COVID-19: chi ha paura dei dati di geolocalizzazione?

C’è una resistenza diffusa, fra gli “esperti” e nelle Istituzioni, all’utilizzo dei dati di geolocalizzazione detenuti dagli operatori di telefonia mobile che non sarebbe attendibili perchè “l’area delle celle è troppo grande”. Questo, a loro dire, giustificherebbe l’uso di altri strumenti – e in particolare di “app”ositi software – da installare più o meno obbligatoriamente sugli smartphone.

Chissà se questi “esperti” hanno considerato che non tutti possono o vogliono avere un telefono “intelligente” e che, dunque, più di qualcuno potrebbe andare in giro con un vecchio e tranquillizzante cellulare “stupido” ma meno invadente.

C’è poi da domandarsi se abbiano pensato al fatto che oltre alla loro “app”, gli stessi dati possono essere acquisiti indipendentemente da Apple e Google, che controllano il sistema operativo del terminale. Certo, in questi “app”ositi software verranno adottate le “adeguate misure di sicurezza”, ma mentre Android è open source (e sono curioso di sapere se il suo codice sorgente verrà “adeguatamente controllato”), IOS non lo è. Apple promette di “fare la brava”, ma siccome non possiamo applicare il monito di Ronald Reagan (“Trust but verify”) dobbiamo fare a fidarci.

E per quanto riguarda la “inaffidabilità” del GPS e l’eccessiva area delle celle della rete mobile: nessuno ha mai detto che queste informazioni siano precise al centimetro (anche se, empiricamente, chiunque abbia usato Google Maps ha una percezione diversa), ma questo non le rende inutili.

Certo, se gli “esperti” si aspettano che i dati delle BTS producano un file CSV con tutte le informazioni pronte all’uso, vuol dire che hanno una percezione abbastanza approssimativa di come funzionano le reti di telecomunicazioni e i metodi per analizzare i dati. Ciò che conta, in realtà, non è quanto sono dettagliati o attendibili i materiali a disposizione (se lo fossero, saremmo tutti scienzait) ma quanto si è bravi a dare un senso ad una mole indifferenziata di informazioni.

Non sono un esperto di statistica o di progettazione di data-base, ma non mi sembra impossibile, per esempio, stabilire dei criteri per associare (anche solo in modo probabilistico) il numero di telefono (o l’IMEI) di una persona contagiata a dati corrispondenti a tutte quelle nelle quali si è imbattuta nel corso del tempo. Magari questo approccio non funzionerà per chi si trova in modo stanziale sempre nella stessa cella, però può funzionare per chi, invece, aveva un’alta mobilità.

Il punto è che non esistono soluzioni che, da sole, risolvono tutti i problemi di ricerca delle persone affette o potenzialmente contagiate da COVID, perchè le risposte dipendono dalle domande che uno si pone e dalle aspettative che ripone sui risultati:

  • se devo ricostruire, a posteriori, i movimenti degli ultimi due mesi di persone contagiate non ho alternative ad acquisire i dati di geolocalizzazione e – per esempio – quelli relativi all’uso della carta di credito. Non identificherò il 100% dei soggetti, ma è fisiologico che sia così,
  • se devo tracciare il movimento delle persone in tempo reale, posso fare in modo che i dati rilevati dalle BTS siano associati alla mappa dei luoghi di assembramento (piazze, strade principali, esercizi commerciali ecc.). Potrei anche stabilire – “stile FourSquare” – che le persone devano fare “check-in” nel luogo in cui partono e in quello di destinazione. Piuttosto che fare gli “app”ositi programmi, sarebbe stata da esplorare l’ipotesi di attivare una piattaforma del genere (se non addirittura proprio ricorrere alla stessa FourSquare),
  • se devo gestire l'”affollamento di prossimità” allora ha senso utilizzare l'”app”osito software.

Quali che siano le soluzioni, due sono gli aspetti da tenere presente quando ci si vuole imbarcare in un viaggio come questo: il primo è che – ripeto – non esiste una sola soluzione che va bene per tutto e quindi bisogna pensare ad un approccio integrato o accettare di rinunciare ad alcune possibilità.

Il secondo, è che usare le tecnologie dell’informazione per risolvere i problemi non esime dal lavorare durissimamente per poterle sfruttare al meglio. Solo nei fumetti di Topolino, nei film di fantascienza e nella Guida galattica dell’autostoppista “basta chiedere”, e il computer prontamente risponde… “42”.

Possibly Related Posts: