Diritto di recesso: vale anche per i servizi internet?

di Andrea Monti – PC Professionale n. 195
Secondo la legge Bersani l’utente ha il diritto di recedere liberamente anche da servizi come il Voip. Ma l’oscurità della legge non ne aiuta l’applicazione.

La legge 7/2007, meglio nota come “legge Bersani”, stabilisce all’art. 1 il diritto del contraente di recedere liberamente dai “contratti per adesione stipulati con operatori di telefonia e di reti televisive e di comunicazione elettronica, indipendentemente dalla tecnologia utilizzata “e quello di ”trasferirlo presso altro operatore senza vincoli temporali o ritardi non giustificati da esigenze tecniche e senza spese non giustificate da costi dell’operatore”. Inoltre, dice la legge, i contratti non possono imporre un obbligo di preavviso superiore a trenta giorni.
Questo implicherebbe, almeno a una prima lettura, che sia possibile disdire per chiunque (azienda o privato) qualsiasi tipo di contratto (per servizi internet o voce) e dunque anche quelli per l’utilizzo di servizi internet. In realtà non è proprio così, perché la legge, apparentemente chiara, è applicabile con più di una difficoltà. Come spesso accade in ambito internet/TLC, infatti, il legislatore non conosce bene la realtà del mercato specifico e quindi scrive norme confuse.

Il primo dubbio da sciogliere, infatti, è capire “a vantaggio di chi” opera questa legge. Si è diffusa l’opinione che si tratti di un provvedimento diretto ai soli consumatori, ma non è detto che le cose stiano effettivamente in questo modo. Il nome per esteso della legge Bersani è Misure urgenti per la tutela dei consumatori, la promozione della concorrenza, lo sviluppo di attività economiche e la nascita di nuove imprese. Una specie di minestrone, insomma, in cui sono messe a bagno le disposizioni più diverse, da applicarsi a soggetti altrettanto eterogenei.
Per quanto riguarda il mondo internet/TLC la norma di riferimento è il già citato articolo 1, che al primo comma abolisce i costi di ricarica “al fine di favorire la concorrenza e la trasparenza delle tariffe, di garantire ai consumatori finali un adeguato livello di conoscenza sugli effettivi costi del servizio”. Dunque sembrerebbe pacifico che le aziende siano escluse da questi vantaggi. Poi però, al comma 3 dello stesso articolo si dice che “i contratti per adesione stipulati con operatori di telefonia e di reti televisive e di comunicazione elettronica, indipendentemente dalla tecnologia utilizzata, devono prevedere la facoltà del contraente di recedere dal contratto…”.

Ma attenzione: a proposito delle ricariche si parla espressamente di “consumatore”, mentre a proposito dei contratti con operatori si fa riferimento generico al “contraente”. E qui cominciano i guai, perchè si può ugualmente sostenere che applicandosi il comma 1, quello delle ricariche, ai consumatori, è possibile affermare che questo valga anche per il diritto di recesso. Oppure, al contrario, si può argomentare che proprio la differenza fra i due commi (uno che parla di consumatore e uno che parla di contraente) il diritto di recesso valga per tutti, a prescindere dall’essere consumatori o meno. Nemmeno si può trovare un aiuto per capirci qualcosa nella ratio – lo “spirito” – della legge. Se fosse stata scritta bene, distinguendo le parti dedicate ai consumatori da quelle riservate alle aziende, tutto sarebbe stato più facile. Ma così non è, e quindi tocca arrampicarsi sugli specchi per cercare di dare un senso al sistema normativo.

Come è facile immaginare, peraltro, scegliere l’una o l’altra interpretazione può condizionare pesantemente il mercato, danneggiando proprio quei soggetti che il legislatore intendeva proteggere. Problemi analoghi riguardano il “cosa” può essere disdettato in anticipo. Sempre l’art. 1 comma 3 della legge dice, ambiguamente, che ci si può “tirare indietro” dai contratti stipulati con operatori di telefonia, reti televisive e comunicazione elettronica. La norma mette sullo stesso piano i gestori di rete, operatore di rete telefonica o televisiva, con chi fornisce servizi tramite la rete, gli ISP. La legge Bersani considera quindi gli ISP “operatori di comunicazione elettronica”. Ma in realtà questi non rientrano nella definizione in quanto – semplicemente – non sono “operatori” ma “prestatori di servizi” di comunicazione elettronica, ai sensi della direttiva 31/2000 sul commercio elettronico.

Applicando letteralmente la norma, quindi, ne conseguirebbe paradossalmente che i contratti con i gestori di rete si possono disdire, quelli con gli ISP no. L’unica chiarezza della legge Bersani, nella parte che ci interessa, riguarda la tipologia di servizi dai quali ci si può liberare anticipatamente. L’art. 3 si occupa della controparte contrattuale e non del servizio acquistato e dice in sostanza: se stipuli un contratto con un operatore – a prescindere dall’oggetto del contratto – si può recedere liberamente. Ne consegue che qualsiasi tipo di servizio (VoIP, housing, registrazione di nomi a dominio) può essere disdetto liberamente.

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