Non serve il GDPR per punire fotografi che violano la dignità personale

La sentenza 372/2019 della Corte di cassazione ribadisce l’orientamento consolidato secondo il quale non costituisce violazione dell’art. 615bis del Codice penale (interferenze illecite nella vita privata) fotografare qualcuno all’interno di casa se il soggetto lascia aperte le finestre. Nel caso specifico, l’imputato – comunque condannato per altri reati – aveva fotografato, sfruttando una finestra priva di tende, una vicina di casa non vestita.

La sentenza ha suscitato diverse critiche e in particolare la reazione del Garante di dati personali che ha dichiarato

La norma (o quantomeno la sua interpretazione) andrebbe ripensata, anche alla luce delle potenzialità delle nuove tecnologie e del conseguente bisogno di anticipare la soglia di tutela della privacy. La foto che – quando questo indirizzo giurisprudenziale si è formato – restava più agevolmente nella disponibilità del suo autore, più limitati essendo allora i canali di diffusione, oggi è esposta al costante e concreto pericolo di una divulgazione virale, sui social o comunque in rete, spesso anche per fini ritorsivi. Naturalmente – precisa Soro – l’insussistenza del reato di interferenze illecite nella vita privata non comporta la liceità della condotta sotto il profilo della protezione dati. Laddove, infatti, le foto così acquisite dovessero essere comunicate a terzi o divulgate all’esterno, si integrerebbero gli estremi di illeciti amministrativi (e in alcuni casi anche penali) previsti e sanzionati, in modo assai rilevante, dalla disciplina di protezione dati”.

L’auspicio formulato dal Garante non è accoglibile.

In primo luogo, le norme sull’interpretazione della norma penale non consentono un’estensione come quella invocata dal Garante.

In termini di sistematica e di bene giuridico protetto non c’e’ alcuna relazione fra l’abusiva captazione di un’immagine nel domicilio privato e la ulteriore diffusione.
Breve: se la foto è, come dice la giurisprudenza francese “anodina” è liberamente utilizzabile, se è lesiva della dignità di una persona è vietato scattarla e a maggior ragione riutilizzarla. Ma per questo le norme vigenti sono piu’ che sufficienti.

In secondo luogo, l’art. 615bis C.p., a differenza del GDPR, è posto a tutela dell’inviolabilità del domicilio e non ha nulla a che vedere con il riutilizzo dell’immagine captata abusivamente di cui si occupa il garante e che, se lesivo, puo’ essere sanzionato penalmente, ad esempio, con il reato di violenza privata. L’art. 615 c.p. tutela infatti la vita privata che – come da giurisprudenza della Corte europea sui diritti umani – è un concetto (peraltro positivizzato) che va ben al di la di un diritto (inesistente nel senso di non tipizzato) come la privacy.

Per essere chiari: il comportamento di chi, pubblicando una foto imbarazzante, provoca eventi anche tragici va punito a prescindere dal trattamento dei dati personali, le cui sanzioni sono ridicole rispetto alla gravità di eventi del genere. In questo senso, allora – estremo per estremo – si dovrebbe ragionare sulla configurabilità di un dolo eventuale per lesioni gravissime o omicidio come già è stato fatto in materia di circolazione stradale.

Ma la parte della sentenza che ha suscitato le reazioni più sdegnate è quello dell’esistenza o meno di tende come requisito per la configurabilità del reato di interferenze illecite nella vita privata.

Per quanto emotivamente comprensibili, sono critiche prive di senso.

Chiudere finestre o tirare le tende sono comportamenti che afferiscono all’esercizio dello jus excludendi che, peraltro, è in linea con la filosofia del GDPR di lasciare all’interessato il controllo totale sulle proprie informazioni. A questo proposito, dunque, se vale il GDPR, allora vale sempre.

Inoltre, la sentenza specifica – coerentemente con le decisioni assunte nel caso Berlusconi/Villa Certosa – che l’imputato non ha adottato artifici per scattare le fotografie o girare il video. Se, al contrario, lo avesse fatto avrebbe effettivamente violato la volontà manifesta del soggetto passivo di non essere visto.

Assolutamente condivisibile, poi, è la parte della sentenza nella quale è confermata la natura di privata dimora di un locale aziendale nel momento in cui viene utilizzato per svolgere attività personali, non afferenti all’attività lavorativa.

Dunque, se non è penalmente rilevante ai sensi dell’art. 615bis C.p. la foto scattata dall’esterno a una finestra, lo è certamente quella “rubata” in uno spogliatoio anche occasionale.

Ma, chissà perché, su questo importante principo di diritto nessuno ha battuto un colpo.

Possibly Related Posts: