Lo Stato fabbrica zavorre, l’impresa (spesso) inerzia

WMTools n.ro 34

Lo Stato fabbrica zavorre, l’impresa (spesso) inerzia

di Andrea Monti

Tutti i diritti riservati WebMarketing Tools 34/00

Una delle conseguenze più evidenti e nello stesso tempo sottovalutate dell’essere in rete è che il fatto di poter “vedere” chiunque implica logicamente l’essere visti da “chiunque”. Certo, non si tratta di un’affermazione sconvolgentemente nuova e infatti – specie nell’ambito dei nuovi paradigmi della comunicazione strategica e della competitive intelligence – è molto frequente considerare la rete sia come strumento “offensivo” sia come un qualcosa dalla quale “difendersi”. Il principio “se ti vedo, allora mi vedi” ha però delle conseguenze anche in ambito normativo dove è sempre più evidente che l’intervento su un certo settore – anche remoto – provoca reazioni a catena del tutto imprevedibili.

Continua la serie di articoli dedicati a balzelli medievali, pastoie burocratiche e amenità varie che appesantiscono inaccettabilmente le attività degli operatori ICT. Che però hanno la loro consistente parte di responsabilità per il punto al quale siamo arrivati.

Non tornerò ancora sulle assurdità della nuova legge a tutela del diritto d’autore, delle sanzioni imposte ingiustamente per la mancanza di autorizzazioni ministeriali effettivamente non richieste, sulle iscrizioni presso le questure, sugli inutili e pericolosi sequestri di hardware che a distanza di sei anni vedono ancora finire nei magazzini delle procure della Repubblica stampanti, mouse, casse audio e quant’altro. 

Mi interrogo piuttosto sul “cosa” le aziende abbiano fatto per impedire tutto questo, che in definitiva, oltre a provocare danni ai privati cittadini, le espone a rischi di non banale portata. Basti pensare che – affermato da un tribunale il principio che è “giusto” asportare intere LAN al privato “reo” di avere qualche copia di software non registrato – nulla vieta di fare lo stesso con un’impresa. O al fatto che l’attuale gestione dei nomi a dominio consente, con una semplice raccomandata alla Registration Authority, di “paralizzare” qualsiasi operazione di modifica sull’intestatario di un nome a dominio o addirittura di “mettere in crisi” anche i legittimi detentori che dovrebbero dimostrare “di avere diritto all’uso del dominio”, con una prova che in molti casi è praticamente impossibile dare.

Questi malanni affliggono sia la grande impresa sia la piccola web agency, anzi probabilmente la prima è più danneggiata della seconda perché le conseguenze negative si manifesterebbero su una scala più ampia. Morale della favola: è finito il tempo in cui ci si poteva riparare dietro la “corazza aziendale” risultando praticamente invulnerabili a qualsiasi “aggressione”, o meglio, diciamo che oggi anche Mike Tyson rischia di prendere qualche “diretto” alla punta del mento.
Il punto è che mentre nei settori ritenuti strategici (leggi “telefonia”) ci si da battaglia senza esclusione di colpi (dai ricorsi all’antitrust alle attività di lobby… pardon di “relazioni pubbliche”) per affermare principi come “libertà del mercato” o “diritti dei consumatori” o per proteggere “rendite di posizione”, qualsiasi azione non percepita come di “prima linea” viene abbandonata nella “to do list” quando non addirittura presa in considerazione. 

Così, quando si parla dell’internet sembra proprio che imprese e associazioni di categoria abbiano praticamente rinunciato ad assumere un ruolo attivo nella determinazione delle politiche di sviluppo della rete e nella creazione di una cultura dell’innovazione. E’ quanto mi confermava non molto tempo fa l’amministratore delegato di una nota azienda del settore, che allargando le braccia commentava queste considerazioni dicendo: “certo, sono temi importanti, ma sa, oggi come oggi sono troppo occupato con la quotazione della mia società. Non posso mica dedicare delle risorse a occuparsi anche di questo”. Giustissimo, ma allora chi ci dovrebbe pensare? Le associazioni di categoria servirebbero teoricamente a questo scopo, ma in realtà i fatti dimostrano che invece di preoccuparsi di creare una “piattaforma comune” che renderebbe poi più agevole la concorrenza vera, quello che conta è “pestare i calli” al vicino antipatico cercando di ottenere allo stesso tempo un vantaggio personale anche minimo. O far finta di aggredire il “nemico” per negoziare sottobanco condizioni più favorevoli.

Nel frattempo, qualcuno a Montecitorio sragiona di “virus per distruggere siti”, “pirati buoni” (absit iniuria verbis) “portale Italia” e altre amenità varie.

Continuiamo così, facciamoci del male (N.Moretti).

Possibly Related Posts: