L’ipocrisia del “coccolare il cliente” o l’interessato

Un altro luogo comune oramai ubiquo è quello per il quale il “cliente – o, per quanto riguarda il GDPR, l’interessato – va coccolato”. Il risultato è che la narrativa della comunicazione d’impresa gronda di tanto zucchero e miele da provocare una crisi iperglicemica alla sola vista di un manifesto o di uno film pubblicitario. Alla prova dei fatti, però, l’utente si trova di fronte a una pianta carnivora: bellissima all’esterno – per attirare le vittime – e micidiale all’interno.

Tanto per citare un dato empirico, ieri, nella filiale di una banca che “voleva meritarsi di essere la mia banca” mi sono sentito dire senza mezzi termini, versando un assegno circolare, che dovevano fare i loro controlli perchè l’assegno potrebbe essere teoricamente contraffatto. Alla faccia della gentilezza e dei tanti modi con i quali si possono dire le cose (ovviamente non discuto il dovere della banca di fare i suoi controlli).

Stesso discorso vale per gli “interessati” al trattamento dei dati personali.

Se non si è in grado di praticare una sincera attenzione verso gli altri (non solo verso i clienti, ma in generale verso tutti coloro con i quali si entra in contatto) è molto meglio una comunicazione spartana, non ipocrita, che dica pane al pane, senza fronzoli, anche al costo di essere brutali.

D’altra parte, come canta una vecchia filastrocca inglese,

Sticks and stones may break my bones
But names will never harm me.

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