Il diritto d’autore fra legge italiana e direttiva europea

di Andrea Monti – PC Professionale n. 126

La nuova direttiva “antipirateria” mette fuori legge la commercializazione di apparati, software e singoli componenti, atti a eludere misure di protezione.

Lo scorso 22 giugno è stata pubblicata nel n. L167 della Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea la (molto discussa) nuova direttiva sul diritto d’autore, il cui testo è reperibile all’indirizzo http://www.andreamonti.net/lex/dirce010409.htm. Questa direttiva stabilisce un quadro regolamentare omogeneo per tutti i Paesi appartenenti all’Unione in materia di diritto d’autore con specifico riferimento alla “società dell’informazione” cioè, detto in parole più semplici, a Internet.

Una volta recepita, la direttiva completerà la normativa italiana del diritto d’autore (recentemente modificata dalla l.248\2000) particolarmente deficitaria proprio dal punto di vista dei fenomeni che riguardano la rete. Anche se in realtà la si dovrebbe chiamare “direttiva antipirateria” considerato che il nucleo dei suoi contenuti è proprio la creazione di un sistema coordinato di repressione anche solo dello scambio di informazioni tecniche.

Tanto per essere concreti, una volta recepita dagli Stati membri non sarà più possibile gestire siti, newsgroup o mailing list tecniche dove si affrontano questioni legate alla sicurezza dei sistemi di protezione di software o altri apparati. Anche se questo provvedimento non ha una efficacia diretta e immediata all’interno dei nostri confini, stabilisce delle linee guida che comporteranno più di un problema, sia per l’armonizzazione della legge vigente alle nuove indicazioni, sia per l’introduzione di palesi violazioni dei diritti degli utenti.

Andiamo per ordine e cominciamo da quello che manca. Di open source e free software – fenomeni oramai usciti dalla cerchia dei supertecnici e oggetto di investimenti multimiliardari di note multinazionali dell’Ict – nessuna traccia. Anzi, l’intero impianto della direttiva è chiaramente orientato (basta leggere i “considerando” 15, 16 e 17) a un approccio “proprietario” nella gestione dei diritti d’autore. Si tratta di una deficienza molto grave che non tiene in nessun conto richieste ed esigenze del mercato. Tanto è forte l’ispirazione “proprietaria” che si è ritenuto di dover specificare che processi tecnologici come il caching, in quanto necessari al funzionamento delle applicazioni, non siano da considerarsi violazione del diritto di riproduzione (considerando n. 33).

In pratica, senza questa specificazione, i file temporanei scaricati dalla Rete avrebbero potuto essere sottoposti a specifico pagamento di royalty… È molto più annacquata la regolamentazione dei cosiddetti “usi liberi”. Mentre per quanto riguarda la repressione di duplicazione e riproduzione di opere dell’ingegno si fissano precisi obblighi in capo agli Stati membri, quando si passa all’uso didattico, da parte dei disabili o di categorie meno abbienti le cose cambiano. All’art.5 c.III della direttiva si parla di una vaga e generica “possibilità” di eventuali limitazioni dei poteri di chi detiene i diritti di sfruttamento economico delle opere (quasi mai gli autori, pressoché sempre case discografiche, editori, multinazionali del software). Lasciando ai singoli Stati l’arbitrio di scegliere se favorire o meno le categorie meno fortunate o gli impieghi di pubblico interesse.
La direttiva mette inoltre fuorilegge – con un’inaccettabile limitazione del diritto di libertà d’impresa e di manifestazione del pensiero – anche solo la pubblicità e la commercializzazione di apparati, software e singoli componenti, nonché la prestazione di servizi reclamizzati come diretti a eludere misure di protezione, utilizzabili prevalentemente allo scopo di eludere le misure suddette (la “manina” delle pay-television è abbastanza evidente).

Ma c’è di peggio: viene addirittura vietata la progettazione di sistemi di sprotezione lasciando nel contempo “mano libera” – questo è il senso dell’art. 8 della direttiva – ai legislatori per adottare le sanzioni che meglio ritengono opportune. Pochi problemi di adattamento per la legge italiana che – almeno su questi aspetti più vessatori – è già abbastanza coerente con il dettato comunitario. Grosse lacune sul versante delle tutele spettanti agli utenti finali, che grazie a questa direttiva potranno essere lasciate così come sono a tempo indeterminato.

Volendo sintetizzare, si può dire che questa direttiva riduce in modo molto significativo gli spazi di libertà individuale e le possibilità di operare – legalmente – nel settore della sicurezza di applicazioni e sistemi. Cioè di impedire a tantissime persone di lavorare nel mondo dell’Ict e di contribuire all’evoluzione di questo settore. Mica male!

Possibly Related Posts: