COVID-19: Nello sfogo di De Luca tutta l’indecisione di un Governo incoerente

Il Fatto Quotidiano pubblica uno sfogo del Presidente del Consiglio regionale della Campania, De Luca, il cui merito è assolutamente condivisibile, sia per quanto riguarda le misure da adottare, sia per quanto riguarda la denuncia della confusione che caratterizza i provvedimenti emessi dall’esecutivo (da ultimi – aggiungo – quelli relativi all’uso dell’esercito e alla possibilità di “fare sport” fuori casa, che deroga implicitamente al divieto stabilito dal DPCM 8 marzo 2020).

Non è, al contrario, corretta la sua “lettura” del potere delle ordinanze regionali che – in caso di emergenza sanitaria – non possono sostituirsi e sostituire le decisioni del governo centrale e, dunque, non possono istituire zone rosse o – come addirittura ha fatto il sindaco di Pescara – imporre sanzioni amministrative in assenza di una legge dello Stato, o ancora decidere “in ordine sparso” sulla chiusura di negozi e centri commerciali.

La situazione generata dalla diffusione del COVID-19 va gestita considerando tre aspetti: quello sanitario, quello di protezione civile e quello di ordine e sicurezza pubblica.

Questi aspetti sono regolati dalla legislazione di emergenza, la cui ragione di esistere è quella di evitare decisioni frammentate e incoerenti che, invece, è proprio quello che sta accadendo. E dunque non si capisce perchè il governo si ostini esso stesso a non esercitare compiutamente i propri poteri, lasciando liberi gli enti locali di “legiferare” a titolo individuale.

Nella ricostruzione, sommaria, della legislazione di emergenza bisogna partire dall’articolo 120  secondo comma della Costituzione:

Il Governo può sostituirsi a organi delle Regioni, delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni nel caso … di pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali. La legge definisce le procedure atte a garantire che i poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto del principio di sussidiarietà e del principio di leale collaborazione.

Il Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (ancora in vigore dal 1931) il cui articolo 214 dispone invece che

Nel caso di pericolo di disordini il Ministro dell’interno con l’assenso del capo del governo, o i prefetti, per delegazione, possono dichiarare, con decreto, lo stato di pericolo pubblico.

il successivo articolo 215 prevede che

Durante lo stato di pericolo pubblico il prefetto può ordinare l’arresto o la detenzione di qualsiasi persona, qualora ciò ritenga necessario per ristabilire o per conservare l’ordine pubblico.

infine, l’articolo 216 stabilisce

Oltre quanto è disposto dall’art. 2, qualora la dichiarazione di pericolo pubblico si estenda all’intero territorio del regno, il ministro dell’interno può emanare ordinanze, anche in deroga alle leggi vigenti, sulle materie che abbiano comunque attinenza all’ordine pubblico o alla sicurezza pubblica.
I contravventori alle ordinanze predette sono puniti con l’arresto non inferiore a un anno, salvo le maggiori pene stabilite dalle leggi.
La disposizione precedente si applica anche a coloro che contravvengono alle ordinanze del prefetto emesse durante lo stato di dichiarato pericolo pubblico, in forza dei poteri che gli sono conferiti dall’art. 2.

Inoltre, il Testo unico delle leggi sanitarie attribuisce ai prefetti poteri diretti (e obblighi dei sindaci nei loro confronti) anche in materia di salute. Per tutti, vale la pena di citare l’articolo 260 in forza del quale

Chiunque non osserva un ordine legalmente dato per impedire l’invasione o la diffusione di una malattia infettiva dell’uomo è punito con l’arresto fino a sei mesi e con l’ammenda da lire 40.000 a lire 800.000…

Infine, l’articolo 7 comma I del Codice della protezione civile stabilisce che le  emergenze di rilievo nazionale

connesse con eventi calamitosi di origine naturale o derivanti dall’attività dell’uomo che in ragione della loro intensità o estensione debbono, con immediatezza d’intervento,

devono

essere fronteggiate con mezzi e poteri straordinari da impiegare durante limitati e predefiniti periodi di tempo ai sensi dell’articolo 24.

In sintesi, dunque, le questioni legate all’emergenza sanitaria sono di competenza del Ministro della salute, quelle di protezione civile spettano alla Presidenza del Consiglio e quelle di ordine e sicurezza pubblica al Ministro degli interni; di conseguenza:

  • spetta al Ministro della salute – e non alle Regioni – assumere decisioni  sulla gestione dell’emergenza,
  • il Governo può emanare, a seconda della natura giuridica richiesta (decreti-legge, ad esempio, per consentire – estendendo gli ambiti operativi di “strade sicure” l’uso dell’esercito per attività di pubblica sicurezza, o limitare diritti costituzionali, DPCM se sufficienti a raggiungere lo scopo nell’ambito dell’attività regolamentare dell’esecutivo)
  • il Ministro degli interni – coordinando i prefetti – può potenziare il controllo del territorio, sottraendo ai sindaci il comando sugli appartenenti alla polizia locale che hanno la qualifica di agente di pubblica sicurezza, e ricorrendo anche alla guardie particolari giurate, che da TULPS hanno il dovere di eseguire gli ordini di agenti e ufficiali di pubblica sicurezza. Inoltre, tramite le questure, può intervenire sull’apertura e l’accesso agli esercizi commerciali e sulla circolazione dei cittadini.

E’ evidente che, in questo schema, regioni e comuni hanno uno spazio operativo estremamente limitato che si traduce nella possibilità di emanazione di provvedimenti che applicano, ma non sostituiscono e integrano, quelli emessi dal governo centrale.

L’esempio paradigmatico di questo stato confusionale è l’ordinanza emessa dal Ministro della salute con la quale si consente l’attività motoria individuale fuori casa ma nel rispetto della distanza di sicurezza che è frontalmente opposto a quella emanata dal sindaco di Pescara che vieta la medesima attività.

A prescindere dalla difficoltà di capire come un’ordinanza ministeriale possa derogare a un divieto imposto – con qualche dubbio di costituzionalità – da un decreto del presidente del consiglio, rimane il fatto che il provvedimento ministeriale sancisce l’inapplicabilità di quello sindacale.

Come ho già scritto, in una situazione di emergenza tutti questi ragionamenti possono essere facilmente controbattuti con un laconico “non rompete i c..esti con questi onanismi giuridici, qui abbiamo un Paese da salvare”. Ma allora ci si dovrebbe domandare quale sia il senso di avere una legislazione di emergenza, se quando deve essere messa in pratica viene disattesa a partire dal vertice e fino alle articolazioni locali dello Stato.

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