Internet, scuola e tempo perso

Come sa ogni genitore, qualsiasi misura basata sul “rispetto delle regole” da parte dei ragazzi è destinata a fallire di Andrea Monti – originariamente pubblicato da Infosec.News

Le polemiche sulla riapertura o meno delle scuole il prossimo settembre sono lo specchio dell’assenza di visione e di strategia del governo. Non entro nel merito degli aspetti sanitari —sui quali non ho titolo per parlare— ma è un fatto che se gli assembramenti facilitano il contagio e nelle scuole l’assembramento è sostanzialmente inevitabile, non si possono riaprire le scuole.

Come sa chiunque abbia dei figli in età scolare, qualsiasi misura basata sul “rispetto delle regole” da parte dei ragazzi è destinata a fallire e pensare che basti “imporre per legge” una cosa perchè questa accada è una pia illusione. La realtà ha l’antipatica e anarchica abitudine di fare ciò che vuole, a dispetto dell’uomo forte di turno.

Fra il tutto e il niente ci sono certamente delle opzioni: per esempio, potrebbero inizialmente rientrare solo le quinte delle superiori e le terze delle medie, con le altre classi che per due o tre mesi fanno didattica a distanza. L’invernata sarebbe trascorsa, si ridurrebbe il numero degli studenti, sarebbe più facile il controllo, si abbasserebbe di conseguenza il rischio (pur sempre presente) di contagio. Con il passare del tempo e la misura dell’evoluzione dei contagi si potrebbe poi procedere a un rientro progressivo anche degli altri studenti.

Quale che sia l’opzione imposta dal governo, però, è chiaro che le tecnologie dell’informazione giocano un ruolo fondamentale per salvare il nuovo anno scolastico ed evitare che i ragazzi vengano precipitati in un pozzo di ignoranza sempre più profondo, dal quale non usciranno più.

Sarebbe stato legittimo aspettarsi che il governo con i suoi “poteri emergenziali” avesse cooptato operatori telefonici e internet provider per accelerare al massimo la copertura delle aree meno (o per nulla) servite da linee di accesso, e per potenziare la connettività di scuole e famiglie.

Sarebbe stato sensato immaginare che, coinvolgendo anche le tante associazioni che si occupano di tecnologia, il governo avesse promosso il recupero e la risistemazione con software open source di computer dismessi, da mettere a disposizione delle famiglie meno abbienti (non è fantascienza: la storica associazione telematica Metro Olografix lo sta facendo sul serio ).

Sarebbe “stato bello” che il ministero dell’istruzione avesse imposto ai docenti di predisporre il materiale didattico in formato digitale, evitando alle famiglie di sostenere il pesante costo dei libri.

Sarebbe stato utile mettere in piedi un’infrastruttura basata su sistemi di videoconferenza (Jitsi) e didattica (Moodle) del tutto open source, pagando società italiane per il lavoro di installazione e configurazione, ed evitando che gli investimenti in tecnologie pubbliche finissero nelle casse di multinazionali straniere.

Verrebbe da urlare, ma il raglio d’asino non sale al cielo: se non ora, quando?

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