Cass. Sez. V Penale – Sent. 13694/19

Per dolersi dell’eccessività dell’estensione del sequestro di dati informatici è necessario avere “dedotto, in seguito al dissequestro, quell'”interesse concreto ed attuale, specifico ed oggettivamente valutabile sulla base di elementi univocamente indicativi della lesione di interessi primari conseguenti alla indisponibilità delle informazioni contenute” nei documenti e nei supporti informatici che, solo, giustifica la sopravvivenza di una posizione giuridica tutelabile, all’esito della disposta restituzione.” essendo, diversamente, inammissibile il ricorso per carenza di interesse

Corte di cassazione Sezione V penale
Sentenza 15 febbraio 2019, n. 13694

Presidente: Pezzullo – Estensore: Tudino

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza dell’11 ottobre 2018, il Tribunale della libertà di Trieste ha rigettato la richiesta di riesame proposta da Maurizio P. avverso il decreto di sequestro probatorio emesso dal Pubblico Ministero in data 10 settembre 2018, con il quale era stato sottoposto a vincolo – all’esito di perquisizioni eseguite presso la sede sociale ed i luoghi di pertinenza dell’indagato – un ampio compendio documentale ed informatico in riferimento al reato di false comunicazioni sociali, oggetto di provvisoria incolpazione nei confronti dell’indagato, nella qualità di amministratore di diritto di Seleco S.p.a.

Il Tribunale ha rigettato, pur censurando le modalità esecutive del sequestro, le questioni processuali proposte, ritenendo sussistenti, pur all’esito delle deduzioni defensionali, i presupposti di applicazione della misura, in presenza di un vincolo di pertinenzialità dei documenti rispetto al reato di cui all’art. 2621 c.c., ipotizzato in riferimento: all’acquisto di un marchio ad un prezzo notevolmente inferiore a quello stimato, con conseguente annacquamento del capitale reale e falsità della relativa appostazione contabile; al rilevamento di numerose note di variazione a storno del partitario relativo a merci/acquisti; alla operazione di fusione per incorporazione di CR Costruzioni Residenziali S.r.l. ed alle conseguenti variazioni del bilancio 2016.

2. Avverso l’ordinanza, ha proposto ricorso l’indagato, per mezzo del difensore, Avv. Danilo Buongiorno, affidando le censure a tre motivi.

2.1. Con il primo motivo, deduce contraddittorietà e/o manifesta illogicità e/o carenza della motivazione in riferimento al rigetto della deduzione prospettata con il riesame, finalizzata a censurare l’omessa trasmissione al Gip ed al Tribunale del riesame delle informative diverse da quella in data 14 agosto 2018, alla cui stregua la misura reale è stata adottata, avendo il Tribunale impropriamente posto a carico del ricorrente un onere di verifica in concreto inesigibile, stante la secretazione degli atti investigativi. L’omesso deposito degli atti – e, in particolare, dell’informativa del 21 febbraio 2018 – determina la nullità del sequestro per violazione del principio del contraddittorio.

2.2. Con il secondo motivo, deduce violazione di legge e correlato vizio della motivazione in riferimento alle modalità esecutive del sequestro, esteso a tutti i luoghi di pertinenza dell’indagato e realizzato mediante integrale apprensione di supporti informatici e documentali, mentre il pubblico ministero ne aveva disposto l’acquisizione in copia, con pregiudizio per la funzionalità dell’impresa. Sul punto, il Tribunale, pur censurando le modalità esecutive, ha erroneamente ritenuto che le istanze proposte dovessero essere indirizzate al Pubblico Ministero mediante richiesta di restituzione, investendo, invece, le medesime la legittimità della misura nella sua concreta esecuzione.

2.3. Con il terzo motivo, deduce omessa motivazione, sotto forma di preterizione delle allegazioni difensive riguardo il fumus commissi delicti ed il vincolo di pertinenzialità rispetto alla finalità dimostrativa, per avere il Tribunale in toto omesso di considerare le produzioni documentali relative all’acquisizione del marchio, preceduto da valutazione peritale e l’attestazione da parte di società di revisione indipendente della correttezza delle appostazioni contabili, fondando l’impostazione accusatoria su una prospettazione investigativa non assistita da apporti consulenziali e, comunque, non sorretta da indicatori dell’elemento soggettivo del reato oggetto di provvisoria contestazione. L’abnormità dei beni sequestrati esclude, inoltre, ex se ogni finalizzazione probatoria, con conseguente natura esplorativa e violazione dei rigorosi criteri giustificativi delineati dalla giurisprudenza di legittimità.

3. Con memoria depositata in cancelleria il 24 gennaio 2019, il ricorrente ha rappresentato che il Pubblico Ministero, con provvedimento del 28 novembre 2018, ha disposto la restituzione di tutto il compendio sequestrato, previa estrazione di copia.

Ha, dunque, reiterato le doglianze già illustrate, evidenziando il perdurante interesse anche al primo motivo di ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse.

2. La restituzione all’indagato dei supporti, documentali ed informatici acquisiti, nella loro materialità, in esecuzione del decreto di perquisizione del Pubblico Ministero che ne aveva, invece, disposto il sequestro in copia, impone talune valutazioni riguardo il petitum e la causa petendi del ricorso in disamina, al fine di verificarne l’ammissibilità.

2.1. Il tema dell’ammissibilità del ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del tribunale del riesame di conferma del sequestro probatorio di un computer o di un supporto informatico, nel caso in cui ne risulti la restituzione previa estrazione di copia dei dati ivi contenuti, è stato affrontato e unitariamente risolto da questa Corte, nella sua più autorevole composizione, in presenza di un contrasto che si era venuto a delineare, nella giurisprudenza, riguardo la sopravvivenza di un apprezzabile interesse del ricorrente riguardo la delibazione di legittimità della misura, una volta realizzato il fine restitutorio.

Con la sentenza Sez. un. n. 40963 del 20 luglio 2017, Andreucci, Rv. 270497, è stato affermato il principio per cui «È ammissibile il ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del tribunale del riesame di conferma del sequestro probatorio di un computer o di un supporto informatico, nel caso in cui ne risulti la restituzione previa estrazione di copia dei dati ivi contenuti, sempre che sia dedotto l’interesse, concreto e attuale, alla esclusiva disponibilità dei dati».

2.2. Nell’affrontare la questione controversa ed individuare le origini del contrasto, le Sezioni unite hanno preso le mosse dalla sentenza Sez. un., n. 230 del 20 dicembre 2007, dep. 2008, Normanno, Rv. 237861, che aveva condiviso il maggioritario orientamento secondo il quale la restituzione del bene priva di interesse concreto l’impugnazione, con conseguente inammissibilità del ricorso, e dalla pronuncia Sez. un. n. 18253 del 2008, Tchmil, che aveva sottolineato l’autonomia del provvedimento acquisitivo della copia rispetto al sequestro probatorio ed affrontato l’ulteriore aspetto relativo all’eventuale permanenza, a fronte dell’avvenuta restituzione, di un interesse ad impedire comunque l’ingresso della copia nel patrimonio probatorio utilizzabile, cosicché l’eventuale annullamento del sequestro all’esito dell’esame travolgerebbe il presupposto di validità del conseguente provvedimento di acquisizione probatoria, rendendolo a sua volta invalido. Tale ultima pronuncia aveva rilevato come, anche a voler riconoscere una dipendenza tra sequestro probatorio ed estrazione di copia tale da comportare una propagazione della nullità del primo alla seconda, dovesse volgersi l’attenzione al fatto che il riesame proposto con un sequestro ancora in atto risponde all’interesse, immediato ed attuale, alla restituzione, il che non avviene con riferimento alle copie estratte, delle quali non è in atto l’utilizzazione, la quale non è neppure certa, dipendendo dalla strategia delle parti nel successivo giudizio e dalle decisioni del giudice del processo, che non sarebbero, peraltro, in alcun modo condizionate dall’esito del giudizio incidentale del riesame.

2.3. Siffatto orientamento è stato seguito nella giurisprudenza successiva (ex multis Sez. 2, n. 29019 del 30 giugno 2010, Fontana, Rv. 248143; Sez. 6, n. 29846 del 24 aprile 2012, Addona, Rv. 253251; Sez. 1, n. 43541 dell’8 ottobre 2013, Poltrone, Rv. 257357; Sez. 3, n. 27503 del 30 maggio 2014, Peselli, Rv. 259197; Sez. 3, n. 24928 del 25 settembre 2014, Cenni, non mass.), mentre altre decisioni se ne sono discostate, valorizzando la natura del dato informatico.

Rilevando come il trattenimento della copia possa determinare la sottrazione all’interessato della esclusiva disponibilità di informazioni, in considerazione della capacità di memorizzazione indiscriminata del computer e della verifica del necessario requisito di proporzionalità della misura, anche alla luce di quanto disposto dalla l. 18 marzo 2008, n. 48, e richiamando i contenuti degli artt. 247, comma 1-bis, e 352, comma 1-bis, c.p.p., che tale legge ha introdotto, la sentenza Sez. 6, n. 24617 del 24 febbraio 2015, Rizzo, Rv. 264093, ha individuato il dato informatico come oggetto del sequestro, riconoscendogli la qualifica di “cosa”, trovando conferma a tale assunto nel disposto degli artt. 635-bis e 635-ter c.p., nonché in quelle disposizioni del codice di rito che a tale dato attribuiscono un valore del tutto assimilabile a quello di un oggetto “fisico” (artt. 248, 254, 254-bis, 256, 260 c.p.p.). Ha poi rilevato come la sostanziale identità tra originale e copia, significativamente individuata, nel linguaggio comune, come “clone”, non consentirebbe di ritenere che vi sia stata una effettiva restituzione di quanto in sequestro quando l’interessato sia stato comunque privato del valore in sé del dato, rappresentato dalla sua esclusiva disponibilità; privazione considerata sul piano di un diritto sostanziale e non considerata, invece, quanto al semplice interesse a che la data cosa non faccia parte del materiale probatorio.

Altra decisione (Sez. 3, n. 38148 del 23 giugno 2015, Cellino, Rv. 265181) aveva evidenziato la «assoluta peculiarità della nozione di documento informatico/dato informatico» e, richiamando le argomentazioni sviluppate nella sentenza Rizzo, aveva riconosciuto la sussistenza di un interesse attuale a richiedere il controllo giurisdizionale sulla legittimità del sequestro in quanto la restituzione dei supporti di archiviazione, previo trattenimento di copia dei dati informatici estratti, non comporta il venir meno del vincolo (ad essa si è successivamente conformata Sez. 5, n. 25527 del 27 ottobre 2016, dep. 2017, Storari, Rv. 269811).

Su una posizione intermedia si era collocata, invece, una successiva pronuncia (Sez. 2, n. 40831 del 9 settembre 2016, Iona, Rv. 267610) che, pur seguendo il solco tracciato dalla sentenza Tchmil, aveva riconosciuto, tenendo conto delle argomentazioni sviluppate dalla sentenza Rizzo, la permanenza di un interesse all’impugnazione quando sia dimostrato il valore autonomo dei dati copiati, perché il trattenimento della copia determina la sottrazione all’interessato della esclusiva disponibilità dell’informazione, risolvendosi in un vero e proprio “sequestro di informazione”, autonomamente apprezzabile.

2.4. Nel delineato contesto, le Sezioni unite Andreucci hanno ricostruito la natura del “dato informatico” nel più ampio concetto di “sistema informatico”, come definito dalla Convenzione di Budapest, ratificata dalla l. n. 48 del 2008 nei termini di «qualsiasi apparecchiatura o gruppo di apparecchiature interconnesse o collegate, una o più delle quali, in base ad un programma, compiono l’elaborazione automatica di dati», richiamando alla necessaria distinzione tra “contenitore” e “contenuto” ai fini della valutazione dell’oggetto del provvedimento di sequestro, e ribadendo come anche la componente software di un sistema informatico, avendo una sua consistenza compiutamente individuabile, possa pacificamente ritenersi suscettibile di sequestro (come peraltro già riconosciuto, con riferimento a “siti web” o singole “pagine telematiche”, da Sez. un., n. 31022 del 29 gennaio 2015, Fazzo, Rv. 264089), seppure con le specifiche modalità dettate dalla legge. Nella delineata prospettiva, le Sezioni unite hanno richiamato la definizione di “documento informatico” contenuta nell’art. 1, lett. p), d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82 («documento informatico: il documento elettronico che contiene la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti») già in precedenza declinata, sotto diversa forma, dapprima dal d.P.R. 10 novembre 1997, n. 513 e, successivamente, dal d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445.

