Cass. Sez. VI penale Sent. n. 2268/00

Corte di Cassazione – Sezione VI Penale,
Sentenza n.2268/2000

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE VI PENALE

Composta dai signori magistrati:
Presidente F. Pisanti 
Relatore L. Deriu

OSSERVA

– Con sentenza 19/3/99 la Corte d’appello di Trento (sezione di Bolzano) confermava la decisione 17/12/97 del Pretore della stessa città, che aveva condannato A. P. alla pena di mesi otto di reclusione per il delitto di cui all’art. 367 c.p. (perché con querela resentata alla Questura di Bolzano, affermava falsamente che ignoti avevano commesso il delitto di truffa in suo danno clonando il suo telefono cellulare con l’utenza telefonica ( omissis ), ed effettuando una serie numerosissima di telefonate che poi la Telecom addebitava alla sua utenza. In Bolzano il 15/10/94).
– In motivazione la Corte territoriale poneva in particolare evidenza: come nella denuncia-querela sporta il 15/10/94 il P. avesse indicato le utenze telefoniche non conosciute e perciò gli addebiti effettuati in suo danno e a vantaggio dell’ignoto clonatore; come fosse risultato che una parte delle telefonate erano state in realtà fatte a persone e soggetti che il P. conosceva (parenti, conoscenti e società di cui egli stesso era socio), e che un’altra parte era stata effettuata dall’amico G. B. (che aveva ricevuto in uso il telefonino dallo stesso P.) all’avvocato Z.; come il P. avesse avuto a disposizione i tabulati Telecom per circa due mesi, onde era da escludere che la denuncia-querela fosse riferibile esclusivamente all’imputato e si fosse dimostrata “falsa” per buona parte delle telefonate in essa attribuite all’ignoto “clonatore”.

– Proponeva ricorso per Cassazione il P., deducendo “manifesta illogicità della motivazione (art. 606/E c.p.p.). Contestazione di un reato diverso da quello pretesamente verificatosi”: la Corte d’appello avrebbe descritto una condotta diversa da quella rassegnata dal capo di imputazione (descrivendo una truffa in danno della Telecom e non la condotta del reato di cui all’art. 367 c.p.); per detta truffa la Telecom non avrebbe sporto querela alcuna, né vi sarebbe stata da parte del P. la simulazione di alcunché; la decisione impugnata sarebbe, perciò, del tutto illogica.
MOTIVI DELLA DECISIONE
– I giudici del merito hanno correttamente ravvisato nel caso di specie un’ipotesi di simulazione di reato (ex art. 367 c.p.): secondo l’orientamento giurisprudenziale di gran lunga prevalente, infatti, qualsiasi modifica delle circostanze di un fatto realmente avvenuto integra la figura delittuosa in esame, ove si voglia far apparire che il fatto inerente al reato presupposto sia diverso o più grave di quello reale, ovvero si attribuisca a ignoti una condotta (potenzialmente illecita) in realtà riferibile a persone ben conosciute; l’alterazione del reato non solo nella sua struttura obiettiva ma anche per quanto riguarda il soggetto attivo, invero, rende concreto il pericolo di deviazione delle indagini dirette all’individuazione dell’effettivo responsabile (v. ex plurimis: Cass. VI, sent. 6156 del 19/6/96, Silvestri; Cass. VI, sent. 7348 del 25/1/90, Campanelli; Cass. VI, sent. 2273 del 25/9/86, Stocchetti; Cass. VI, sent. 11134 dell’11/7/85, Bottaro).
L’esattezza della qualificazione giuridica non è certo esclusa dalla asserita ravvisabilità di un tentativo di truffa in danno della Telecom da parte del P.: trattasi, infatti, di reati che tutelano beni giuridici diversi, che hanno distinte condotte materiali, che possono eventualmente concorrere.
– Alle complete e corrette argomentazioni dei giudici del merito in ordine alla sussistenza del reato di cui all’art. 367 c.p. (sotto il profilo dell’elemento materiale e di quello psicologico) il P. si è limitato a contrapporre una “diversa lettura delle risultanze processuali” (in quanto tale non consentita in sede di legittimità; v. infatti: Sez. un., sent. 930 del 29/1/96, Clarke; Sez. un., sent. 6402 del 2/7/97, Dessimone e altri) e a prospettare la ravvisabilità nei fatti anche di ulteriori ipotesi di reato (non tali da escludere quello di cui all’art. 367 c.p., ma al più potenzialmente concorrenti con esso).
– Il ricorso proposto dev’essere pertanto dichiarato inammissibile e il P. dev’essere condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di L. 1.000.000 (importo che stimasi di giustizia) in favore della cassa delle ammende.
PER QUESTI MOTIVI
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di L. 1.000.000 in favore della cassa delle ammende. 

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