COVID-19: chi sono i “soggetti deboli”?

Eccezioni a parte, è evidente che, almeno in questa fase, il COVID-19 aggredisce per la maggior parte persone in età avanzata in una situazione di “plurimorbidità” – tradotto dal politically correct in Italiano: vecchi malati. Vecchi, malati e la cui condizione generale di salute è gestita con pillole e intrugli di vario tipo, ma senza un’attenzione al ruolo fondamentale rivestito da un minimo di attività motoria, per mantenere la “macchina-corpo” in efficienza.

Non sono certo un medico, ma gli anni trascorsi a insegnare nel corso di laurea in Scienze delle attività motorie, all’Università di Chieti-Pescara e quelli – molti di più – da allenatore di atletica leggera mi hanno dato abbastanza elementi per costruire un’idea non del tutto campata per aria (e non particolarmente originale, peraltro): la conservazione dell’efficienza fisica consente di reagire meglio a condizioni patologiche anche importanti.

Con questo non voglio assolutamente dire che fare attività motoria “guarisce” dalle malattie ma, più semplicemente, che non fare attività motoria rende le persone deboli ancora più deboli e consuma molto più in fretta le forze di un organismo più giovane. In altri termini: non fare attività fisica, specie in questo momento di sostanziale immobilità, mette anche i “forti” in una condizione di minore “combattività” in caso di infezione.

In breve: mai come ora bisogna – nel senso letterale della parola – “muoversi” e far muovere le persone più deboli.

Facile in teoria, estremamente difficile in pratica. Ma un’idea potrebbe essere quella di attingere alle ampie risorse costituite dai laureati e dagli studenti dell’ultimo anno in Scienze motorie – il cui percorso formativo è perfettamente funzionale allo scopo – per costruire una rete di “assistenza motoria domiciliare”. In questo modo, non solo le persone potrebbero migliorare la propria condizione fisica, ma anche alleggerire la solitudine che le attanaglia, quantomeno per qualche ora.

Contingenze a parte, però, l’emergenza COVID-19 richiede anche il ripensamento delle politiche sulla pratica delle attività motorie come strumento di general prevenzione di malanni e disagi e, in definitiva, di alleggerimento del carico sul servizio sanitario nazionale.

Non ho trovato dati per capire quanti fra i malati gravi e le persone decedute avessero, oltre a età e patologie, uno stile di vita non propriamente “sano” e non credo siano disponibili informazioni sul rapporto fra (amplificazione degli) effetti del Corona virus e condizioni generali di salute. Di certo, però, è fondamentale che l’attività motoria diventi una componente fondamentale e quotidiana della vita di ciascuno di noi, invece di rimanere confinata nel solito servizio televisivo o giornalistico che, non avendo nulla di meglio da dire per la giornata, ci ricorda che “muoversi fa bene”, mentre siamo sprofondati in poltrona mangiando patatine e bevendo misture gassate di vario – e inquietante – colore.

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