Ha senso pignorare un Ip?

La decisione di una corta olandese apre prospettive del tutto nuove sul futuro della governance di internet a livello globale di Andrea Monti – Originariamente pubblicato da Wired.it 

Il 2 ottobre 2020 il Ripe, il Regional Internet Registry che assegna i numeri Ip in Europa ha comunicato di avere eseguito il primo trasferimento di Ip a seguito di un provvedimento emesso da una corte olandese. Nello specifico, la corte ha riconosciuto che un Ip —o meglio, il diritto a registrarlo— ha un valore economico e pertanto può essere “pignorato” come qualsiasi altro bene materiale o immateriale e messo all’asta. Per capire l’importanza di questa decisione è necessario descrivere brevemente il modo in cui funziona l’internet governance delle risorse necessarie a “tenere in piedi” la rete.

Come funziona l’internet governance
Ogni computer collegato ad una rete Tcp/Ip (comunemente nota come “internet”) è identificato da una sequenza di quattro blocchi di tre cifre che prende il nome di “numero Ip” e assume una forma di questo tipo: (0)13.224.102.(0)49. Quando il computer è collegato in una rete privata e non ha bisogno di scambiare dati con altri computer connessi ad altre reti, ognuno può utilizzare gli Ip che vuole.

Ma se è necessario interfacciarsi con il resto del mondo è evidente che deve esserci una qualche regola nell’assegnazione degli Ip per evitare “sosia” che potrebbero causare problemi di funzionalità e sicurezza. Questo è il motivo per il quale esistono organizzazioni che si chiamano “Regional Internet Registry” (Rir) e hanno appunto il compito di gestire le registrazioni dei numeri Ip richieste dai soggetti che intendono connettere i propri computer a un gateway internet pubblico. Il Reseaux Ip Européenns (Ripe) è il Rireuropeo al quale operatori telefonici e internet provider devono rivolgersi per poter essere nelle condizioni di erogare i propri servizi.

Un discorso analogo vale per i “nomi a dominio”, cioè delle sequenze di numeri e lettere che vengono associate a un numero Ip facilitando la memorizzazione di un indirizzo di rete. Dunque, riprendendo l’esempio di prima, un conto è dover ricordare un numero Ip come (0)13.224.102.(0)49, un altro conto è memorizzare “wired.it”.

Anche i nomi a dominio possono essere decisi arbitrariamente su una rete privata non connessa a gateway internet, ma quando un server deve essere raggiungibile da altre reti è necessario che la loro assegnazione sia gestita centralmente. Come è facile immaginare, anche per i nomi a dominio esiste un equivalente del Ripe che si chiama “Registry” e che opera a livello nazionale.

Sia i numeri Ip, sia i nomi a dominio vengono “assegnati” e non venduti. Questo significa che un’entità (sia essa un’azienda o un soggetto privato) possono utilizzare a tempo indeterminato un Ip o un dominio ma non ne diventano mai “proprietari”.

Perché un numero Ip ha un valore economico?
Se è intuitivo che il diritto di usare un nome a dominio abbia un valore economico, questo è meno evidente per un numero Ip. In fondo, si potrebbe pensare, visto che tutta l’internet “gira” attorno ai nomi a dominio non fa molta differenza se wired.it è associato al numero (0)13.224.102.(0)49, a 154.48.102.5 o a qualsiasi altro Ip disponibile. Ciò che conta è che wired.it rimanga sempre assegnato a chi lo ha registrato in buona fede. In realtà non è così e per diverse ragioni.

In primo luogo, almeno fino a quando l’internet continuerà a funzionare con lo standard “Ipv4”, i numeri Ip sono una risorsa scarsa. In altri termini, sono “per molti ma non per tutti” come diceva negli anni ottanta la pubblicità di un noto spumante .

In secondo luogo, i numeri Ip sono estremamente importanti dal punto di vista della sicurezza perché vengono utilizzati come elemento di identificazione dei computer abilitati ad accedere a determinate reti o ad erogare servizi come pagine web o posta elettronica. Perdere la disponibilità di un Ip significa compromettere il funzionamento di un’infrastruttura e, nel peggiore dei casi, favorire azioni criminali.

In terzo luogo, per il modo in cui sono progettati gli algoritmi dei motori di ricerca, mantere l’associazione permanente di un numero Ip a un servizio —per esempio— di ecommerce o di content sharing li rende più “visibili”. Entro certi limiti, dunque, perdere l’uso di un numero Ip è altrettanto grave della perdita di un nome a dominio ed è importante essere consapevoli che dopo questa sentenza olandese anche altre corti potranno seguire la stessa strada.

Quali sono gli impatti della decisione olandese?
L’internet governance è un fenomeno molto complesso composto da organismi che, storicamente, hanno acquisito un potere di fatto in un periodo nel quale l’internet era uno strumento relativamente poco diffuso e dove le necessità tecniche hanno ispirato le scelte organizzative.

Nonostante la loro importanza, le attività di questi organi non hanno mai suscitato un particolare interesse al di fuori della cerchia degli addetti ai lavori. Sul finire degli anni novanta, tuttavia, le prime controversie sul diritto a utilizzare i nomi a dominio hanno costretto i giudici a occuparsi dell’argomento, facendo giustizia dell’illusione che internet fosse un “luogo” extraterritoriale dove le leggi umane non trovano applicazione. I poteri degli organi che compongono la internet governance sono stati acquisiti di fatto e non sulla base di una legge. Di conseguenza, il sistema delle regole sul funzionamento dell’internet vale solo ed esclusivamente fino a quando, come nel caso raccontato in questo articolo, una corte non decide altrimenti.

Questa considerazione pone un problema serio per la sopravvivenza dell’internet come la conosciamo. Fino ad oggi l’internet governance ha sostanzialmente funzionato bene, tanto è vero che nessuno si accorge della sua esistenza. Ciò è stato possibile, innanzi tutto, per via dei sistemi di autoregolamentazione del funzionamento delle singole strutture e del modo in cui ciascuna interagisce con le altre. Nel momento decisioni giudiziarie assunte su presupposti diversi da quelli cha mandano avanti la rete costituiscono fattori esterni che alterano questi meccanismi, c’è il concreto pericolo che questi ultimi smettano di funzionare correttamente.

Anche se, nel frattempo, “giustizia è fatta”.

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