Cass. penale Sez. III – Sent. 12479/12

Apertura di account di posta elettronica a nome di terzi ignari del fatto – sostituzione di persona ex art. 494 c.p. – sussiste
Integra il reato di sostituzione di persona la condotta di chi attiva un account di posta elettronica a norme di terzi ignari

REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE TERZA SEZIONE PENALE

Composta dagli lll.mi Sigg.ri Magistrati:
SAVERIO FELICE MANNINO – Presidente
ALFREDO TERESI – Consigliere
ELISABETTA ROSI – Consigliere
SANTI GAZZARA – Consigliere
ALESSANDRO MARIA ANDRONIO – Rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente

SENTENZA

Sul ricorso proposto da TIZIO n. 10/07/1970
avverso la sentenza n. 8699/2010 CORTE APPELLO di ROMA, del 17/11/2010
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 15/12/2011 la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALESSANDRO MARIA ANDRONIO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. FRANCESCO MAURO IACOVIELLO che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso,
Udito il difensore Avv. Roberto Grimaldi

RITENUTO IN FATTO

1. – Con sentenza del 17 novembre 2010, la Corte d’appello di Roma ha parzialmente confermato, riducendo la pena, la sentenza del Tribunale di Roma, con cui l’imputato era stato condannato per il reato di cui all’articolo 494 cod. pen. – così diversamente qualificato il fatto di cui all’imputazione originaria – per avere, in concorso con altro soggetto e senza il consenso dell’interessata, al fine di trarne profitto o di procurare a quest’ultima un danno, utilizzato i dati anagrafici di una donna, aprendo a suo nome un account e una casella di posta elettronica e facendo, così, ricadere sull’inconsapevole intestataria le morosità nei pagamenti di beni acquistati mediante la partecipazione ad aste in rete.