2.5. Hanno, quindi, evidenziato come oggetto di sequestro possa essere il dato informatico ex se, “la cui peculiarità è data esclusivamente dalle sue caratteristiche fisiche e dalle modalità di conservazione e di elaborazione, mentre non si rilevano rilevanti differenze rispetto al contenuto, quando rappresentativo di fatti, atti, idee, sequenze di espressioni, etc., il quale può essere conservato anche altrove, ad esempio sulla carta”, ponendo tale defin[i]zione in correlazione con il rapporto esplicativo adottato dal Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa (punto 197), secondo cui il termine “sequestrare”, in base alla convenzione «significa prendere il mezzo fisico sul quale i dati o le informazioni sono registrati oppure fare e trattenere una copia di tali dati o informazioni. “Sequestrare” include l’uso o il sequestro di programmi necessari ad accedere ai dati che si stanno sequestrando. Allo stesso modo in cui si usa il termine tradizionale “sequestrare”, il termine “assicurare in modo simile” è incluso per indicare gli altri modi nei quali i dati intangibili possono essere portati via, resi inaccessibili o il suo controllo e in altro modo escluso per il sistema informatico», come, peraltro, confermato dalle modifiche apportate al codice penale ed al codice di rito con la menzionata l. n. 48 del 2008 (artt. 244, comma 2, c.p.p.; 247, comma 1-bis, c.p.p., 254-bis c.p.p., 256, comma 1, c.p.p., 260, comma 2, c.p.p., 354, comma 2, c.p.p.), che fanno riferimento a dati, informazioni e programmi nella loro essenza fisica e senza riferimento ai contenuti, prevedendo la possibilità di ricercarli mediante perquisizione del sistema informatico o telematico che li potrebbe contenere.

2.6. Si è, inoltre, sottolineata la sostanziale identità tra l’estrazione della copia dei dati informatici ed il sequestro, richiamando la distinzione tra “documento informatico” e “documento analogico” di cui all’art. 1 d.lgs. n. 82 del 2005 (Codice dell’amministrazione digitale), con la precisazione secondo cui riguardo ai dati ed ai sistemi informatici possono verificarsi diverse situazioni, rispetto alle quali il sequestro probatorio, secondo le diverse necessità, può colpire il singolo apparato, il dato informatico in sé, ovvero il medesimo dato quale mero “recipiente” di informazioni, con diversa declinazione dell’interesse ad ottenere la restituzione a seconda che il vincolo riguardi il dato ex se, nella sua portata rappresentativa, o il supporto che lo contiene, nel senso che solo ove il documento, sia esso informatico o di altro tipo, «trasferisca il proprio valore anche sulla copia», viene in gioco l’interesse alla «disponibilità esclusiva del “patrimonio informativo”», poiché esso non verrebbe meno con la mera restituzione fisica di quanto oggetto di sequestro.

Si è, pertanto, ritenuto come, in tale ultimo caso, la restituzione non possa considerarsi risolutiva dell’interesse, dal momento che la mera reintegrazione nella disponibilità della cosa non elimina il pregiudizio, conseguente al mantenimento del vincolo sugli specifici contenuti rispetto al contenitore, incidente su diritti certamente meritevoli di tutela, quali quello alla riservatezza o al segreto, da valutare in una dimensione sotto più profili convenzionalmente orientata (Corte EDU 7 giugno 2007, Smirnov c. Russia, nonché Corte EDU 19 giugno 2014, Draghici c. Portogallo; Sez. 6, n. 24617 del 2015, Rizzo, cit., richiama Corte EDU, Grande Camera, 14 settembre 2010, Sanoma Uitgevers, B.V. contro Paesi Bassi, ma v. anche Corte EDU 19 gennaio 2016, Gulcu c. Turchia, Corte EDU, 22 maggio 2008, Ilya Stefanov c. Bulgaria; 2 aprile 2015, Vinci Construction et GTM Génie Civil et Services c. Francia).

