L’intelligenza artificiale e l’importanza del “neutro”

Un articolo di Simone Cosimi su Repubblica.it ripropone il vecchio ritornello de “il computer è piu’ forte di un umano a giocare a scacchi” nella variante “Go” (che è un gioco cinese, ma che il giornalista qualifica con i termini giapponesi a proposito di un giocatore coreano, pur essendo la “dama cinese” nota e giocata da secoli in Giappone e Corea).

Rigore semantico a parte, che un computer – o meglio, un software, possa essere più “forte” di un essere umano – non è una notizia. Lo sanno tutti quellli che, giocando a scacchi, si sono allenati con i tanti programmi, alcuni veramente eccellenti, disponibili per il grande pubblico. Come non è una notizia il fatto che i software siano così evoluti da mettere in difficoltà anche dei professionisti o addirittura dei campioni.

Ma da qui a dire – o a lasciar intendere – di avere a che fare con un sistema più “intelligente” dell’uomo ce ne corre. Sarebbe come dire che siccome un braccio meccanico fa saldature perfette che nessun essere umano è in grado di replicare, per ciò solo dovrebbe essere considerato “pensante”.

Il problema è nell’assenza – o meglio – della scomparsa del genere “neutro” nella lingua, perchè il trucco della narrativa sull’intelligenza “artificiale” è nelle parole. I software non “apprendono”, non “imparano” nè “comprendono” ma, semplicemente, modificano il loro funzionamento a vari livelli di autonomia.

Ma per esprimere questi concetti senza ricorrere al linguaggio tecnico si deve per forza scontare la limitazione di quello “ordinario” che non è fatto per esprimere concetti complessi (prova ne sia, per esempio, l’uso della parola “trascendentale” nella Critica della ragion pura di Kant, compreso in almeno tredici significati diversi). Di conseguenza, nella volgarizzazione di questioni scientifiche è inevitabile ricorrere a semplificazioni che, però, alterano il senso e il significato del messaggio.

Dunque, se descrivendo in modo a tecnico il risultato di questa famigerata partita di Go uso il genere femminile per  per identificare il soggetto dell’azione, non per questo gli sto conferendo soggettività. Ma l’effetto dell’uso “bruto” del significante è proprio questo, e dunque viene trasmesso un messaggio che, nel passaggio dal fatto al lettore per il tramite dello scrittore – giornalista, nel caso di specie – muta di senso o ne acquista un altro non razionalmente percepito ma addirittura più suggestivo: un software è un soggetto e ha soggettività.

Se parlassimo ancora Latino, questo problema non si sarebbe posto perchè l’uso del genere neutro avrebbe immediatamente fatto capire al lettore che non stiamo parlando di umanità, ma – soltanto – di una brillante creazione tecnologica.

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