L’informazione poco professionale sul cambiamento climatico

La puntata del 28 settembre di Otto e mezzo, la trasmissione di approfondimentto trasmessa da LA7 e dedicata al tema del momento, la “crisi ambientale”, è l’archetipo di ciò che accade quando un tema è troppo complesso per essere compreso dai “comuni mortali” e di come le convizioni individuali e gli interessi personali – ma anche quelli  politici – rendano sostanzialmente impossibile assumere una decisione ragionata.

Non ci sono elmenti per sostenere che il fenomeno Thumberg sia stato costruito a tavolino da questo o quel gruppo di poteri occulti che popolano gli incubi di paranoici e complottisti. O che, al contrario, i “poteri forti” si siano coalizzati per impedire che le masse “in missione per conto di Dio” possano salvare il pianeta.

Piuttosto – ma sarà certamente un post hoc ergo propter hoc – il fenomeno Thumberg si inserisce in un contesto economico più ampio di trasformazione tecnologica indotta dalla necessità di passare da energia prodotta da combustibili fossili ad energia prodotta in altro modo (per inciso, non esistono le “energie alternative”, ma esistono “metodi alternativi di produzione dell’energia”).

Le ragioni di una scelta del genere sono in primo luogo geopolitiche: eliminare – o comunque ridurre fortemente – l’uso di combustibili fossili consente alle (super)potenze di allentare la stretta dei Paesi produttori di petrolio e dunque “liberare” le scelte di politica estera.

Dal punto di vista economico, la tecnologia dei combustibili fossili, in tutte le sue declinazioni, è sostanzialmente “arrivata”. L’industria ha bisogno della Next Big Thing per riavviare un ciclo produttivo basato sulla riconversione di abitudini e condizioni di vita verso oggetti e strumenti che funzionano con energie prodotte da fonti diverse dal petrolio.

A parte queste considerazioni generali, però, non ne so abbastanza sul tema dell’impatto umano sul cambiamento climatico, e dunque fino a quando non comprendo, non posso conoscere e quindi non posso deliberare.

Piuttosto, invece di entrare nel merito di un dibattito inquinato da sversamenti incontrollati di fanatismo e interessi politico-economici, mi interessa analizzare i fatti da un punto di vista della comunicazione e del ruolo dei mezzi di informazione.

Greta Thumberg non è la prima – nè il soggetto più autorevole – ad avere denunciato a torto o a ragione la drammaticità della condizione climatica della Terra, ma è certamente il personaggio che più di altri ha provocato una reazione diffusa ed estrema amplificata, o meglio, resa possibile dall’internet.

Se questa reazione avrà effetti permanenti o se si consumerà come un fuoco di paglia lo scopriremo a breve. E se la Thumberg sia in buona fede oppure eterodiretta (e non sarebbe il primo personaggio pubblico ad esserlo) è del tutto irrilevante, dal momento che contano soltanto il messaggio veicolato e la polarizzazione che provoca, il cui risultato è la (in)capacità di dare risposte sul merito di entrambi gli “schieramenti”.

Le vicende che caratterizzano la crociata di questa  incarnazione di Giovanna d’Arco sono la dimostrazione (o la conferma) di tre fatti:

  • che i comportamenti individuali e quelli delle masse sono condizionati molto più da aspetti emotivi e irrazionali che dal prodotto di un ragionamento logico,
  • che per trasformare una moltitudine di individui in una “massa” è necessario un simbolo,
  • che per consentire la “vittoria” del “messaggio” il “simbolo” deve essere martirizzato.

Un’analisi empirica delle dichiarazioni e delle interviste raccolte dai mezzi di informazione dimostra chiaramente che nelle folle inneggianti alla lotta al cambiamento climatico si sono diffuse “parole d’ordine” – o “meme” volendo essere moderni – che vengono ripetute acriticamente e ossessivamente come un mantra.

Nessuno fa la fatica di pensare perché c’è qualcun altro che lo ha fatto per lui e la ripetizione continua e ossessiva del messaggio lo trasforma in dogma. Questo è evidente – per tornare allo spunto che ha provocato questa riflessione – nella retorica dell’ospite ambientalista definita da Lilli Gruber la “Greta italiana” e della sua sponda politica, l’europarlamentare Frasson, che parlano per assoluti e si presentano come portatrici di un messaggio salvifico che non ammette critiche. Nè più nè meno di qualsiasi altra verità di tipo religioso o ideologizzato.

Questa impossibilità di discutere à la Leibiniz (calculemus! usava dire il filosofo per descrivere il modo corretto di argomentare)  rende – da un lato – inutile il dibattito e – dall’altro – facilita il passaggio dall’argumentum in rem basato “sui numeri” a quello ad hominem che implica l’insulto o, per dirla all’americana, la character assassination.

Dal punto di vista dei mezzi di informazione, la scelta di polarizzare villanamente il dibattito sulla “persona” che  è stata eletta a simbolo di un movimento invece di concentrarsi sulle tecnicalità dei problemi è una scorciatioa pelosa che garantisce ascolti e pubblicità.

Molto pochi avrebbero visto una trasmissione intitolata “Analisi quantitativa delle modificazioni climatiche nel Nagorno Kharabak nel periodo 1840-1925” oppure “Fenomeni migratori della mantide religiosa e mutamento climatico”. Ma titolare “Quelli che odiano Greta” è, evidentemente, molto più utile come “clickbait” e molto più semplice dal punto di vista dei contenuti. 

E infatti, la puntata di Otto e mezzo è stata particolarmente povera di analisi, essendosi risolta in un “tre contro uno” (dove “uno” era il prof. Battaglia – peraltro non particolarmente efficace nel sostenere le proprie tesi) dove il livello delle argomentazioni (dal punto di vista retorico e di consequenzialità logica) era francamente imbarazzante.

Come alla fine di una partita di calcio, dunque, ciascun spettatore dotato di una credenza ( cioè opinioni non basate su fatti) la ha rinforzata, mentre chi sperava di poter capire è più confuso di prima.

E mentre le stelle stanno a guardare, la Terra brucia.

 

 

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