GdP Rimini Sent. 18 ottobre 2000

Ufficio del Giudice di pace di Rimini

 Sentenza 18/10/2000

…omissis…

Motivi della decisione

La mancata costituzione in giudizio della Prefettura di Rimini, atta a difendere l’ordinanza ingiunzione n° 385/98/2° Sett./ Tulps del 15/5/2000 dalla stessa emessa, mancata costituzione determinata, con ogni probabilità dall’obiettiva arrata interpretazione e/o incertezza interpretativa delle norme poste a base del verbale di contravvenzione n°000388 del 24/11/98, elevato nei confronti della società ricorrente dalla squadra investigativa del Compartimento Polizia Postale Emilia Romagna-Sezione di Forlì,esima il giudicante da ogni indagine istruttoria e giustifica lo accoglimento dell’opposizione di cui è causa. 

Peraltro, i motivi di doglianza esposti dalla ZZZZZZZ  nel ricorso ex art.22 legge 689/81 sono, a parere del giudicante, più che fondati. In primo luogo, l’ordinanza-ingiunzione della Prefettura di Rimini è certamente viziata da assoluta carenza di motivazione.Come giustamente rileva la ricorrente, la Prefettura, nella emanazione di un provvedimento a contenuto decisorio, soggiace al generale obbligo di motivazione, obbligo che non è stato soddisfatto dalla dicitura utilizzata nel provvedimento contestato ” … Ritenuto che dagli atti risulta la fondatezza dell’accertamento, specie in presenza, come nel caso de quo, di scritti difensivi dai quali emergeva una complessiva situazione giuridica. Per quanto riguarda, poi, il merito stretto della vertenza, il giudicante fa notare che sia il verbale di contravvenzione che l’opposta ordinanza-ingiunzione nulla chiariscono in merito alla violazione commessa dalla ZZZZZZZ. 

Il verbale di contravvenzione, in verità, precisa solo che la signora Metalli Laura, all’interno dei locali ZZZZZZZ, siti in – omissis – , società della quale è rappresentante legale il signor XXXXXXX”… ha violato le disposizioni di cui al D. Legislativo n° 103 del 17 marzo 1995 in quanto priva di autorizzazione Ministero P.T. Di cui art.3 cc.2 e 3 del d.l. 103/95, essendo in possesso di comunicazione ai sensi art.3 c.1 del D. Legislativo 103/95…” Secondo la ricorrente, gli agenti verbalizzanti avrebbero erroneamente interpretato la normativa di cui al d.lgs 103/95.Infatti, ai sensi dell’art.3, comma 1, del suddetto d. Lgs.103/95, i soggetti che offrono servizi con accesso da linea commutata ( come la ZZZZZZZ afferma di offrire ) devono presentare al Ministero competente una dichiarazione con la relazione descrittiva dei servizi e dei collegamenti ( adempimento, questo, osservato dalla ZZZZZZZ ). 

Ai sensi dell’art.3, comma 2, invece, i soggetti che offrono servizi con accesso tramite col- legamenti diretti della rete pubblica (come la ZZZZZZZafferma di non offrire ) devono presentare al Ministero competente richiesta di autorizzazione. Bene, gli agenti accertatori avrebbero, secondo la ricorrente, effettuato una interpretazione forzata della detta normativa perchè, secondo loro, anche nella ipotesi di cui al comma 1 dell’art.3 del ripetuto decreto ( per la quale sarebbe sufficiente una semplice comunicazione al Ministero ), dato che per la produzione dei servizi Internet sono normalmente utilizzati col legamenti diretti tra il fornitore dei servizi ( come la ZZZZZZZ) ed il nodo di livello superiore Internet, sarebbe stata necessaria l’autorizzazione ministeriale di cui all’art.3, commi 2 e 3. 

