Le Sezioni Unite equiparano discutibilmente dati personali e tutela della riservatezza e limitano il diritto al Storia

Con la sentenza n. 22 luglio 2019, n.19681 le Sezioni Unite della Corte di cassazione si sono pronunciate sul rapporto fra diritto di cronaca e “diritto all’oblio” riqualificando il tema della decisione piuttosto come “diritto alla Storia” e non “ad essere informati” e decidendo che il “diritto alla Storia” gode di una tutela attenuata rispetto alla riservatezza individuale.

E’ una sentenza che suscita molta perplessità per la  visione “ideologica” della riservatezza della quale è portatrice. Se infatti, da un lato, è certamente positivo il fatto che la Corte abbia riconosciuto l’impossibilità di avere una regola generale e che, pertanto, spetta al giudicante effettuare caso per caso la valutazione sul bilanciamento degli interessi contrapposti, dall’altro ci sono alcuni passaggi della decisione che lasciano perplessi.

In primo luogo, quello in cui si riafferma l’equivalenza – anzi, l’esaurimento – del diritto alla riservatezza in quello alla protezione dei dati personali:

In tempi più recenti, la sentenza 24 aprile 2008, n. 10690, ha ricordato che ‘il diritto alla riservatezza, il quale tutela l’esigenza della persona a che i fatti della sua vita privata non siano pubblicamente divulgati, è confluito nel diritto alla protezione dei dati personali a seguito della disciplina contenuta nella L. 31 dicembre 1996, n. 675’;

E’ un’equiparazione sbagliata perchè, come ho scritto in Protecting Personal Information

La distinzione tra protezione dei dati e privacy è riconosciuta dalla Corte di giustizia europea. Il comunicato stampa 84/2017 sull’accordo di trasferimento dei dati PNR UE-Canada contiene una dichiarazione importante (anche se passata sotto silenzio):
Il trasferimento dei dati PNR [Passenger Name Records] dall’UE al Canada e le norme stabilite nel previsto accordo sulla conservazione dei dati, il loro uso e il loro eventuale successivo trasferimento ad autorità pubbliche canadesi, europee o straniere comportano un’interferenza con il diritto fondamentale al rispetto della vita privata. Analogamente, l’accordo previsto comporta un’interferenza con il diritto fondamentale alla protezione dei dati personali.
Non si tratta di una semplice semantica. Ribadendo la differenza tra protezione dei dati personali e protezione dei dati, la Corte ha lanciato un avvertimento (eventualmente involontario) a tutte le parti (comprese le autorità preposte alla protezione dei dati) coinvolte nell’applicazione delle norme sulla protezione dei dati. Essa afferma, in effetti, che interpretare le leggi sulla protezione dei dati come “leggi sulla privacy” è sbagliato e indebolisce la protezione dei dati personali delle persone fisiche.

Ulteriori perplessità sorgono nella parte in cui la sentenza analizza il rapporto fra Storia e Cronaca:

Va detto subito, per evitare fraintendimenti, che l’attività storiografica, intesa appunto come rievocazione di fatti ed eventi che hanno segnato la vita di una collettività, fa parte della storia di un popolo, ne rappresenta l’anima ed è, perciò, un’attività preziosa. Ma proprio perchè essa è ‘storia’, non può essere considerata ‘cronaca’. …omissis… Ciò non esclude, naturalmente, che in relazione ad un evento del passato possano intervenire elementi nuovi tali per cui la notizia ritorni di attualità, di modo che diffonderla nel momento presente rappresenti ancora una manifestazione del diritto di cronaca (in tal senso già la citata sentenza n. 3679 del 1998); in assenza di questi elementi, però, tornare a diffondere una notizia del passato, anche se di sicura importanza in allora, costituisce esplicazione di un’attività storiografica che non può godere della stessa garanzia costituzionale che è prevista per il diritto di cronaca.

Le Sezioni Unite “sposano” una concezione della Storia e della Storiografia che – di fatto – condanna a morte un’attività essenziale, anche più del diritto di cronaca, per la tenuta democratica di uno Stato. Per conoscere il passato è necessario conservarlo, e nel mestiere dello Storico (la maiuscola è volontaria) ogni minimo particolare “conta”. Cito ancora una volta Protecting Personal Information dove analizzando il rapporto fra privacy e diritto all’oblio si legge:

Tra un secolo, tuttavia, la nostra attività online sarà un’importante fonte di informazioni per comprendere la società contemporanea. Probabilmente sarà una rappresentazione più affidabile delle nostre attività reali e offline. Ma se le nostre vite devono essere rese “più bianche che più bianche non si può” dall’applicazione del diritto all’oblio (o di altre concezioni distorte del diritto alla privacy), il ruolo, anzi la responsabilità degli storici e dei sociologi di comprendere e descrivere come siamo stati sarà seriamente inibito.
Oggi, i sociologi si affidano spesso a frammenti e piccoli oggetti per spiegare un fatto accaduto in passato. Ma più la società diventa digitale, più si troveranno ad affrontare un problema completamente diverso: come valutare l’affidabilità dei dati che scoprono. La storia spesso non è ciò che sembra, e di tanto in tanto la declassificazione degli archivi nazionali illumina aspetti precedentemente sconosciuti di fatti o eventi storici specifici, o permette una lettura diversa di una interpretazione precedentemente “solida” di un dato incidente.

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