Nella delineata prospettiva, è stato rimarcato come debba trattarsi, in ogni caso, di un interesse concreto ed attuale, specifico ed oggettivamente valutabile sulla base di elementi univocamente indicativi della lesione di interessi primari conseguenti alla indisponibilità delle informazioni contenute nel documento, la cui sussistenza andrà dimostrata, non potendosi ritenere sufficienti allo scopo generiche allegazioni, affermandosi il principio per cui “È ammissibile il ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del tribunale del riesame di conferma del sequestro probatorio di un computer o di un supporto informatico, nel caso in cui ne risulti la restituzione previa estrazione di copia dei dati ivi contenuti, sempre che sia dedotto l’interesse, concreto e attuale, alla esclusiva disponibilità dei dati”.

3. Alla luce degli evidenziati principi, devesi rilevare come, nel caso in esame, se il ricorrente ha ampiamente censurato le modalità esecutive del sequestro, contestando il rapporto di proporzione tra i reperti appresi, nella loro portata ontologica e materiale, e le finalità probatorie, non risulta, invece, dedotto, in seguito al dissequestro, quell'”interesse concreto ed attuale, specifico ed oggettivamente valutabile sulla base di elementi univocamente indicativi della lesione di interessi primari conseguenti alla indisponibilità delle informazioni contenute” nei documenti e nei supporti informatici che, solo, giustifica la sopravvivenza di una posizione giuridica tutelabile, all’esito della disposta restituzione.

3.1. Nella memoria depositata il 24 gennaio 2019, il ricorrente si è limitato a (ri)affermare la permanenza di un interesse all’impugnazione, fondandolo sulla perdurante aspettativa alla valutazione di legittimità del sequestro.

Siffatta prospettazione non può, tuttavia, ritenersi rispondente allo standard sopra declinato, né l’interesse, come qualificato, può ritenersi implicitamente evincibile dalle censure che attingono il fumus della disposta cautela, in quanto è proprio in riferimento alle copie estratte – di cui è solo eventuale l’utilizzazione – che il predetto interesse doveva essere rappresentato ai fini del riesame della misura in termini di lesione dalla indisponibilità esclusiva delle informazioni contenute nelle cose sottoposte a vincolo, e che non può essere ravvisato nel mero ottenimento di una pronuncia sulla legittimità del provvedimento cautelare (Sez. 6, n. 13306 del 22 febbraio 2018, Riccio, Rv. 272904).

3.2. Il rilievo della carenza di interesse assorbe e preclude la disamina delle ulteriori questioni prospettate con il ricorso, mentre il regime di utilizzabilità, a fini probatori, delle copie estratte potrà essere utilmente censurato ove ne venga, in concreto, fatto uso.

Il ricorso è, pertanto, inammissibile per sopravvenuta carenza d’interesse.

4. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso per il venir meno dell’interesse alla decisione, sopraggiunto alla sua proposizione, non consegue la condanna del ricorrente né alle spese del procedimento, né al pagamento della sanzione pecuniaria a favore della cassa delle ammende, in quanto non si configura una ipotesi di soccombenza della parte, neppure virtuale (Sez. 1, n. 11302 del 19 settembre 2017, dep. 2018, Rezmuves, Rv. 272308, n. 22747 del 2003 Rv. 226009, n. 30669 del 2006 Rv. 234859, n. 8025 del 2012 Rv. 252910, n. 19209 del 2013 Rv. 256225, n. 7 del 1997 Rv. 208166, n. 31524 del 2004 Rv. 228168).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Depositata il 28 marzo 2019.

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