COVID-19: test sierologici, olio di serpente e la retorica dei “professoroni”

La irrazionalità pura, quella che nel corso degli anni ha portato persone disperate a credere nel “metodo Di Bella” o in quello Stamina o prima ancora nei “guaritori filippini” sbugiardati dal CICAP e altre forme di superstizione medica si manifesta anche in tempi di COVID-19. Sono infatti comparsi  in commercio dei “test sierologici” per l’autodiagnosi di presenza anticorpi specifici per il Coronavirus la cui efficacia è quantomeno dubbia, ma che stanno avendo un gran successo commerciale perchè – pur non dicendolo espressamente – inducono nel pubblico la percezione di poter sapere “se hanno preso il virus”.

Contro ogni logica, dunque, parti del mondo isitituzionale – le Regioni – e imprenditoriali premono perchè questi test diventino lo strumento per decidere chi può tornare a lavorare e articoli di giornale stigmatizzano il silenzio dei “professoroni” dichiarando testualmente che

non ha più senso continuare a diffidare di questo screening.

In realtà, come chiarisce una circolare del Ministero della salute:

Il risultato qualitativo ottenuto su un singolo campione di siero non è sufficientemente attendibile per una valutazione diagnostica, in quanto la rilevazione della presenza degli anticorpi mediante l’utilizzo dei test rapidi non è comunque indicativo di un’infezione acuta in atto, e quindi della presenza di virus nel paziente e rischio associato a una sua diffusione nella comunità. Inoltre, per ragioni di possibile cross-reattività con altri patogeni affini come altri coronavirus umani, il rilevamento degli anticorpi potrebbe non essere specifico della infezione da SARS-CoV2. Infine, l’assenza di rilevamento di anticorpi (non ancora presenti nel sangue di un individuo per il ritardo che fisiologicamente connota una risposta umorale rispetto all’infezione virale) non esclude la possibilità di un’infezione in atto in fase precoce o asintomatica e relativo rischio di contagiosità dell’individuo.

Nonostante  (nei limiti in cui il burocratese sanitario possa godere di questo attributo) la “chiarezza” delle indicazioni ministeriali, la paura sovrasta la razionalità, e la convinzione di “saperla più lunga” spinge le persone ad acquistare questi kit contro ogni evidenza della loro efficacia e della loro utilità.

D’altra parte, cosa volete che ne sappiano, di queste cose, i “professoroni” (lessico oramai migrato dalla politica al giornalismo)?

“Io xx” (e al posto di “xx” mettete commentatori, giornalisti, professionisti della “comparsata” televisiva, filosofi quattro stagioni, “influencer” e via circensendo) sono quello che “ha capito tutto”, mica loro!”

Già, quanto volete che ne sappiano in più persone che per lavoro si occupano di queste cose rispetto alle “talking heads” (con tutto il rispetto per David Byrne e soci) di cui sopra?

Nulla, ovviamente, ma questo non impedisce agli “esperti del tutto” (un po’ Gorgia, un po’ Don Ferrante) di affermare testardamente opinioni frutto di paura e incompetenza (nel senso di “non competenza su uno specifico argomento) invece di informazioni scientificamente validate. O – peggio – di sminuire il valore di informazioni scientifiche in nome del “senso comune”, lo stesso che aveva costretto il manzoniano buon senso a rimanere nascosto.

Anche in questo caso, la forza irresistibile della paura amplificata da quella dell’ignoranza produce reazioni inarrestabili scatenando, come in uno stampede la corsa forsennata alla ricerca del nuovo Olio di serpente.

Poco male se il prodotto miracoloso è usato per “guarire” dolori articolari, ma promuoverne la validità su un’infezione virale ha conseguenze gravissime per se e per gli altri. La sua inefficacia, il suo uso improprio, o l’incapacità di comprendere il significato dei risultati possono indurre a violare le misure di contenimento “perchè tanto sono immune” o perchè “tanto mica ho il virus”, salvo poi contagiare o essere contagiati e – piangendo – lamentarsi all’insegna del “ma io avevo fatto il test!”.

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