignoranza, incompetenza o malafede. Altre volte è una comprensibile reazione psicologica di fronte a situazioni più grandi di noi, nelle quali dobbiamo necessariamente trovare un modo per farci forza. Autoingannarsi, tuttavia, può servire nell’immediato per darci una iniezione di fiducia a rapido assorbimento ma è un placebo. Alla lunga, infatti, è una terapia che non funziona.

In proposito, le reazioni e i comportamenti che si stanno registrando da parte dei media attorno alla somministrazione del vaccino Pfizer offrono un interessante spunto di riflessione.

Un’infermiera, scrive Repubblica.it si vaccina contro il COVID e, per il fatto di essere la prima americana assume uno status iconico in base al quale i media la eleggono a “oracolo per un giorno”. E da oracolo la signora vaticina che “C’è una luce in fondo al tunnel” e, a proposito del vaccino, che “Mi sembra un vaccino come tanti altri”). 

Se la prima è una variante dell’italico “andrà tutto bene”, la seconda è una frase priva di senso perché evidentemente il contesto non consente affermazioni del genere. La signora non è uno scienziato, non ha ricevuto il vaccino nell’ambito di una sperimentazione, e il fatto che quello Pfizer sia un vaccino come gli altri non significa, astrattamente, nulla perché questo, come anche gli altri “può avere effetti collaterali anche gravi”.

La realtà è che, come tutte le terapie, anche il vaccino Pfizer avrà effetti che potremo studiare soltanto grazie al trascorrere del tempo. È anche vero, tuttavia, che non possiamo permetterci il lusso di aspettare. Siamo dunque stretti fra due estremi: da un lato si trova la cieca fiducia nella scienza che porta acriticamente ad accettare qualsiasi cosa venga presentata da una persona che indossa un camice, Dall’altro c’è l’altrettanto miope convinzione che la medicina non curi ma guarisca, e che ci spinge irrazionalmente e contro la realtà dei fatti ad esigere che il vaccino funzioni sempre e comunque.

In un contesto del genere, i media stanno facendo l’unica cosa possibile nel breve periodo: costruire la percezione di una sicurezza “solida” anche se, in concreto, non è e non può essere così. 

Quello che bisognerebbe chiedersi, a livello di sistema, è se questo accade per senso civico, per vendere copie e click, o per dare seguito a “veline” di varia provenienza. Se la risposta fosse “un insieme di questi elementi”, allora sarebbe utile e doveroso conoscere in quali proporzioni i componenti di questa strategia stanno —letteralmente— influendo sulla nostra vita di individui e di specie. Ma è un’informazione che al momento non è disponibile. Di conseguenza, alla prova dei fatti, non possiamo che sperare in una prossima indagine di Report, il che è tutto dire.

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