Tra diritto di cronaca e protezione dei dati

Interlex n. 115

di Andrea Monti

Libertà di stampa e trattamento dei dati personali: un tema delicatissimo, che è stato e sarà ancora a lungo oggetto di discussioni e polemiche. La legge 675/96 e molti interventi del Garante hanno suscitato e suscitano non poche perplessità, anche sul piano costituzionale, e confermano i dubbi che da più parti vengono sollevati sull’effettivo campo di applicazione della normativa, anche con riferimento alla direttiva europea dalla quale prende le mosse.

Fin dall’entrata in vigore della legge, con le rapide modifiche proprio in tema di attività giornalistica, agli interpreti si sono presentati quesiti di non banale rilevanza. Ora un decreto del Tribunale di Milano pone una pesante ipoteca sulle interpretazioni correnti e obbliga a una riflessione attenta, In primo luogo per quanto riguarda l’ambito di operatività della legge, che salvo pochi “dissidenti”, è stato dalla maggior parte della dottrina esteso praticamente a qualsiasi forma di trattamento e di dato. Con conseguenze a volte paradossali ma tecnicamente non insostenibili, come per esempio ottenere preventivamente l’autorizzazione del Garante e il consenso scritto dell’interessato per chiedergli “come stai?”. Boutade a parte, è un dato di fatto che questa interpretazione molto ampia dell’operatività della legge la abbia portata a svolgere il ruolo di una sorta di “legislatore ombra”, atteso che pareva non potesse essere possibile muovere un passo senza che puntuale giungesse il comunicato stampa del Garante, con le annesse prescrizioni o suggerimenti.

Sotto il profilo sistematico, poi, si erano aperti dibattiti di non banale rilievo, come quello sull’individuazione del bene giuridico protetto da questa normativa, che la dottrina maggioritaria riteneva di riconoscere nello statuto generale della persona. O come quello relativo ai limiti e alla natura dell’attività svolta dall’Autorità nella sua attività decisoria. O come – ancora – quello della costituzionalità del potere di intervento del Garante nell’attività giornalistica.  Le risposte a questi, ma anche ad altri, importanti interrogativi sono contenute nel decreto emanato il 4 dicembre scorso dalla I sezione Civile del Tribunale di Milano, un provvedimento che per ampiezza e rigore fornisce un vero e proprio canone interpretativo per “capire” la legge 675/96.

Fra le tante possibili fattispecie concrete che potevano giungere alla cognizione del magistrato, ironia della sorte ha voluto che il collegio milanese si sia trovato ad affrontare un caso fra i più delicati. Perché da un lato avevano la legge sui dati personali, dall’altro nientemeno che l’art. 21 della Costituzione La materia del contendere, infatti, riguardava l’attribuzione da parte del quotidiano Il Corriere della Sera dello “status” di “signora Olcese” ad un soggetto (Giuliana De Cesare) che – secondo la “vera” signora Olcese (Maria Teresa Valoti) – non aveva titolo per essere accreditata in questo modo. Al fine di impedire l’ulteriore prosecuzione dell’indebito utilizzo del nome “Olcese”, la signora Valoti si rivolgeva al Garante per la protezione dei dati personali ex articolo 29, 6° e 7° comma, della legge 675/96, perché inibisse al quotidiano milanese l’ulteriore scorretto impiego del cognome di cui sopra.

Con insolita rapidità – tale addirittura da spingere il Corriere a lamentare la lesione del diritto di difesa, non avendo a disposizione che pochissimi giorni per contestare le avverse richieste – l’Ufficio del Garante faceva proprie le doglianze della signora Valoti e ordinava al giornale di cessare il “comportamento illegittimo”, rettificando la registrazione o, comunque, la trattazione dei dati personali della ricorrente… di divulgare la rettifica con pubblicazione. Avverso questa decisione viene presentato ricorso davanti al Tribunale di Milano che ribalta il verdetto, statuendo la correttezza dell’operato dei giornalisti sulla base di una minuziosa ricostruzione di diritto, ancora prima che di fatto.

In primo luogo va definito il thema decidendum che viene identificato in un conflitto sulla legittimità del trattamento di dati personali, prescindenti da qualsiasi finalità d’archiviazione, in relazione alla liceità della loro utilizzazione nell’esercizio di attività di cronaca giornalistica. Sorvolo tuttavia sui pur importanti aspetti processuali, che il collega Daniele Coliva tratta da par suo nell’altro articolo di questo numero, per tentare di ricostruire il quadro disegnato nel merito dal giudicante, schematizzabile come segue.

L’attività decisoria del Garante ha carattere giurisdizionale di legittimità (e non, come affermato dall’Avvocatura dello Stato, di mero controllo amministrativo sulla regolarità dei trattamenti)  L’ambito operativo della legge è quello della disciplina sul trattamento dei dati  La legge non si applica ai dati il cui trattamento non è teleologicamente orientato all’archiviazione permanente  Il contenuto dell’art. 21 Cost. impedisce a chicchessia di decidere forma e modo di pubblicazione delle notizie nell’esercizio dell’attività giornalistica 

Ma – con particolare riferimento al secondo punto – la pronuncia del Tribunale di Milano non è la prima ad averne affermato la sussistenza. A dire il vero, infatti, che la 675-96 si applicasse solo ai dati strutturati e destinati a finire in un archivio, lo aveva già ritenuto la Procura della Repubblica di Roma, che aveva chiesto ed ottenuto dal Giudice per le indagini preliminari l’archiviazione di alcuni procedimenti penali legati proprio al settore dell’emittenza radiotelevisiva.

In tutta questa vicenda è’ interessante notare come sia i magistrati romani, sia quelli milanesi non hanno “inventato” un’interpretazione. Non hanno “forzato” la norma per farle dire ciò che non poteva dire. Si sono limitati a leggere la direttiva 95/46 e ad usarla come strumento per ricondurre all’interno degli argini una tracimazione ermeneutica che aveva supinamente accreditato impostazioni – dice il Decreto – inficiate da un vizio di prospettiva, giacché confondono aspetti diversi e concettualmente infungibili.

Ancora una volta dunque si deve riconoscere l’immutato valore dell’auspicio che accompagna l’emanazione di una nuova legge: …ci sarà giurisprudenza!

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