2. – Avverso la sentenza l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione,
chiedendone l’annullamento.
2.1. – Con un primo motivo di impugnazione, si deduce l’erronea applicazione dell’articolo 494 cod. pen., perché l’imputato avrebbe utilizzato i dati anagrafici della vittima solo per iscriversi al sito di aste on-line, partecipando poi alle aste con un nome di fantasia; e non vi sarebbe, in linea di principio, alcuna necessità di servirsi di una vera identità per comprare oggetti on-line, ben potendo utilizzarsi uno pseudonimo. Né potrebbe trovare applicazione, nel caso di specie, quanto affermato dalla Corte di cassazione, sez. V 8 novembre 2007. n. 46674, perché detta decisione si riferirebbe alla diversa fattispecie della creazione di un account di posta elettronica apparentemente intestato ad altra persona e della sua utilizzazione per intessere rapporti con altri utenti, traendoli in errore sulla propria identità personale. Sempre per la difesa, la circostanza che il venditore mancato sia andato alla ricerca delle generalità dell’acquirente apparente sarebbe ininfluente ai fini della configurazione del reato, non essendo il normale comportamento di un soggetto fruitore del servizio di aste on-line quello di voler conoscere le generalità dell’altro contraente nel momento in cui il pagamento dell’oggetto venduto non è stato effettuato.
2.2. – Si deducono, in secondo luogo, la nullità della sentenza in relazione all’articolo 62, n. 6), cod. pen., nonché il difetto di motivazione in ordine alla richiesta di concessione dell’attenuante del risarcimento del danno. La difesa lamenta, sul punto, che la Corte d’appello avrebbe negato la concessione di detta attenuante, sull’assunto che la somma versata dall’imputato in favore della parte offesa sembra coprire appena le spese sostenute dalla predetta per partecipare al procedimento di primo grado, mentre la stessa parte offesa avrebbe ammesso di non aver avuto alcun nocumento economicamente apprezzabile dall’intera vicenda, affermando di ritenersi soddisfatta in termini economici.
2.3. – In terzo luogo, si deduce la violazione degli artt. 53 della legge n. 689 del 1981 e 135 cod. pen. La Corte d’appello avrebbe erroneamente sostituito la pena detentiva con la corrispondente pena pecuniaria, determinata in € 7500,00 di multa, senza tenere conto del fatto che, all’epoca del commesso reato, era previsto un ragguaglio di € 38,00 al giorno, dovendosi applicare la legge più favorevole reo. Rileva, in particolare, il ricorrente che il fatto è del febbraio 2005, epoca precedente all’entrata in vigore dell’articolo 3, comma 62 della legge 94 del 2009. che ha modificato l’art. 135 cod. pen., prevedendo, per ogni giorno di pena detentiva, la sanzione sostitutiva della somma di € 250,00 di pena pecuniaria, in luogo dell’originaria somma di € 38,00.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. – Il ricorso è solo parzialmente fondato.
3.1. – Il primo motivo di impugnazione – con cui si deduce l’erronea applicazione dell’articolo 494 cod. pen., perché l’imputato avrebbe utilizzato i dati anagrafici della vittima solo per iscriversi al sito di aste on-line, partecipando poi alle aste con un nome di fantasia – è infondato.
Deve rilevarsi che – contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente – la partecipazione ad aste on-line con l’uso di uno pseudonimo presuppone necessariamente che a tale pseudonimo corrisponda una reale identità, accertabile on-line da parte di tutti i soggetti con ì quali vengono concluse compravendite. E ciò. evidentemente, al fine di consentire la tutela delle controparti contrattuali nei confronti di eventuali inadempimenti. Infatti, come evidenziato dalla giurisprudenza di questa Corte, integra il reato di sostituzione di persona (art. 494 cod. pen.), la condotta di colui che crei ed utilizzi un account di posta elettronica, attribuendosi falsamente le generalità di un diverso soggetto, inducendo in errore gli utenti della rete internet, nei confronti dei quali le false generalità siano declinate e con il fine di arrecare danno al soggetto le cui generalità siano state abusivamente spese (Sez. V 8 novembre 2007, n. 46674, Rv. 238504).
Tali principi trovano applicazione anche nel caso di specie, in cui risulta pacifico che l’imputato avesse utilizzato i dati anagrafici di una donna aprendo a suo nome un account e una casella di posta elettronica, facendo, cosi, ricadere sull’inconsapevole intestataria, e non su se stesso, le conseguenze dell’inadempimento delle obbligazioni di pagamento del prezzo di beni acquistati mediante la partecipazione ad aste in rete.
3.2. – II secondo motivo di ricorso – con cui si lamenta che la Corte d’appello avrebbe negato la concessione dell’attenuante di cui all’art. 62. n. 6), cod. pen., sull’assunto che la somma versata dall’imputato in favore della parte offesa sembra coprire appena le spese sostenute dalla predetta per partecipare al procedimento di primo grado, mentre la stessa parte offesa avrebbe ammesso nel giudizio di primo grado, di non aver avuto alcun nocumento economicamente apprezzabile dall’intera vicenda – è inammissibile, per genericità.
La difesa di parte ricorrente si limita, infatti, ad affermare che la persona offesa avrebbe ammesso in primo grado di non aver avuto un documento apprezzabile dall’intera vicenda, senza specificare quale sia stato il momento del versamento della somma di € 300,00 in favore della stessa persona offesa (se precedente al giudizio, come richiesto dal citato numero punto 6) dell’articolo 62 cod. pen.) e, soprattutto, senza procedere, neanche in via di mera prospettazione, ad una quantificazione di massima del danno provocato. A tali considerazioni deve, peraltro, aggiungersi quanto correttamente rilevato dalla Corte d’appello circa l’evidente irrisorietà dell”importo versato, che sembra coprire appena le spese sostenute dalla persona offesa per partecipare al procedimento di primo grado.
3.3. – Fondato è, invece, il terzo motivo di gravame, relativo alla quantificazione della pena.
Dalla lettura della sentenza impugnata, emerge, infatti, che la pena pecuniaria irrogata in sostituzione di quella detentiva è stata calcolata in base al disposto dell’articolo 135 cod. pen., nel testo vigente a seguito della modifica apportata dall’articolo 3, comma 62, della legge n. 94 del 2009; e, dunque, sulla base della somma giornaliera di € 250,00. Come correttamente osservato dal ricorrente, il fatto contestato è del febbraio 2005, data precedente all’entrata in vigore di detta modifica. Deve, perciò, trovare applicazione il criterio di ragguaglio previgente, in ragione di € 38,00 al giorno.

4. – Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, limitatamente alla sanzione sostitutiva, che deve essere rideterminata in € 1140,00 (somma ottenuta moltiplicando il valore giornaliero di € 38,00 per 30 giorni di pena detentiva).

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla conversione della pena
pecuniaria, che rideterminata in € 1140,00.

Rigetta nel resto il ricorso.

Così deciso in Roma, il 15 dicembre 2011.

Depositata in cancelleria il 3 aprile 2012

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