Come funziona la Big Internet, fra architettura, protocolli e governance

La metafora della “rete di reti” normalmente utilizzata per spiegare come funziona la Big Internet la descrive solo parzialmente. La Big Internet, infatti, è allo stesso tempo un’infrastruttura tecnica, un’organizzazione sociale e un insieme di standard condivisi. Ed è molto meno libera e ribelle di quanto si pensa di Andrea Monti – Inizialmente pubblicato su MIT Technology Review Italia

La vulgata sulla Big Internet racconta di una rete senza frontiere, libera, non controllabile dai governi, dove le persone possono fare —ed essere– quello che vogliono. Nata come sogno di libertà, continua il racconto, da diverso tempo la Big Internet è sotto attacco degli esecutivi di ogni latitudine e oggetto di appropriazione da parte di Big Tech. Il risultato di questo processo è la compressione dei diritti di chi la usa, la loro trasformazione in “utenti” e un brusco passaggio dal sogno all’incubo.

La realtà è —ed è sempre stata— diversa a partire dal modo in cui viene chiamata questa infrastruttura. Internet (con la iniziale maiuscola) non è un nome proprio ma comune perché identifica, appunto, una categoria di “oggetti”. Dunque, così come non diciamo “guardo Televisione” oppure “uso Microonde” non dovremmo dire “mi connetto a Internet”. “Internet”, poi, non è un “media”, quindi è altrettanto sbagliato pensare ai contenuti fruibili tramite la rete in termini di “li ho trovati su Internet”.

“Internet” vs Big Internet
Come sarà più chiaro fra qualche riga, “Internet” —anzi, l’internet— è piuttosto un’etichetta per identificare quelle reti che utilizzano una determinata architettura tecnologica e organizzativa. In questo senso, dunque, esistono tante internet quante se ne vogliono realizzare, da quelle che funzionano in piccoli contesti locali, a quelle che coprono intere città, nazioni o parti significative del mondo. Questo ultimo caso si chiama, questa volta sì con un nome proprio, “Big Internet” ed è quello di cui parla questo articolo.

Questa premessa a metà fra il sociologico e il semantico è necessaria per capire come interagiscono i componenti chiave della Big Internet e cosa accade quando un device si connette a un dei tanti nodi della rete.

Protocolli e livelli di comunicazione

Il DNA di un rete internet, ciò che la rende diversa dalle altre è il protocollo, cioè un insieme di regole formali che definiscono come i dispositivi connessi “parlano” tra loro: formati dei messaggi, sequenze di connessione, autenticazione, sistemi per il controllo degli errori. Un modo per capire cosa sia un protocollo è assimilarlo all’Esperanto —una lingua comune che consente ai singoli terminali di comunicare anche se ciascuno, di base, utilizza la propria.

Nel caso di una rete internet esistono molti protocolli che sono riuniti della sigla TCP/IP (Transfer Control Protocol/Internet Protocol).

I protocolli intervengono a vari livelli (layer) che per gestire funzioni diverse.

Al Network Layer, l’Internet Protocol (IP) definisce gli indirizzi dei punti terminali connessi, come frammentare dati in pacchetti, come instradarli da origine a destinazione e molto altro. Il protocollo IP è importante perché serve per assegnare una “targa” univoca ad un terminale per renderlo raggiungibile.

Al Transport Layer operano protocolli come TCP (Transmission Control Protocol), che garantisce ordine, integrità, controllo di congestione e UDP (User Datagram Protocol), più leggero, ma senza garanzie del buon fine dello scambio di dati.

Ad un livello ancora più “alto” —cioè “vicino” all’utente— quello applicativo operano altri protocolli/servizi di livello applicazione: http(s) gestisce la visualizzazione di contenuti web, SMTP l’inoltro della posta elettronica, TLS la sicurezza delle comunicazioni su canali aperti, FTP lo scambio di file e via discorrendo.

Per fare il proprio lavoro, i protocolli devono essere incorporati nei sistemi operativi e nei software che fanno funzionare la rete e in quelli utilizzati da chi si connette.

Pacchetti e routing

I dati gestiti tramite i protocolli che vengono indirizzati dinamicamente dal routing (instradamento) secondo il percorso più efficiente —o, come si vedrà, politicamente adeguato— per arrivare a destinazione.

Il routing funziona come il teletrasporto di Star Trek: il file viene “fatto a pezzi” e ad ogni pezzo vengono aggiunti i parametri di invio e destinazione per essere certi che tutti i singoli componenti arrivino sani e salvi per essere riassemblati nel file originale.

DNS: il sistema dei nomi di dominio

Per connettersi a una risorsa di rete basta, come detto in precedenza, conoscerne il numero IP e inserirlo nell’interfaccia del software che si sta utilizzando. Tuttavia, questo è altamente inefficiente perché il numero di risorse da utilizzare scoraggia il ricorso alla memoria o a rubriche più o meno automatizzate.

Per risolvere questo problema è stato concepito il sistema dei nomi a dominio. I nomi a dominio sono stringhe alfanumeriche associate a Top Level Domain – TLD che possono essere geografici (.it per l’Italia) o tematici (.com, .net per connotare attività economiche o strutture di rete).

Dunque, quando un dispositivo vuole contattare una risorsa di rete (ad esempio: technologyreview.it) invia una richiesta a un server DNS chiamato “resolver” che funziona come una sorta di mappa. Esso converte il dominio nel corrispondente numero IP e restituisce l’indirizzo al terminale richiedente che può, così, procedere alla connessione.

Quella del DNS è una struttura gerarchica, i cui vertici —Root Server— sono per lo più localizzati negli USA e dunque sottoposti alla giurisdizione e alle norme statunitensi. Dunque, chi controlla tecnicamente i Root Server controlla tutto ciò che, in qualsiasi altra parte del mondo, dipende da loro.

Operatori di telecomunicazioni e internet provider

Tutta questa infrastruttura non esiste nel vuoto ma è tenuta in piedi da soggetti che hanno la disponibilità dei cavi e/o delle frequenze per consentire le connessioni alla rete e il trasporto dei dati (operatori di telecomunicazioni) e da soggetti che tramite un data centre erogano servizi che vanno, appunto, dalla posta elettronica, al hosting —memorizzazione di contenuti per conto dei clienti— e via discorrendo.

In realtà questa distinzione è molto teorica perché nel corso degli anni il modello tecnologico e commerciale si è verticalizzato e la differenza fra internet provider e operatore di telecomunicazioni è sempre più labile.

Un effetto collaterale di questa integrazione verticale è che al crescere delle dimensioni di questi soggetti “ibridi” e della loro base di utenti, le scelte in termini di protocolli, tecnologie e strumenti utilizzati per erogare i servizi diventano condizionanti anche per chi utilizza operatori diversi. Questo trasforma gli operatori in soggetti capaci di influenzare direttamente sia il funzionamento della Big Internet, sia quello degli organi che, tradizionalmente, costituiscono la Internet Governance.

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