COVID-19: i “difensori della privacy” raccontano solo (la loro) metà della storia

Questo articolo del New  York Times è solo l’ultimo – ma non l’ultimo – di una lunga serie di prese di posizione, in Italia e all’estero, dirette a contrastare la scelta dei governi di utilizzare (anche retrospettivamente) i dati di geolocalizzazione e altre informazioni personali sui contagiati per aumentare il numero dei potenzialmente infetti ed evitare la diffusione del COVID-19 e di limitare la circolazione delle persone al minimo indispensabile (sulla cui estensione, peraltro, Cina e Italia hanno mostrato significative differenze).

Non riuscendo a “sfondare” sventolando la privacy – efficacissima l‘analogia di Manlio Cammarata – come si faceva con il Libretto Rosso di Mao, ora il nuovo argomento è quello dello “stato di polizia”: con la scusa del COVID-19 – dicono – gli Stati mirano in realtà al controllo globale sui cittadini.

Il punto, tuttavia, non è se il distanziamento sociale o il monitoraggio di massa siano o meno uno strumento da Stato di polizia, perché – fattualmente – lo sono. Quello che dovremmo chiederci, piuttosto, è se la nostra democrazia sia abbastanza matura da permettersi misure del genere e uscire indenne dalla loro applicazione.

Il Dictator della Repubblica Romana era un magistrato con sei mesi di potere assoluto che cessavano con lo spirare del termine. Ma chi sovvertì la Repubblica, fu il “democratico” Augusto, imperatore “rispettoso” delle prerogative del Senato e garante della Pax Romana che, però, prometteva tranquillitas sed non libertas.

Dicono che quando tutto quello che hai è un martello, tutto sembra un chiodo, quindi il fatto che mi occupo di ordine e sicurezza pubblica potrebbe alterare il mio ragionamento. Sarà anche vero ma – venendo al punto – è difficile negare che in tempi di emergenza ci siano alternative a un robusto intervento di polizia per evitare il propagarsi di contagi di malattie virali e sociali.

Dunque, adottando un minimo di senso pratico, il ragionamento è abbastanza semplice:

  • questo virus può essere controllato con il distanziamento sociale,
  • è necessario garantire la più ampia estensione di questa misura,
  • se il cittadino non collabora spontaneamente, lo Stato deve intervenire,
  • lo strumento per l’intervento è il controllo preventivo di polizia.

Discorso analogo vale per la “violazione della privacy” in nome della quale, ancora oggi, il Governo italiano sta ancora perdendo tempo (e dati) nel ricostruire la mappa dei contagi e nel tenere sotto controllo la situazione attuale.

L’aspetto interessante di queste posizioni zelantemente a difesa dei “diritti fondamentali” è che tutti si lamentano del “rischio Stato di polizia”, ma nessuno si rimprovera di averlo provocato, a causa della sistematica violazione delle regole per limitare il contagio.  Esiste una eccezione per tutti: per i furbetti della passeggiata, per i tabagisti anonimi, per chi deve essere portato a spasso dal cane, per chi ritiene una necessità improrogabile acquistare un giornale per leggere le notizie del giorno prima e per chi – infilato dentro improbabili abbligliamenti sportivi – dichiara di dover “improrogabilmente” correre per “questioni di salute”.

Breve: le regole valgono per gli altri, ma no per me.

Il fatto che si stia andando verso uno Stato di polizia, allora, non dipende dal “colpo di mano” dei “poteri forti” ma dall’incapacità di fare la propria parte come cittadini responsabili.

Molti inneggiano al modo in cui la Cina e i Cinesi sono riusciti ad uscire dalla fase acuta in tempi relativamente brevi. Ma se è vero che questo è stato possibile dal ferreo controllo del territorio messo in atto dal Governo cinese, è anche vero che la pratica della morale confuciana non fa molta differenza fra una condizione di vita normale e uno stato di emergenza: le persone sono, semplicemente, educate a seguire le regole.

Se, da cittadini europei abbiamo (veramente) fiducia nella società a cui apparteniamo e che abbiamo costruito, dobbiamo sapere che per contrastare l’inciviltà che mette in pericolo tutti noi, non c’è il rischio di una deriva autoritaria per l’utilizzo dei poteri speciali. Viceversa, se pensiamo veramente che l’emergenza COVID-19 possa portare a uno Stato di polizia,  allora dovremmo chiederci in quale società abbiamo scelto di vivere.

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