La Corte di Cassazione e l’originalità del software

di Andrea Monti – PC Professionale n. 193

Il presupposto della tutela giuridica del software è sicuramente l’unicità del codice sorgente, anche se poi i programmi svolgono le stesse funzioni.

La sentenza 581/07 depositata dalla Corte di Cassazione lo scorso 12 gennaio 2007 affronta un tema tanto delicato quanto importante per chi sviluppa software: come si fa a decidere se un software sia originale o meno. La risposta che arriva dalla Cassazione può essere sintetizzata in questi termini: un programma è originale (rispetto a quello cui viene comparato) quando pur “facendo le stesse cose” viene implementato in personale e autonomo rispetto ad altri programmi concorrenti.

Il caso portato all’attenzione della Corte riguardava una società accusata di avere ceduto lo stesso programma a due clienti diversi, pur avendo, con uno di questi, un vincolo di esclusiva. Al di là dei torti e delle ragioni, quello che interessa di questa sentenza sono i principi enunciati, che costituiscono una linea guida per chiunque sviluppa software su commissione. Dunque, dice la Corte, il presupposto della tutela giuridica del software è sicuramente la sua originalità, intesa come “sostanza creativa” che sussiste «anche qualora l’opera sia composta da idee e nozioni semplici, comprese nel patrimonio intellettuale di persone aventi esperienza nella materia propria dell’opera stessa, purché formulate e organizzate in modo personale e autonomo rispetto alle precedenti».

Nel caso specifico trattato dalla sentenza, la controversia era basata sul fatto che il software in contestazione era molto verticale (gestiva il controllo di carico degli automezzi nei depositi petroliferi). Vista la specificità del campo di applicazione, sosteneva la parte lesa, il software può funzionare solo partendo da un’architettura di base comune a tutti. Quindi, una rielaborazione di questa architettura di base non rende originale il nuovo software. Ma, obietta la Corte di Cassazione, questa circostanza «non impedisce di individuare la specificità di un singolo prodotto, in quanto l’innovazione risiede nella capacità di adattare l’architettura applicativa al caso e all’ambiente tecnologico specifico».

Questa sentenza è, forse, la prima a occuparsi del valore giuridico della documentazione operativa di un programma. Anche se la legge sul diritto d’autore protegge sia la documentazione tecnica, sia il codice sorgente di un programma, la Corte di Cassazione stabilisce il principio che «non ha rilevanza l’identità nei due casi della documentazione operativa annessa al programma: giacché questo, e non quella, costituisce la parte caratteristica dell’opera concessa in uso». Questo, perché quello che la Corte chiama “documentazione operativa” può essere tradotto in una pluralità di modi, usando diversi ambienti di programmazione e compiendo svariate scelte architetturali, ognuna delle quali presenta specificità che rendono sempre originale il prodotto finito.

Ovviamente – ma la sentenza non si pronuncia sul punto – questo non vale per un’analisi di basso livello che documenta in modo particolareggiato il funzionamento del software nel contesto specifico in cui dovrà operare. In questo caso, infatti, la protezione offerta dalla legge si applica anche a questa forma di documentazione del programma. Un’altra parte interessante della sentenza si occupa della possibile responsabilità di una software house che lavora per due aziende dello stesso settore. Capita spesso che nei contratti di sviluppo software venga inserita una clausola di esclusiva che impedisce alla software house di lavorare per la concorrenza.

Bisogna tuttavia – si legge nella sentenza – fare attenzione a come è scritta materialmente questa clausola. Un conto è vietare la cessione del programma sviluppato per conto di Tizio a suoi concorrenti diretti. Un altro conto è vietare di assumere incarichi di realizzazione di programmi diversi, utilizzabili anche dai concorrenti. In altri termini, dice la Corte, bisogna ricostruire la volontà delle parti e, nel caso affrontato dalla sentenza, è emerso che il divieto contrattuale riguardava il programma specificamente sviluppato su incarico del committente, e non altri programmi simili per funzionalità, ma diversi per soluzioni tecniche. Infine, vale la pena evidenziare un argomento della sentenza che è molto importante per gli sviluppatori: decidere se un software sia originale o meno è una valutazione che si può fare fino in Corte d’appello.

La Cassazione è competente solo in caso di motivazione non corretta della sentenza impugnata. Questo significa che se in appello il giudice spiega adeguatamente le ragioni della propria decisione, non si può chiedere alla Cassazione di entrare nel merito della sentenza precedente. È bene saperlo, per evitare di imbarcarsi in cause lunghe, costose, ma soprattutto, perse in partenza.

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