Ma detta interpretazione è manifestamente illogica perché, se così fosse, la stessa attività o meglio lo stesso circuito diretto sarebbe soggetto due volte alla disciplina autorizzatoria: per l’offerta da parte del gestore della rete al fornitore e per l’offerta al pubblico da parte del secondo.  Doppia richiesta di autorizzazione, quindi,e doppio contributo per lo stesso oggetto; ma una tale interpretazione non sembra condivisibile né sostenibile. Ora, preso per accertato che l’attività svolta dalla società ricorrente è quella di offrire servizi con accesso da linea commutata ( anche perché quanto dalla stessa asserito a questo proposito non è stato contestato dalla opposta Prefettura di Rimini né nulla risulta, sempre a questo proposito, sia dall’ordinanza-ingiunzione che dal verbale di contravvenzione ), la scarsa giurisprudenza sostiene le considerazioni e le eccezioni svolte dalla ricorrente. 

Infatti, il giudice Dott.ssa Drigozzi in una sentenza del Tribunale di Udine del 25 febbraio 2000, nel decidere su analoga materia ha così motivato : ” L’art.3 del Decreto Legislativo 17 marzo 95 n° 103,sotto la rubrica ” ..Offerta dei servizi di telecomunicazioni…”, considera due distinte ipotesi. La prima ( comma 1 ) prevede l’onere della mera presentazione al ministero competente di una dichiarazione allor- ché sono utilizzati collegamenti commutati della rete pubblica “. La seconda ( comma 2 ) prevede l’obbligo di previa autorizzazione ministeriale allorché sono utilizzati collegamenti diretti della rete pubblica…….. Il servizio offerto alla clientela, per contro, aveva accesso ad Internet mediante linea commutata. A parere dello scrivente, alla fattispecie de quo non può trovare applicazione il secondo comma del citato art.3, bensì il primo…… Il secondo motivo a suffragio della tesi qui esposta consiste nella considerazione che l’interpretazione della norma de quo nel senso inteso da parte resistente porta a vanificare ogni distinzione tra l’ipotesi di cui al primo comma del medesimo articolo. Se fosse vero, infatti, che l’attenzione debba venir spostata sul tipo di collegamento ( diretto o commutato ) utilizzato dal fornitore del servizio e non già sul tipo do offerta al pubblico ( accesso diretto o a mezzo linea commutata ) non ci sarebbe più spazio per l’ambito di operatività per l’art.3, comma primo: la prassi non solamente maggioritaria, bensì totalitaria dei for- nitori dei servizi di telecomunicazioni è, infatti, nel senso di utilizzare sempre ” a monte ” dell’offerta un collegamento diretto ( per la realizzazione dei servizi,cioè,sono di norma utilizzati collegamenti diretti: tra il fornitore di servizi ed il centro dei servizi di Telecom Italia nel caso del 144, 146 e videotel; tra il fornitore dei servizi ed il nodo superiore ne caso di Internet ) “. 

Per ultimo, il giudicante precisa che la ricorrente ha agito con sicura buona fede. Buonafede testimoniata dal fatto che – in sede di accertamento – veniva dichiarato agli agenti verbalizzanti che era stata seguita la indicazione del proprio consulente. Per di più, la materia de quo è certamente complessa e, quindi, anche per questo fatto, oltre ché per le motivazioni sopra Svolte, il Giudice ritiene opportuno revocare l’ordinanza – ingiunzione opposta. Le spese di causa seguono la soccombenza nella misura liquidata dal giudice.

P. Q . M .

Il Giudice di pace, definitivamente decidendo nel merito del ricorso ex art. 22 Legge 689/81 prodotto dalla ZZZZZZZ avverso ordinanza – ingiunzione della Prefettura di Rimini,

Accoglie

Il ricorso in quanto, per le motivazioni svolte, riconosce la non responsabilità della società ricorrente. Conseguentemente,

Revoca

L’ordinanza – ingiunzione della Prefettura di Rimini n° 385/98/2° Sett./Tulps del 15/5/2000, notificata alla ricorrente in data 24/5/2000.cn

Condanna

La Prefettura di Rimini, in persona del Signor Prefetto pro – tempore a rimborsare alla ricorrente ZZZZZZZ, in persona del suo legale rappresentante XXXXXXX, le spese tutte di causa che liquida nella misura onnicomprensiva di £. 700.000 per diritti ed onorari, al lordo di I.V.A. e cpa. La sentenza è provvisoriamente esecutiva ex art. 282 c.p.c. .

Rimini 18 / 10 / 2000

Il Giudice di Pace Dottor Luigi Giuseppe Lodolo

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