COVID-19: per l’ “internet lento” gli utenti facciano la loro parte

Si moltiplicano le proteste per l’ “Internet lento” a colpi di petizioniarticoli di giornale, e puntuali quanto inevitabili inziative per “ottenere risarcimenti” che accusano operatori e internet provider di non fornire “abbastanza banda” in tempi di crisi e dunque di “rallentare lo smart-working”.

Le cose, evidentemente, non stanno in questi termini perchè, innanzi tutto, bisogna distinguere la rete (cioè l’infrastruttura di trasporto) dalle piattaforme (cioè dai servizi  fruibili da remoto) o – in altri termini – l’accesso, dai “siti”.  Se la rete “va veloce” ma i “siti” sono lenti perchè non riescono a gestire tutte le richieste di accesso, il problema è evidentemente dei secondi e non dei primi.

In secondo luogo, bisogna considerare il livello di servizio acquistato. Una connessione asimmetrica da 10 Euro al mese ha – evidentemente – delle prestazioni e delle capacità ben diverse da servizi più costosi e con un diverso livello di garanzia e assistenza

Il che ci porta al terzo punto: il rapporto fra tipo di connessione e impiego che l’utente vuole farne. Non molto tempo fa, difendendo un operatore, vinsi – in primo e secondo grado – una causa promossa da un commercialista che, con una connessione economica, pretendeva il risarcimento di danni per business interruption avendo autonomamente scelto di “lavorare in cloud” senza scegliere una connessione adeguata e dotarsi di un accesso di back-up. Dunque, se determinati servizi (ad esempio, Netflix o Spotify) sono parte del “pacchetto”, allora il consumatore ha senz’altro diritto a lamentarsi se funzionano male. Viceversa, se il servizio è di puro accesso – cioè acquistato senza alcuna destinazione specifica – c’è poco da lamentarsi.

Una quarta e ulteriore questione riguarda l’applicazione del principio di buona fede contrattuale che vale anche – e soprattutto – per il consumatore: nell’esecuzione del contratto, le parti devono comportarsi in modo da non “abusare” delle prestazioni. Questo si traduce, in molti contratti, nella clausola “fair use”, cioè nell’impegno del cliente di evitare utilizzi che saturano la banda disponibile. Dunque, se è vero che gli operatori sono obbligati a rendere disponibile più banda, è anche vero che gli utenti devono – “devono”, non “dovrebbero” – fare la loro parte evitando di generare traffico non strettamente indispensabile.

Limitare la congestione di reti e servizi è fondamentale perchè se stiamo riuscendo a gestire l’emergenza COVID-19 è anche grazie alla (mai abbastanza diffusa) presenza e disponibilità dell’Internet. Mantenere efficienti le reti pubbliche di comunicazione elettronica – ma anche adeguare tecnologicamente le piattaforme – è un dovere di tutti. Non solo degli internet provider, ma anche degli utenti dai quali ci si aspetta un comportamento responsabile.

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