Le leggi dell’e-business: altre sanzioni e più burocrazia per le imprese

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Le leggi dell’e-business: altre sanzioni e più burocrazia per le imprese

di Andrea Monti

Una circolare del Ministero dell’industria impone una comunicazione al comune di residenza per chi vende online all’utente finale. La riforma del diritto d’autore decisa in fretta e furia dal Parlamento lo scorso 26 luglio istituisce un registro presso le questure nel quale devono obbligatoriamente iscriversi quelli che “lavorano” con opere protette dal diritto d’autore. Software e applicazioni multimediali soggette obbligatoriamente al bollino SIAE…. Le nuove leggi creano ostacoli all’attività d’impresa senza offrire significative tutele per chi opera online.

La mano destra non sa quello che fa la sinistra. Questa è la sintesi più efficace per descrivere l’atteggiamento che Governo e Parlamento stanno adottando nei confronti dell’e-business.

Da un lato il primo annuncia un “piano d’azione” molto ambizioso, diretto a recuperare il ritardo oramai cronico nel quale si trova l’internet “.it” (piano, peraltro, non scevro da debolezze e confusioni); emana circolari che impongono obblighi di comunicazione preventiva per l’esercizio delle attività dirette a vendere prodotti agli utenti finali (commercio al dettaglio, in italiano)[1], continua (nella “persona” del Ministero delle Comunicazioni) a tacere inaccettabilmente sull’annosa vicenda del d.lgs 103/95 (autorizzazioni non richieste per offrire servizi di telecomunicazioni)[2].

Dall’altro, il Parlamento approva una legge – quella sul diritto d’autore – che oltre a inasprire le già pesanti sanzioni penali per chi duplica abusivamente opere tutelate (senza peraltro definire in modo chiaro da quale punto in poi si commette il reato), isitituisce fastidiosi (e pericolosi) obblighi burocratici. Chiunque – dice la legge – intenda esercitare, a fini di lucro, attività di produzione, di duplicazione, di riproduzione, di vendita, di noleggio o di cessione a qualsiasi titolo di nastri, dischi, videocassette, musicassette o altro supporto contenente fonogrammi o videogrammi di opere cinematografiche o audiovisive o sequenze di immagini in movimento, ovvero intenda detenere tali oggetti ai fini dello svolgimento delle attività anzidette, deve darne preventivo avviso al questore che ne rilascia ricevuta, attestando della eseguita iscrizione in apposito registro. L’iscrizione deve essere rinnovata ogni anno.

La “domanda delle cento pistole” è: rientrano in questo obbligo le applicazioni multimediali, i web e più in generale le attività online?

La legge non contiene alcun riferimento specifico sul punto, ma sembra possibile fornire una risposta affermativa. La crescente diffusione di applicazioni e servizi di streaming audiovideo (il cui limite commerciale è solo la creatività dei marketing manager) come strumento nella progettazione di campagne pubblicitarie, concorsi e attività connesse pone dunque, oltre ai tradizionali problemi di licensing, la necessità di adempiere a questo obbligo di iscrizione. Che però non riguarda soltanto l’agenzia, ma anche – se l’applicazione non è sviluppata “in house” – il soggetto che la ha realizzata e poi ceduta.

Stesso discorso vale per lo sviluppo “autonomo” di animazioni elettroniche (quelle che la legge chiama “sequenze di immagini in movimento”).

In aggiunta a tutto questo – continua la legge – la Società italiana degli autori ed editori (SIAE) appone un contrassegno su ogni supporto contenente programmi per elaboratore o multimediali nonché su ogni supporto contenente suoni, voci o immagini in movimento. E – nota bene – questo anche se non si è iscritti alla SIAE, trasformando questo “bollino” in una sorta di “pizzo istituzionalizzato”.

Ma i guai, come gli esami, non finiscono mai e anche l’Unione Europea ha rovesciato benzina sul fuoco: la direttiva 31/2000 sul commercio elettronico fingendo di affermare la libertà di diffusione dei contenuti, stabilisce di fatto la responsabilità (quasi) oggettiva per gli internet provider e i fornitori di informazioni (un tema su cui non dico di più, visto che la sua ampiezza richiede un approfondimento autonomo).

Morale: la “economy” sarà anche “new”, ma la “lex” è sicuramente “antiquissima et obscura”…

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