La guerra dei browser: aspettando l’Antitrust

di Andrea Monti – PC Professionale n. 84

Da qualche tempo le cronache, anche quelle non specializzate, riportano spesso il bollettino di guerra che racconta delle gesta di protagonisti come Microsoft da una parte e dall’altra un composito schieramento di avversari da Sun a Netscape al Department of Justice statunitense.

I fatti sono troppo noti per spenderci su più di qualche parola: l’impossibilità di rimuovere l’icona di IE (oltre che l’intero programma) dal desktop di Windows95 e una serie di altri comportamenti molto discussi, sono stati ritenuti un atto distorsivo del mercato e hanno dato inizio ad un interminabile contenzioso volto a confermare o meno l’ipotesi di questa “intuizione”. Si tratta di una lotta molto dura, combattuta senza esclusione di colpi da tutti i contendenti su un campo di battaglia sempre più martoriato dalle attenzioni dei legislatori di ogni paese: la Rete.

Invece di imitare un tabloid raccontando insipidi “fatterelli” (come la ricusazione di questo o quel consulente, gli oltraggi alla Corte e le torte in faccia) che poco o nulla dicono ai lettori, credo sia più interessante cercare di riflettere sul significato più generale della vicenda.

Per essere chiari, più che di guerra fra browser si dovrebbe parlare in realtà di semplici scaramucce che al momento non stanno neanche remotamente incidendo sulla realtà del problema: vivere in un mondo che pensa che sia normale utilizzare un certo tipo di programmi senza nemmeno porsi il problema di scelte alternative. In altri termini, il monopolio commerciale di fatto c’è già ed ha pesanti conseguenze sul piano culturale.

Vista da questo lato dell’oceano, infatti, la storia assume toni molto attenuati e porta alla luce la scarsa “consapevolezza” degli utenti italiani. In fondo, potrebbe dire qualcuno, a chi importa se il browser più utilizzato sia JackNavigator o JohnNetCrawler… l’importante è che sia freeware! Poi questo qualcuno – lo stesso qualcuno – si lamenta delle eccessive risorse assorbite dal programma, o dei malfunzionamenti causati dall’interazione con la versione xy.02 B del sistema operativo, scrolla le spalle e va avanti a testa bassa aspettando l’ennesimo aggiornamento. Gli utenti sono tanto ipnotizzati da non rendersi conto della truffa nella quale giocano il ruolo di vittime predestinate.

E’ un luogo comune che la concorrenza migliori la qualità dei prodotti riducendone i prezzi a vantaggio degli utenti, ma credo che quello dell’informatica sia l’eccezione alla regola.

In qualsiasi altro settore, ad esempio quello automobilistico, non sarebbe possibile nemmeno pensare di introdurre sul mercato un prodotto che funziona male, come insegna il caso Classe A Mercedes dove un errore tecnico ha causato danni miliardari ancora prima che la vettura fosse commercializzata.

Non è un mistero invece che le logiche commerciali che governano il mondo dell’information technology – obsolescenza dei processori, standard tecnici che si susseguono furiosamente – hanno provocato uno scadimento generalizzato della qualità dei programmi e per convincersene basta pensare che praticamente nessun applicativo in commercio è privo di patch, release x.01 e update da scaricare su uno dei tanti siti sparsi per l’Internet passando sopra ogni più elementare regola di rispetto per i diritti dell’utente

Ma cosa c’entra tutto questo con la legge della Rete?

Niente, appunto, ma è proprio quest’ultima considerazione a far riflettere.

Che la Casa di Redmond vinca o perda, è per noi, un fatto inessenziale, viste le quote di mercato, ci toccherà morire con Windows sul PC, a meno che la Federal Trade Commission non decida – come fece per esempio ai tempi dell’AT&T – di assumere una posizione radicale.

Morale: fino ad oggi il cane (leggi tra le righe) dorme profondamene, ma se gli echi delle beghe fra le aziende dovessero interromperne il sonno, forse ci sarà una guerra vera di cui nessuno può prevedere gli esiti perché sarà giocata più nelle stanze del potere che nelle aule di giustizia.

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