Le leggi del Ciberspazio

di Andrea Monti – PC Professionale n. 71

Forse qualcuno si ricorderà dell’Araba Fenice. Si tratta di un uccello mitologico del quale, nei tempi passati, tutti favoleggiavano senza che nessuno lo avesse mai visto. Di un’Araba Fenice molto particolare si parla anche ai giorni nostri, solo che viene chiamata chiamata Ciberspazio.

Sul Ciberspazio è stato veramente detto tutto e il contrario di tutto e fin qui niente di male, quando però in questa nuova (?) dimensione si verificano eventi reali commessi da soggetti reali che hanno conseguenze reali non si può evitare di farsi qualche domanda.

La cronaca e una serie di vicende giudiziarie meno note al grande pubblico dimostrano infatti quanto concreto possa essere il mondo della Rete.

Una delle immagini più frequentemente associate alla Rete – merito di romanzi di fantascienza, intellettuali poco avvezzi alla tecnologia o tecnomani poco attenti alla cultura umana – è quella di (pseudo)frontiera, un luogo privo di regole dove la legge non esiste e imperano ciberavventurieri: niente di più lontano dal vero.

In realtà la Rete ha delle leggi. Non mi riferisco alla netiquette, ma al diritto positivo, quello che – per intenderci – si discutono in Tribunale.

I luoghi comuni

In Rete si è liberi di fare ciò che si vuole perché tanto l’utente non è rintracciabile. Se una cosa è in Rete allora è liberamente utilizzabile, le leggi vigenti non sono applicabili ad Internet… poi succede che un provider subisce il sequestro delle proprie macchine perché qualcuno ha visto tramite un link una pagina finlandese che incita all’odio razziale; un utente si vede capitare in casa la Polizia Giudiziaria perché risulta che tramite il suo account qualcun altro è stato diffamato o si viene citati in giudizio perché l’utilizzo di un certo nome o di una certa immagine violano il diritto d’autore; il tutto con notevoli fastidi e problemi, nella migliore delle ipotesi solo di natura economica.

E’ meglio sgombrare il campo da queste illusioni: alla Rete, come a qualsiasi altra cosa, si applicano in tutto e per tutto le leggi degli Stati. Si può certamente discutere, e ci mancherebbe altro che non fosse così, sul fatto che è necessario modificare ad esempio questo o quell’articolo del codice civile ma non è possibile sostenere che Internet è porto franco.

Facciamo qualche esempio.

I server sono rigorosamente identificati su base geografica (non prendo in considerazione al momento le varie tecniche per mascherare il proprio indirizzo, che è reato), quindi il tanto invocato anonimato non esiste: l’utente è perfettamente identificabile (chi era connesso su quella porta il tale giorno alla tale ora?).

L’acquisizione di una foto da un giornale e la sua diffusione su una pagina web può sicuramente violare a certe condizioni una serie di diritti fra i quali quello d’autore; così come rifiutarsi di pagare una merce acquistata on line è una questione che può tranquillamente finire in mano ad un avvocato.

Dalla pratica alla teoria

E’ evidente dunque che anche quando si utilizza la Rete esistono alcuni principi generali del diritto che conviene tenere sempre presente.

Uno di questi è contenuto nella Costituzione: la responsabilità penale è personale. Di un reato risponde sempre e comunque solo chi lo ha commesso, non necessariamente e comunque mai automaticamente il provider, come pure qualcuno ancora si ostina a pensare.

L’altro è contenuto nel Codice civile e anche qui, l’applicazione ad Internet è facilmente intuibile: chiunque cagiona un danno ingiusto, anche per intenzione o per errore, deve risarcirlo.

Certo qualcuno potrebbe dire che non è facile dare la prova che un contratto on line sia stato effettivamente sottoscritto o che non è facile essere certi e l’autore di un messaggio sia effettivamente chi dice di essere o qualsiasi altra cosa ancora, ma non è difficilissimo adattare le leggi a questi nuovi problemi o, se proprio è necessario, modificarne qualcuna per renderne possibile l’applicazione.

Ma questo è un’altro discorso.

Possibly Related Posts: