Cass. Sez. III penale Sent. n. 1857/2015

  L’espressione “tabulati telefonici” ha riferimento a quel complesso di dati esterni alle comunicazioni intercorse con linee telefoniche mobili o fisse. In effetti, il codice processuale non disciplina esplicitamente tale materia e, in particolare, le vicende riguardanti gli elementi di una conversazione telefonica diversi dal contenuto della stessa (utenza
dalla quale la chiamata proviene, data, ora e durata e collocazione
territoriale attraverso l’individuazione della celle). Ma va anche detto
che l’acquisizione dei tabulati telefonici ha, come evidenziato dalla
giurisprudenza di questa Corte Suprema, un grado di intrusività assai
limitato, il che impedisce di dover far ricorso alla rigorosa disciplina
di cui agli artt. 266 e ss. cod. proc. pen. dovendosi, piuttosto, fare
riferimento allo schema di cui all’art. 256 cod. proc. pen.,
eterointegrato dall’art. 15, comma secondo, Cost., secondo il quale la
libertà e la segretezza di ogni forma di comunicazione possono essere
limitate solo con atto motivato dell’Autorità giudiziaria. Il che si
traduce nella necessità – ai fini dell’acquisizione di dati esterni
relativi al traffico telefonico – di un decreto motivato del Pubblico
Ministero che dia ragione del privilegio accordato all’interesse
pubblico di perseguire i reati, presidiato dall’art. 112 Cost., sul
diritto alla privacy (in termini S.U. 21.6.2000 n. 16 Tammaro, Rv. 216247)”

Sentenza n. 1857/2015 del 23 marzo 2015

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

TERZA SEZIONE PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ALDO FIALE – Presidente –

Dott. RENATO GRILLO – Rel. Consigliere –

Dott. SILVIO AMORESANO – Consigliere –

Dott. GASTONE ANDREAZZA – Consigliere –

Dott. ALDO ACETO – Consigliere –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

  •  BERTINI PAOLO N. IL 07/07/1964 DATTILO ANTONIO N. IL 28/06/1971 DE SANTIS MASSIMO N. IL 08/04/1962
  • DELLA VALLE ANDREA N. IL 29/09/1965 DELLA VALLE DIEGO N. IL 30/12/1953 FOTI PASQUALE N. IL 03/02/1950 LOTITO CLAUDIO N. IL 09/05/1957 MAZZEI GENNARO N. IL 27/12/1957 MAZZINI INNOCENZO N. IL 14/07/1945 MENCUCCI SANDRO N. IL 18/07/1961
  • MOGGI LUCIANO N. IL 10/07/1937 PAIRETTO PIER LUIGI N. IL 15/07/1952 RACALBUTO SALVATORE N. IL 28/09/1961 BRESCIA CALCIO SPA
  • BOLOGNA FOOTBAL CLUB 1909 SPA FEDERAZIONE ITALIANA GIUOCO CALCIO FALLIMENTO VITTORIA 200 SRL
  • U S L E C C E S P A FEDERCONSUMATORI CAMPANIA ATALANTA BERGAMASCA CALCIO SPA
  • A.C. ASS.NE CALCIO FIRENZE FIORENTINA SPA
  • GAZZONI FRASCARA GIUSEPPE BANDIERA MARIO

avverso la sentenza n. 10786/2012 della CORTE APPELLO di NAPOLI, del 17/12/2013

  • visti gli atti, la sentenza e il ricorso
  • udita in PUBBLICA UDIENZA del 23/03/2015 la relazione fatta dal Consigliere Dott. RENATO GRILLO
  • Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Gabriele Mazzotta
  • Uditi, per le parti civili, i difensori Avv. MILELLA TITO LUCREZIO del Foro di Roma; Avv. CATALANOTTI Bruno del Foro di Milano; Avv. GUELI Emilio del Foro di Bergamo; Avv. SAMBATI Andrea del Foro di Lecce; Avv. SACCHI MORSIANI Giovanni del Foro di Bologna in proprio e quale sostituto dell’Avv. NICOLINI Giovanni del Foro di Bologna;
  • Udito per il responsabile civile: Avv. VITIELLO Giuseppe del Foro di Napoli; Avv. VICICONTE Gaetano del Foro di Firenze quale sostituto dell’Avv. BAGATTINI Federico del Foro di Firenze;
  • Uditi per gli imputati, i difensori, Avv. BONATTI Matteo del Foro di Torino; Avv. GALLINELLI Paolo del Foro di Roma; Avv. PICCA Francesco del Foro di Nola; Avv. KROGH Massimo del Foro di Napoli in proprio e quale sostituto dell’Avv. MORACE Carlo del Foro di Reggio Calabria; Avv. CASTALDO Andrea del Foro di Napoli in proprio e quale sostituto dell’Avv. LA RANA Agostino del Foro di Napoli; Avv. BOTTI Claudio del Foro di Napoli; Avv. MESSERI Mauro del Foro di Arezzo; Avv. VICICONTE Gaetano del Foro di Firenze in proprio e quale sostituto dell’Avv. BAGATTINI Federico del Foro di Firenze; Avv. PRIORESCHI Maurilio del Foro di Roma in sostituzione dell’Avv. CALEFFI Alberto del Foro di Varese; Avv. ANDREOLI Dario del Foro di Roma; Avv. GENTILE Gian Michele del Foro di Roma; Avv. FURGIUELE Alfonso del Foro di Napoli; Avv. TROFINO Paolo del Foro di Santa Maria Capua Vetere Avv. PRIORESCHI Maurilio del Foro di Roma in proprio

RITENUTO IN FATTO

  1. Con sentenza del 17 dicembre 2013 la Corte di Appello di Napoli riformava parzialmente la sentenza resa dal Tribunale di detta città in data 8 novembre 2011 appellata – per quanto qui rileva – da BERTINI Paolo, DATTILO Antonio, DE SANTIS Massimo, DELLA VALLE Andrea, DELLA VALLE Diego, FOTI Pasquale, LOTITO Claudio, MAZZINI Innocenzo, MENCUCCI Sandro, MOGGI Luciano, PAIRETTO Pier Luigi, RACALBUTO Salvatore, nonché dal Procuratore della Repubblica (quest’ultimo – per quanto qui rileva – nei confronti di BERTINI Paolo per i reati di cui ai capi c), p), r) e A2); DE SANTIS Massimo per i reati di cui ai capi e) e A6; DELLA VALLE Diego per il capo A9); MAZZINI Innocenzo per il reato di cui al capo A) comma 1° e A3); MOGGI Luciano per i reati di cui ai capi c), d), e), n), p) ed r); PAIRETTO Pier Luigi per il reato di cui al capo A) comma 1° e capi e), m), u), v) e A3); RACALBUTO Salvatore per il reato di cui al capo n) ed, ancora, dalle parti civili Brescia Calcio s.p.a.; Bologna Football Club 1999 s.p.a.; F.I.G.C.; Fallimento Victoria 2000 s.r.l.; Fallimento Salernitana Sport s.r.l., U.S. Lecce s.p.a.; nonchè in via incidentale, dal responsabile civile A.C. Associazione Calcio Firenze Fiorentina s.p.a., dalla AFC Juventus Football Club s.p.a. e dalla S.S. Lazio s.p.a..
    1. In particolare, per quanto qui di interesse, la Corte di appello dichiarava inammissibile l’appello proposto dall’U.S. Lecce s.p.a. e dal Brescia Calcio s.p.a., quest’ultimo limitatamente al gravame verso il responsabile civile AFC Juventus Football Club s.p.a., per sopravvenuta rinuncia all’impugnazione; assolveva DE SANTIS Massimo e FOTI Pasquale dal reato di cui al capo L) perché il fatto non sussiste, rideterminando la pena per il DE SANTIS, ferme le circostanze attenuanti generiche e la ritenuta continuazione per i residui reati di cui ai capi A),G) e A10) in anno uno di reclusione, con sospensione condizionale della pena; per il BERTINI e per il DATTILO in ordine ai residui reati loro rispettivamente ascritti ai capi A), M) e B), previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e con la ritenuta continuazione, in mesi dieci di reclusione ciascuno con il beneficio per entrambi della sospensione condizionale della pena.
    2. Dichiarava non doversi procedere nei confronti di PAIRETTO Pier Luigi in ordine ai reati di cui ai capi F), G) e Q) perché estinti per intervenuta prescrizione, rideterminando la pena per il residuo reato di cui al capo A) (art. 416 cod. pen. comma 1°), previa concessione delle circostanze attenuanti generiche, in anni due di reclusione, con il beneficio della sospensione condizionale della pena.
    3. Dichiarava non doversi procedere nei confronti di MAZZINI Innocenzo in ordine ai reati di cui ai capi U), V), A5) e A10) perché estinti per intervenuta prescrizione, rideterminando la pena per il residuo reato di cui al capo A) (art. 416 cod. pen. comma 1°), previa concessione delle circostanze attenuanti generiche, in anni due di reclusione con il beneficio della sospensione condizionale della pena.
    4. Dichiarava non doversi procedere nei confronti di MOGGI Luciano in ordine ai reati di cui ai capi B), F), G), I), M), O), Q), Z) e A5) perché estinti per intervenuta prescrizione, rideterminando la pena per il residuo reato di cui al capo A) (art. 416 cod. pen. comma 1°), previa concessione delle circostanze attenuanti generiche in anni due e mesi quattro di reclusione.
    5. Dichiarava, ancora, in accoglimento dell’appello del Procuratore della Repubblica, non doversi procedere nei confronti di FABIANI Mariano in ordine al reato sub A) e di MAZZEI Gennaro in ordine al reato sub A7), perché estinti per intervenuta prescrizione.
    6. Dichiarava non doversi procedere nei confronti di RACALBUTO Salvatore, FOTI Pasquale, DELLA VALLE Diego, DELLA VALLE Andrea, MENCUCCI Sandro, LOTITO Claudio, MEANI Leonardo, PUGLISI Claudio e TITOMANLIO Stefano in ordine ai reati agli stessi rispettivamente ascritti, perché estinti per intervenuta prescrizione.
    7. Revocava le pene accessorie nei confronti di MOGGI Luciano, RACALBUTO Salvatore, FOTI Pasquale, DELLA VALLE Diego, DELLA VALLE Andrea, MENCUCCI Sandro, LOTITO Claudio, MEANI Leonardo; PUGLISI Claudio, TITOMANLIO Stefano, MAZZINI Innocenzo e PAIRETTO Pierluigi.
    8. Condannava MAZZEI Gennaro, in solido con il già condannato TITOMANLIO Stefano, al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile Fallimento Salernitana Sport s.p.a., da liquidarsi in separata sede ed il solo MAZZEI, inoltre, al pagamento delle spese sostenute dalla detta parte civile anche nel primo grado di giudizio, oltre alle spese del grado.
    9. Condannava il predetto MAZZEI Gennaro al risarcimento in favore delle parti civili Ministero dell’Economia e delle Finanze AA.MM.SS.; del Ministero delle Politiche Giovanili e della F.I.G.C. da liquidarsi in separata sede, oltre alla spese di costituzione per il doppio grado di giudizio.
    10. Condannava in solido i nominati BERTINI Paolo, DATTILO Antonio, DE SANTIS Massimo, DELLA VALLE Diego, DELLA VALLE Andrea, FOTI Pasquale, LOTITO Claudio, MAZZINI Innocenzo, MEANI Leonardo MENCUCCI Sandro, MOGGI Luciano, PAIRETTO Pierluigi, PUGLISI Claudio, RACALBUTO Salvatore e TITOMANLIO Stefano alle spese di costituzione in favore delle costituite parti civili Ministero dell’Economia e delle Finanze AA.MM.SS.; del Ministero delle Politiche Giovanili e della F.I.G.C., confermando le statuizioni civili risarcitorie pronunciate nei confronti dei detti imputati
    11. La Corte territoriale respingeva anche le richieste di sequestro conservativo proposte dalla società Brescia e dai Ministeri dell’Economia e Finanze e delle Politiche Giovanili nei confronti di MOGGI Luciano.
    12. Dichiarava inoltre inammissibili le richieste di rivalutazione delle spese processuali liquidate dal Tribunale ai difensori delle parti civili ed ancora le richieste avanzate dalla societàBrescia calcio nei confronti delle società AFC. Juventus s.pa. e U.S. Lecce s.pa. per rinuncia
    13. Con la detta sentenza venivano in riforma della decisione del Tribunale revocate le statuizioni risarcitorie nei confronti della Federconsumatori Campania, del Brescia Calcio, della Curatela del Fallimento Victoria 2000, del Bologna F.C. dell’Atalanta Bergamasca Calcio e dell’ US Lecce.
    14. Veniva rigettata la richiesta della parte civile F.I.G.C. in relazione alla esclusione quale responsabile civile della Juventus F.C., nonchè le richieste di provvisionale avanzate dai predetti due Ministeri, dalla F.I.G.C. e dal Fallimento Salernitana s.p.a. Confermava, nel resto, la sentenza impugnata.
  2. Con successiva ordinanza emessa ai sensi dell’art. 130 cod. proc. pen. in data 20 dicembre 2013, la detta Corte distrettuale disponeva correggersi ai sensi dell’art. 130 cod. proc. pen. il dispositivo della detta sentenza con l’apposizione della frase “revocando le statuizioni civili di primo grado tranne che per il Ministero dell’Economia e delle Finanze – AA.MM.SS. – e del Ministero per le Politiche Giovanili e Sportive, la FIGC e Fallimento Salernitana Sport s.p.a.”, subito dopo la frase figurante nel citato dispositivo “Rigetta le richieste delle altre Parti civili”.
    1. A seguito di impugnazione della detta ordinanza da parte del BRESCIA CALCIO s.p.a., la Corte distrettuale revocava la menzionata ordinanza del 20 dicembre 2013 e, con altro provvedimento correttivo del 20 marzo 2014, successivo al deposito della sentenza qui impugnata, procedeva ad una ulteriore emendatio dell’errore materiale contenuto nel dispositivo della sentenza, sostituendo l’espressione originaria “Rigetta le richieste delle altre parti civili, Conferma nel resto” con l’espressione “Revoca le statuizioni delle altre parti civili e rigetta le ulteriori richieste”.
  3. Avverso la detta sentenza propongono ricorso, nell’ordine, gli imputati BERTINI Paolo, DATTILO Antonio, DE SANTIS Massimo, DELLA VALLE Andrea, DELLA VALLE Diego, FOTI Pasquale, LOTITO Claudio, MAZZEI Gennaro, MAZZINI Innocenzo, MENCUCCI Sandro, MOGGI Luciano, PAIRETTO Pier Luigi e RACALBUTO Salvatore.
    1. Propongono, altresì, ricorso avverso la detta sentenza, ai soli effetti civili nonchè avverso l’ordinanza resa il 20 dicembre 2013, nell’ordine, le parti civili costituite Brescia Calcio s.p.a.; Atalanta Bergamasca Calcio s.p.a.; Bologna Football Club 1999 s.p.a.; F.I.G.C.; Curatela del Fallimento Victoria 2000 s.r.l. (in sostituzione della precedente parte civile Fallimento Victoria 2000 s.r.l.); U.S. Lecce s.p.a. e Associazione Federconsumatori Campania, nonché il responsabile civile A.C. Associazione Calcio Firenze Fiorentina s.p.a. con riferimento alla sola sentenza del 17 dicembre 2013.
    2. Inoltre la parte civile Brescia Calcio s.p.a. propone ricorso anche contro l’ordinanza pronunciata nel giudizio di appello dalla Corte territoriale in data 15 ottobre 2013, nella parte in cui era stata dichiarata l’inammissibilità dell’appello incidentale interposto dalla detta società sportiva contro la S.S. Lazio s.pa.
    3. Ancora la detta parte civile, nonchè le altre parti civili Atalanta Bergamasca Calcio s.p.a.; Bologna Football Club 1999 s.p.a., Curatela Fallimento Victoria 2000 s.r.l. interpongono ricorso anche contro la successiva ordinanza – correttiva e sostitutiva della precedente ordinanza del 20 dicembre 2013 (poi revocata) – pronunciata inter partes in data 20 marzo 2014 e, di riflesso, contro la parte così emendata del dispositivo della sentenza qui impugnata.
    4. In particolare il ricorrente BERTINI Paolo, che ha espressamente rinunciato alla prescrizione, deduce cinque articolati motivi. Con il primo lamenta – sotto un primo profilo – carenza assoluta di motivazione nella parte della sentenza in cui viene omessa qualsiasi considerazione in merito alle preliminare eccezione (tempestivamente dedotta nel giudizio di primo grado, disattesa dal Tribunale e reiterata con l’atto di appello) sollevata in ordine alla nullità del decreto ex art. 429 cod. proc. pen. ed atti di seguito per la mancata indicazione delle generalità dell’imputato in spregio all’art. 429 comma 2 cod. proc. pen. in relazione al comma 1 lett. a) e, in ogni caso, inosservanza della legge processuale penale per erronea applicazione degli artt. 125 comma 3, 178, 181 comma 3, 185 comma 1, 429 comma 2 in rel. al comma 1 del codice processuale. Sotto un secondo profilo, analogo, per struttura al precedente, il ricorrente si duole della mancata motivazione da parte della Corte territoriale in ordine alle censure (già sollevate tempestivamente nel corso del giudizio di primo grado, disattese dal Tribunale e riproposte con l’atto di appello) riguardanti l’asserita indeterminatezza e/o genericità del capo di imputazione sub M) ed in ogni caso la inosservanza dell’art. 429 comma 1 lett. c); sotto un terzo e più articolato aspetto, la difesa lamenta analogo vizio motivazionale con riferimento alla mancata esclusione della F.I.G.C. quale parte civile invocata in relazione al difetto di giurisdizione (per violazione della clausola compromissoria di cui all’art. 4 della L. 91/81 come recepita dal codice di giustizia della F.I.G.C. all’epoca vigente) e alla carenza di legittimazione attiva in relazione all’intervenuto giudizio disciplinare definito con sentenza di proscioglimento sui medesimi fatti oggetto di azione disciplinare promossa dall’Organo requirente della F.I.G.C. Con il secondo motivo la difesa lamenta vizio di travisamento della prova in ordine al ritenuto possesso e/o riconducibilità al BERTINI della cd. “scheda telefonica estera” (su cui viene sostanzialmente fondato il giudizio di colpevolezza per il delitto di cui al capo A), nella parte in cui risultano travisate le testimonianze di PAPARESTA Romeo e PAPARESTA Gianluca e, ancora, risulta travisato il contenuto del documento costituito dal tabulato telefonico relativo all’utenza telefonica 3356506202 in uso allo stesso PAPARESTA Gianluca. Nell’ambito del detto motivo viene denunciato vizio assoluto di motivazione per carenza e/o apparenza, con riguardo a quella parte della sentenza in cui si afferma la partecipazione del BERTINI all’associazione criminale di cui al capo A), nonché manifesta illogicità con riferimento alla ritenuta comunanza di intenti tra il BERTINI ed altri presunti associati (in specie MOGGI Luciano). Con il terzo motivo si lamenta violazione di legge per erronea applicazione dell’art. 1 comma 1° ultima parte della L. 401/89 (censurato anche, sia pure marginalmente, in punto di legittimità costituzionale per violazione degli artt. 3 e 25 Cost.) nonchè manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione in ordine alla corretta qualificazione della fattispecie. Con il quarto motivo – funzionalmente collegato con il precedente – il ricorrente si duole del vizio di carenza di motivazione e contraddittorietà e in via subordinata di inosservanza ed erronea applicazione della legge penale (art. 1 della L. 401/89) in riferimento al reato di cui al capo M) (concorso nel delitto di frode sportiva) tanto con riguardo alla mancata valutazione dell’elemento oggettivo del reato (concorso dell’extraneus), quanto dell’elemento soggettivo, nonché, ancora, di vizio di travisamento della prova con riferimento ai contenuti di alcune telefonate intercettate e manifesta illogicità. Infine, con il quinto motivo il ricorrente censura la sentenza impugnata per carenza assoluta della motivazione in punto di diniego dell’invocato beneficio di cui all’art. 175 cod. pen.
    5. Il ricorrente DATTILO Antonio, che ha espressamente rinunciato alla prescrizione, deduce sei articolati motivi sintetizzabili nel modo che segue. Con il primo viene lamentata falsa applicazione della legge penale processuale nella parte in cui la Corte territoriale, riprendendo le motivazioni rese dal Tribunale, ha disatteso l’eccezione di incompetenza territoriale formulata già nel corso del giudizio di primo grado. In particolare vengono segnalati i numerosi elementi di tipo processuale desunti dall’art. 9 cod. proc. pen. in base al quale, secondo le regole suppletive ivi enunciate (da applicarsi, non essendo certo il locus commissi delicti) la competenza andava in via gradata individuata a Roma (luogo in cui aveva sede “operativa” la maggior parte degli associati e la Federazione di appartenenza), a Udine (luogo del primo reato-scopo tra quelli indicati dopo la lettera A) o a Lecce (ultimo luogo in cui sarebbe avvenuta parte dell’azione delittuosa di tipo commissivo od omissivo, ma non certamente a Napoli (luogo in cui sarebbe avvenuta la prima consegna della scheda estera da parte del MOGGI, o di un proprio emissario, all’ex arbitro internazionale e designatore della C.A.N. “D”, PAPARESTA Romeo). Nell’ambito del predetto motivo il ricorrente ulteriormente osserva che, anche a voler seguire il ragionamento della Corte distrettuale circa l’individuazione di Napoli quale luogo della prima consegna della scheda e dunque di operatività iniziale dell’associazione delinquenziale, la competenza andava, comunque, individuata nel luogo in cui era stato deciso di acquistare il pacchetto di schede svizzere (Torino, giugno 2004). Con il secondo motivo viene dedotta, in riferimento al reato di cui al capo B) e alla sentenza di primo grado, violazione della legge penale processuale per inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 521 cod. di rito (difetto di correlazione tra accusa (commissione di atti fraudolenti in occasione della gara UDINESE-BRESCIA disputata il 26.9.2004) e sentenza (che ha omesso di motivare su tale specifica contestazione sollevata con l’atto di appello, limitandosi ad affrontare la dedotta questione processuale solo con riferimento al reato associativo sub A). Con il terzo motivo si deduce il medesimo vizio relativamente al capo B) nella misura in cui la colpevolezza per il reato di frode sportiva enunciato in quel capo di imputazione è stata affermata non già con riferimento alla commissione degli atti fraudolenti (in realtà dimostratisi insussistenti) riguardanti la detta gara di campionato, bensì con riferimento a contatti tra uno degli associati (MOGGI) e lo stesso DATTILO, sia prima che dopo tale gara (fatto mai primo contestato e per il quale il ricorrente non era stato posto in grado di difendersi). Con il quarto motivo viene dedotta altra violazione di legge per erronea applicazione e/o inosservanza della legge penale (art. 1 L. 401/89) per avere la Corte distrettuale inquadrato la fattispecie contestata non nell’ambito del reato di pericolo astratto ma in quello di “attentato” a consumazione anticipata; viene, altresì, denunciato vizio di motivazione sotto il duplice profilo del travisamento della prova e della manifesta illogicità (oltre che inosservanza della legge processuale con riferimento all’art. 192 cod. di rito). Con riguardo al quinto motivo si deduce il vizio motivazione per contraddittorietà ed illogicità manifesta con riguardo al reato di cui al capo A) (per il quale il DATTILO era stato assolto in primo grado) sia per ciò che concerne la valutazione dell’elemento oggettivo del reato caratterizzata nel percorso argomentativo della Corte distrettuale da vistosi travisamenti della prova dichiarativa e documentale, sia per ciò che concerne la valutazione dell’elemento soggettivo del reato associativo. Con l’ultimo motivo si deduce vizio di motivazione con riferimento alle statuizioni civili limitatamente a quelle pronunciate nei riguardi della F.I.G.C. e del Ministero dell’Economia e Finanze, essendo la Corte distrettuale incorsa in manifesta illogicità e contraddittorietà nella parte in cui ha ritenuto sussistente un danno (pregiudizio all’immagine) subito dai detti enti, una volta acclarato ed escluso da parte della Corte territoriale che il campionato di calcio riguardante la stagione 2004-2005 non era stato alterato da alcuna delle condotte contestate agli imputati.
    6. Il ricorrente DE SANTIS Massimo, che ha, anch’egli, rinunciato alla prescrizione, deduce quattro motivi di ricorso riassumibili come segue. Con il primo motivo – riferito al delitto di cui al capo A) – si denuncia la nullità della sentenza per vizio di motivazione nelle sue tre articolazioni e per travisamento della prova con riferimento alla partecipazione dell’imputato alla associazione criminosa, in particolare, rilevando l’esistenza dei vizi denunciati nel successivi quattro sub-motivi ricollegati: 1) alla adesione ed al contributo causale apportato dal DE SANTIS all’associazione; 2) al ritenuto possesso da parte del DE SANTIS della scheda estera; 3) alla ritenuta partecipazione del DE SANTIS alle riunioni conviviali; 4) alla cd. “protezione mediatica”. Con il secondo motivo si lamenta la nullità della sentenza impugnata per inosservanza della legge penale (art. 1 della L. 401/89) per avere la Corte distrettuale erroneamente qualificato il reato di frode sportiva come delitto di attentato con anticipazione della soglia di punibilità e non come reato di pericolo presunto: l’esistenza del suddetto vizio viene poi posta in collegamento in due sub-motivi con i reati-scopo indicati sotto le lettere G) (riferimento alla gara Fiorentina – Bologna del 4.12.2004) e A10) (riferimento alla gara Lecce- Parma del 29.5.2005), rilevandosi per tali reati la carenza assoluta di motivazione in ordine alla indicazione degli atti fraudolenti asseritamente posti in essere dal DE SANTIS, idonei ad integrare la fattispecie. Con il terzo motivo viene censurata l’ordinanza pronunciata dalla Corte distrettuale il 15 ottobre 2013 con la quale veniva negata l’acquisizione agli atti del processo del dispositivo della sentenza emessa dalla Sezione Giurisdizionale della Corte dei Conti Regione Lazio in data 17 ottobre 2012 con la quale il DE SANTIS era stato condannato al risarcimento dei danni morali (da lesione dell’immagine) nei confronti della F.I.G.C. perchè ritenuto dalla Corte di Napoli documento interlocutorio. Con il quarto – ed ultimo – motivo si lamenta la nullità della sentenza per inosservanza delle disposizioni processuali penali (artt. 538 e 549 cod. proc. pen.) nella parte in cui la Corte territoriale ha confermato la condanna del DE SANTIS al risarcimento del danno nei confronti della F.I.G.C. avendo ritenuto il danno in re ipsa e non sulla base di prove dimostrative della esistenza di un nesso eziologico tra la condotta del DE SANTIS e il danno asseritamente subito dalla Federazione calcistica. Viene altresì dedotta la nullità della sentenza nella parte in cui è stata confermata la statuizione della condanna generica al risarcimento del danno non patrimoniale nei riguardi della F.I.G.C. trattandosi di una vera e propria duplicazione della corrispondente statuizione del giudice amministrativo-contabile.
    7. I ricorrenti DELLA VALLE Andrea, DELLA VALLE Diego e MENCUCCI Sandro (la cui posizione è comune) denunciano sette articolati motivi. Con il primo lamentano inosservanza ed erronea applicazione della norme penali processuali (artt. 129 comma 2 e 578 cod. proc. pen.) in correlazione con gli artt. 530 e 533 stesso codice, per avere la Corte affermato la penale responsabilità dei tre imputati (salvo poi a dichiarare la prescrizione per tutte le ipotesi delittuose contestate), inquadrando erroneamente le fattispecie delittuose e mancando di rispondere alle specifiche censure difensive sollevate con l’atto di appello oltre che di provvedere, sia pure in parte, sulla richiesta di parziale rinnovazione dell’istruzione dibattimentale. Con il secondo motivo viene denunciata la violazione di legge relativamente agli artt. 190 e 495 comma 1, 603 cod. proc. pen. per avere la Corte di merito omesso di effettuare una valutazione preventiva della richiesta di rinnovazione dibattimentale nel contraddittorio con le parti, avendo riservato la decisione sulla richiesta alla pronuncia definitiva e non con ordinanza dibattimentale. Con il terzo motivo, strettamente connesso al precedente, viene dedotta altra violazione della legge penale processuale per avere la Corte provveduto – sia pure in uno alla sentenza – soltanto su una parte della richiesta di rinnovazione dell’istruzione (quella relativa alla perizia trascrittiva di alcune conversazioni telefoniche ritenute rilevanti) ma non su una prova sopravvenuta riguardante una asserita registrazione audio dell’incontro svoltosi presso l’Hotel Villa La Massa tra gli odierni ricorrenti e i coimputati MAZZINI e BERGAMO. Con il quarto motivo si denuncia la inosservanza della legge penale processuale e sostanziale con riferimento ai reati contestati ai capi A5 e A10, per avere la Corte omesso di verificare compiutamente la configurabilità, dal punto di vista strutturale, dell’art. 1 della L. 401/89, incorrendo, così, nella violazione degli artt. 129 comma 2 e 578 cod. proc. pen.: in particolare rileva la difesa che il reato di frode sportiva è stato inesattamente inquadrato dalla Corte territoriale nei cd. “delitti di attentato” con anticipazione della soglia di punibilità ai meri contatti tra imputati, senza alcun dare alcun rilievo all’elemento costitutivo del reato rappresentato dalla fraudolenza degli atti diretti ad alterare il risultato di gara che consente di inquadrare la fattispecie del reato a condotta libera. Le gare disputate dalla Fiorentina nell’ultimissimo scorcio di campionato (Chievo-Fiorentina e Fiorentina-Brescia) sono state ritenute dalla Corte di Appello immuni da combine sicchè i contatti giudicati anomali dalla Corte di merito e meritevoli di rilevanza penale erano, in realtà, finalizzati ad ottenere un risultato opposto a quello contestato nei due capi di imputazione. Da qui l’ulteriore censura di omessa valutazione dell’elemento soggettivo del reato. Nell’ambito del detto motivo viene anche dedotto il difetto assoluto di motivazione in ordine alla individuazione delle condotte specifiche attribuite ai ricorrenti sia con riferimento ai detti incontri di calcio che alla gara Lecce-Parma disputatasi in contemporanea all’incontro Fiorentina-Brescia, sia con riferimento ai contatti intercorsi tra i ricorrenti e i vertici federali e dell’AIA, comunque avvenuti dopo la disputa di uno dei due incontri (Chievo-Fiorentina). Con il quinto motivo si deduce la carenza assoluta di motivazione in punto di ritenuta sussistenza di un illecito civile produttivo di danno inconciliabile con una condanna generica al risarcimento. Con il sesto motivo connesso al precedente, viene censurata, sotto altro profilo, la decisione impugnata in punto di statuizioni civili in favore di non meglio precisate due (delle quattro) parti civili costituite indicate dalla Corte di Appello. L’ultimo motivo è dedicato alla inosservanza delle disposizioni civilistiche di cui all’art. 1175 cod. civ. in relazione all’art. 360 n. 3), 4) e 5) cod. proc. civ. per avere la Corte di Napoli mancato di osservare il divieto per la F.I.G.C. di richiedere il risarcimento per fatti illeciti che la stessa Federazione avrebbe dovuto istituzionalmente prevenire e reprimere, così incorrendo nel divieto del principio nemo potest contra factum proprium venire, fissato dall’art. 1175 cod. civ. (cd. regola dell’autoresponsabilità).
    8. Il ricorrente FOTI Pasquale nel proprio ricorso, articola tre motivi: con il primo lamenta violazione di legge per inosservanza delle disposizioni penali processuali e difetto assoluto di motivazione in punto di ritenuta incompetenza territoriale del Tribunale di Napoli, con specifico riguardo alla erronea applicazione dell’art. 12 lett. b) e 16 cod. proc. pen. (in tema di connessione) in relazione alla circostanza che i reati ascritti al FOTI sub H) ed S) (due distinti episodi di frode sportiva riguardanti la società Reggina (della quale il FOTI era all’epoca dei fatti – e lo è tutt’ora – Presidente) non erano connessi al reato associativo sub A) non ascritto al FOTI. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge per indebita utilizzazione delle intercettazioni telefoniche effettuate su utenze intestate al FOTI (coinvolto nel procedimento solo dopo l’avviso di conclusione delle indagini preliminari) per alcuni colloqui intercorsi con il designatore e coimputato BERGAMO Paolo alla vigilia di incontri calcistici riguardanti la Reggina), nonostante il titolo dei reati ascritti al FOTI non consentisse per il livello edittale della pena, il ricorso ad intercettazioni (tesi, peraltro, accolta nel parallelo giudizio disciplinare sportivo di ultima istanza di fronte alla Camera di Conciliazione del C.O.N.I. definito con il proscioglimento dell’incolpato). L’ultimo motivo riguarda la inosservanza ed erronea applicazione della legge penale (art. 1 della L. 401/89) inquadrato erroneamente dalla Corte territoriale sotto il paradigma del delitto di attentato con anticipazione della soglia di punibilità a fatti inidonei di per sé a giustificare il tentativo, se correttamente inquadrata la fattispecie nel reato di pericolo concreto. Si afferma da parte del ricorrente la inconfigurabilità del cd. “atto fraudolento” volto al medesimo scopo di alterazione della gara, in assenza di atti in concreto inidonei a manipolare il risultato, tesi prospettata con riferimento ad entrambe le ipotesi delittuose contestate e definite con sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione.
    9. Il ricorrente LOTITO Claudio (prosciolto per prescrizione da entrambe le imputazioni contestategli ai capi U) e V) concernenti due distinti episodi di frode sportiva ex art. 1 L. 401/89), denuncia, con un primo motivo, violazione di legge per inosservanza delle disposizioni penali processuali e difetto assoluto di motivazione in punto di ritenuta incompetenza territoriale del Tribunale di Napoli, con specifico riguardo alla erronea applicazione dell’art. 12 lett. b) e 16 cod. proc. pen. (in tema di connessione) in relazione alla circostanza che i reati ascritti al LOTITO sub U) e V) (due distinti episodi di frode sportiva riguardanti la società Lazio, della quale il LOTITO era all’epoca dei fatti – ed è tutt’ora – Presidente) non erano connessi al reato associativo sub A) mai ascritto al LOTITO. Secondo la prospettazione difensiva, vista l’incertezza sulla individuazione del locus commissi delicti relativamente al reato associativo (comunque non ascritto al LOTITO), la competenza territoriale avrebbe dovuto essere individuata in via alternativa secondo i criteri suppletivi di cui agli artt. 8 e 9 cod. proc. pen., a Roma o a Firenze (in relazione al luogo di effettuazione dei sorteggi arbitrali con il metodo delle “griglie” identificato in Coverciano). Con il secondo motivo la difesa del ricorrente deduce violazione di legge per indebita utilizzazione delle intercettazioni telefoniche effettuate su utenze intestate al LOTITO per alcuni colloqui intercorsi con altri imputati del delitto di cui all’art. 416 cod. pen. nonostante al LOTITO non fosse mai stata contestata quest’ultima ipotesi delittuosa ed il titolo dei reati contestati vietasse il ricorso alle captazioni telefoniche e/o ambientali: si rileva sul punto come la Corte territoriale abbia omesso di fornire risposta alle specifiche censure avanzate con l’atto di appello. Con un terzo, articolato, motivo la difesa si duole della inosservanza e/o erronea applicazione della legge penale (art. 1 della L. 401/89) in materia di frode sportiva per avere la Corte distrettuale inquadrato la detta figura criminosa sotto il paradigma del delitto di attentato a consumazione anticipata e non come comune delitto di pericolo concreto per il quale è ammesso il tentativo (ove configurabile in concreto) punibile: oltretutto, rileva il ricorrente, manca nella specie il “sinallagma contrattuale” o accordo fraudolento indispensabile per la qualificazione della fattispecie punibile. Viene, altresì, evidenziato il parallelismo – escluso dalla Corte di merito – tra il reato de quo e la fattispecie delineata dall’art. 7 Codice di Giustizia Sportiva della F.I.G.C. vigente all’epoca dei fatti. Con un quarto, specifico, motivo viene censurata la decisione impugnata per manifesta illogicità della motivazione in punto di valutazione da parte della Corte territoriale della procedura di sorteggio arbitrale con il metodo delle griglie, ritenuta irregolare e fraudolenta (procedura circoscritta alla sola stagione sportiva 2004-2005 rispetto alla procedura della designazione diretta seguita sia prima che dopo tale stagione). Con un quinto – ed ultimo – motivo, la difesa del ricorrente lamenta vizio di manifesta illogicità in punto di ritenuta sussistenza del reato di frode sportiva ascrivibile sotto il profilo oggettivo e soggettivo al LOTITO con riferimento alla salvezza della Lazio ed alla attuazione di un piano volto alla rielezione di CARRARO Franco (già Presidente della F.I.G.C.) ai massimi vertici federali ed indicato come soggetto di riferimento per contatti con il mondo arbitrale per favorire la predetta società calcistica.
    10. Il ricorrente MAZZEI Gennaro prospetta sette specifici motivi riassumibili nel modo che segue. Con il primo, la difesa si duole della carenza assoluta di motivazione in cui è incorsa la Corte distrettuale nella parte della sentenza con la quale ha ritenuto ammissibile l’appello della curatela fallimentare Salernitana Sport s.p.a. nonostante la specifica eccezione di inammissibilità per difetto di legittimazione attiva del difensore appellante, sollevata dal MAZZEI con l’atto di appello. Con il secondo motivo viene dedotta inosservanza delle norme processuali di cui all’art. 591 comma 1 lett. c) cod., proc. pen. in relazione all’art. 581 stesso codice in quanto, a fronte di una richiesta di assoluzione del Procuratore Generale per il reato di cui al capo A7 (per il quale era stato proposto appello dal P.M. avverso la sentenza assolutoria del Tribunale), la Corte territoriale ha omesso di dichiarare l’inammissibilità dell’appello per inosservanza dell’art. 581 cod. di rito. Con un terzo motivo si censura sotto diverso profilo la sentenza impugnata per inosservanza delle norme processuali penali, per avere la Corte distrettuale, a fronte di un appello interposto dal P.M. nei riguardi del MAZZEI per il solo reato sub A7) e della parte civile Curatela Salernitana Sport s.p.a. interposto solo con riferimento al delitto associativo (per il quale il MAZZEI era stato assolto dal Tribunale in via definitiva) e solo nei riguardi degli imputati condannati per tale delitto, la Corte territoriale ha indebitamente pronunciato ultra petita ed oltre il devoluto, sentenza di condanna del MAZZEI al risarcimento del danno in favore della detta parte civile. Argomento sostanzialmente analogo, riferito alla F.I.G.C., viene sollevato con il quarto motivo (vizio di ultra petizione) rispetto al devolutum, avendo, anche in questo caso, la Corte distrettuale condannato il MAZZEI al risarcimento del danno in favore della parte civile F.I.G.C. Analoghi argomenti vengono sviluppati in seno al quinto motivo concernente le statuizioni di condanna a carico del MAZZEI in favore delle altre parti civili costituite (Ministero dell’Economia e Finanze e Ministero delle Politiche Giovanili), nonostante nessuna delle dette parti avesse interposto appello, ai soli fini civili, avverso la sentenza di assoluzione del MAZZEI dal reato di cui al capo A). Il sesto motivo è, invece, dedicato alla carenza di motivazione ed inosservanza delle norme processuali penali (art. 522 cod. proc. pen.) per travisamento della prova e manifesta illogicità con riferimento ad alcune prove dichiarative e atti processuali illogicamente valutati o travisati dalla Corte di merito. Motivo sostanzialmente analogo il settimo, con il quale la difesa lamenta vizio di motivazione in tutte le sua articolazioni e inosservanza dell’art. 522 cod. proc. pen. con riferimento alla ritenuta designazione asseritamente sollecitata dal MAZZEI, dell’assistente TITOMANLIO Stefano per l’incontro di calcio Arezzo-Salernitana (incontro oggetto del delitto di frode sportiva di cui al capo A7 per il quale il MAZZEI ha riportato condanna su appello del Pubblico Ministero) considerata circostanza determinante atta ad integrare la fattispecie delittuosa di cui all’art. 1 della L,. 401/89.
    11. Il ricorrente MAZZINI Innocenzo formula sei articolati motivi riassumibili come segue. Con il primo si denuncia, alla luce della sentenza CEDU Grande Stevens ed altri c. Italia del 4 marzo 2014 la violazione dell’art. 649 cod. proc. pen. in relazione agli artt. 2, 18,11 e 117 Cost. e 4 n. 7 CEDU, rilevandosi l’illegittimità del sistema detto del “doppio binario” secondo il quale quando la stessa condotta è sanzionata contemporaneamente in via amministrativa e penale può essere applicata soltanto una sanzione, con la conseguenza che una volta irrogata una di esse non è possibile risanzionare la stessa persona per lo stesso fatto con altra sanzione avente la stessa natura. Si rileva – con riferimento al caso di specie – che la Corte territoriale ha omesso di riconoscere la natura penale alla sanzione inflitta al MAZZINI dall’Alta Corte di Giustizia del CONI della preclusione definitiva a ricoprire qualsiasi ruolo in seno alla F.I.G.C. Nell’ambito del detto motivo viene sollevata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 649 cod. proc. pen. per contrasto con gli artt. 24 comma 2° e 117 comma 1° Cost. nella parte in cui non viene prevista l’applicazione del principio del ne bis in idem qualora ad un procedimento amministrativo sostanzialmente di natura penale faccia seguito l’attivazione di altro procedimento di natura penale in senso stretto. Con il secondo motivo si deduce vizio di motivazione per contraddittorietà e manifesta illogicità con riferimento al reato associativo di cui al capo A) in relazione alla mancata valutazione da parte della Corte distrettuale di una prova decisiva con specifico riferimento ad alcune telefonate intercorse tra altri imputati dimostrative della insussistenza del reato associativo a carico del ricorrente o comunque della sua partecipazione al sodalizio. Con il terzo motivo viene denunciata l’erronea applicazione della legge penale e il difetto di motivazione per contraddittorietà ed illogicità manifesta con riguardo, sempre, al reato associativo di cui al capo a), con specifico riferimento al ruolo di organizzatore attribuito al ricorrente (ruolo escluso dal Tribunale e riconosciuto dalla Corte territoriale in accoglimento del gravame interposto sul punto dal Pubblico Ministero). In particolare vengono sottolineate carenze argomentative in riferimento alla mancata organizzazione da parte del MAZZINI di incontri con altri vertici federali o dirigenti di società finalizzati alla commissione di illeciti penalmente rilevanti e il mancato possesso di schede estere (giudicato dalla Corte come elemento cardine dimostrativo per altri imputati dell’appartenenza all’associazione delittuosa). Con il quarto motivo, collegato al precedente, si denuncia difetto di motivazione in riferimento alla omessa valutazione di una prova decisiva (favorevole all’imputato) rappresentata dal mancato possesso di schede estere. Con il quinto motivo – sempre riferito al reato associativo di cui al capo A) – viene denunciato difetto di motivazione e sua manifesta illogicità relativamente alla parte della sentenza in cui si è ritenuto di ricavare dall’interessamento fattivo del MAZZINI all’operazione di salvataggio della Fiorentina (nell’ambito di una situazione di contrapposizione tra due opposti gruppi in vista della elezione del Presidente della FIGC) prova della sua appartenenza all’associazione. Con il sesto – ed ultimo – motivo, viene dedotto analogo vizio di motivazione per carenza, contraddittorietà e/o manifesta illogicità, nonché inosservanza della legge penale (in riferimento all’art. 1 della L. 401/89) in relazione alle residue imputazioni per i reati-scopo di cui ai capi U), V), A5) e A10) per avere la Corte distrettuale, erroneamente interpretando la norma penale in tema di reato di frode sportiva, omesso di pronunciare il proscioglimento immediato ex art. 129 cod. proc. pen. per insussistenza del fatto, provvedendo invece a dichiarare estinti i detti reati per intervenuta prescrizione. Viene richiamato, a conforto della tesi relativa alla inconfigurabilità della frode sportiva, il decreto di archiviazione del G.I.P. del Tribunale di Torino nell’ambito di altro procedimento (proc. n. 14347 a carico di MOGGI, GIRAUDO e PAIRETTO) per il delitto di cui all’art. 1 della L. 401/89 per il quale era stata disposta l’archiviazione su conforme richiesta del P.M. in relazione alla insussistenza del delitto in esame in presenza di meri contatti tra dirigenti arbitrali e dirigenti di società in vista della designazione dell’arbitro di gara inidonei ad integrare la fattispecie penale.
    12. Il ricorrente MOGGI Luciano ha articolato il proprio ricorso in dodici motivi di cui i primi cinque vertenti su questioni processuali. Con il primo di essi viene, in particolare, denunciata l’inosservanza della legge processuale (art. 521 cod. proc. pen.) e l’omessa motivazione per avere la Corte distrettuale, da un lato, confermato la condanna nei riguardi dell’imputato per fatti non compresi della originaria contestazione relativa al capo A) (delitto associativo), in quanto, rispetto ad una originaria ipotesi accusatoria che vedeva il MOGGI partecipe di una associazione volta a favorire con programmate condotte penalmente illecite la squadra della Juventus di cui lo stesso MOGGI era direttore generale, l’imputato è stato poi condannato per fatti finalizzati a salvaguardare interessi personali del MOGGI. Si denuncia, altresì, il vizio di motivazione per avere la Corte territoriale omesso di rispondere alle censure sollevate su tali specifici punti nell’atto di appello o, comunque, per avere dato risposta manifestamente illogica alle dette censure Con il secondo motivo si deduce violazione del divieto del ne bis in idem per avere la Corte distrettuale confermato la condanna del MOGGI per il delitto associativo come contestato al capo A), nonostante lo stesso MOGGI, per i medesimi fatti (commessi, oltretutto, in un arco temporale più esteso – anno 2006 – rispetto a quello indicato in calce al capo di imputazione sub A), fosse stato giudicato e prosciolto con sentenza del Tribunale di Roma dell’8.1.2009, divenuta irrevocabile. Si deduce anche difetto di motivazione in relazione alla carente o comunque, manifestamente illogica risposta data dalla Corte a tale censura. Con il terzo motivo viene dedotta la nullità della sentenza per inosservanza delle disposizioni processuali di cui agli artt. 8 e 9 del cod. proc. pen. avendo affermato – in spregio a tali norme la competenza territoriale del Tribunale di Napoli e non quella di Roma o subordinatamente di Udine (luogo della commissione del primo dei reati di frode sportiva) o di Lecce (luogo di commissione dell’ultimo episodio di frode sportiva) o in ultimo di Torino (luogo nel quale venne attivato il fondo per l’acquisto delle cd. “schede svizzere” e deciso il loro acquisto). Con il quarto motivo viene dedotta la nullità della sentenza per inosservanza della legge processuale penale in tema di rogatorie per attività di indagine compiute dall’A.G. italiana in territorio elvetico senza la preventiva richiesta di rogatoria internazionale ex artt. 696 e 729 cod. proc. pen. con connesso vizio di motivazione per carenza e manifesta illogicità. Con il quinto motivo viene denunciata altra violazione di norme processuali in riferimento alla inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche in conseguenza di attività di ascolto in impianti diversi da quelli della Procura della Repubblica e correlato difetto di motivazione per manifesta illogicità. Con riferimento al merito, con il sesto motivo il ricorrente lamenta erronea applicazione e/o inosservanza della norma penale (art. 1 della L. 401/89) per avere erroneamente la Corte, discostandosi peraltro da quanto affermato sul punto dal Tribunale, inquadrato la fattispecie de qua nella categoria dei delitti di attentato a consumazione anticipata e non nel delitto di pericolo presunto (comprendente anche l’ipotesi del tentativo non punibile per inidoneità o equivocità degli atti). Con il settimo motivo si deduce in linea generale – e sempre con riferimento al delitto di cui al capo A) – vizio di motivazione nelle sue tre articolazioni, nonché vizio di travisamento della prova in relazione alla conferma della colpevolezza per il delitto associativo, avendo la Corte distrettuale, per un verso, valutato in modo superficiale e disorganico, oltre che manifestamente illogico, i vari elementi dimostrativi – secondo la prospettazione accusatoria poi recepita con la sentenza – della intraneità del MOGGI nella compagine associativa: il riferimento è al rilevantissimo numero delle conversazioni intercettate; alla collocazione della vicenda in un particolare contesto ambientale che vedeva contrapposti due gruppi di estrazione societaria diversa in vista della elezione di organi federali e di vertice all’interno della F.I.G.C. e della Lega Professionisti; le enfatizzazioni mediatiche verso determinate squadre attraverso la partecipazione del MOGGI a trasmissioni sportive; gli incontri conviviali tra gli imputati ed i rapporti con esponenti (di vertice e non) del modo arbitrale; l’acquisto, possesso e cessione a terzi di schede estere; le operazioni preliminari dei sorteggi degli arbitri e della formazione delle cd. “griglie”; gli incontri del MOGGI con altri imputati in vista dell’attuazione dell’operazione finalizzata al cd. “salvataggio” della Fiorentina. Con l’ottavo motivo il ricorrente deduce inosservanza della legge processuale penale (art. 429 cod. proc. pen.) in riferimento ai reati scopo di cui ai capi F), G), I), M), O), Q), Z) ed A5) e correlato vizio di motivazione, per avere la Corte di merito confermato la responsabilità del MOGGI – salvo poi a dichiarare l’estinzione dei reati per prescrizione – pur in presenza di contestazioni generiche (vizio già dedotto nel corso del processo di primo grado e ribadito in appello) e per avere detta Corte omesso di dare risposta alle specifiche censure difensive, oltretutto inquadrando, erroneamente, la condotta sotto il paradigma del delitto di attentato. Con il nono motivo viene dedotto il vizio di inosservanza e/o falsa applicazione della norma processuale penale (art. 521 cod. proc. pen.) e correlato difetto assoluto di motivazione in relazione alle fattispecie delittuose contestate ai capi B), F) ed A5), avendo la Corte valutato in modo erroneo e dissonante rispetto allo schema normativo astratto di riferimento (art. 1 della L. 401/89) le asserite condotte di alterazione delle gare. Con il decimo motivo la difesa lamenta la inosservanza della legge processuale penale sub art. 129 cod. proc. sotto un duplice profilo: a) evidenza della prova della insussistenza del reato di frode in competizione sportiva per inconfigurabilità della fattispecie ed erroneo inquadramento di essa da parte della Corte territoriale nella ipotesi di delitto di attentato a consumazione anticipata; b) evidenza della prova della insussistenza del fatto in relazione alla decisione assunta dal giudice sportivo insede disciplinare di proscioglimento dall’accusa di illecito sportivo ex art. 6 del C.G.S. in tutto sovrapponibile all’ipotesi delittuosa contemplata dall’art. 1 comma 1° seconda parte della L. 409/81. Con l’undicesimo motivo si lamenta inosservanza della norma processuale penale (art. 74 cod. proc. pen.) in punto di statuizioni civili risarcitorie confermate, sia pure parzialmente, dalla Corte territoriale sulla base di due presupposti rappresentati dalla accertata influenza delle condotte del MOGGI sulla regolarità del campionato di calcio 2004-2005 e dalla prova del danno asseritamente subito dalle parti civili (in particolare F.I.G.C. e Ministero dell’Economia e Finanze). Con il dodicesimo – ed ultimo – motivo la difesa lamenta altro vizio di natura processuale (art. 268 comma 7 cod. proc. pen.) e connesso vizio di motivazione con riferimento alla ordinanza pronunciata dalla Corte di merito in data 15 ottobre 2013 con la quale è stata respinta la richiesta di autorizzazione all’ascolto di alcune conversazioni telefoniche, così violando la regola del contraddittorio.
    13. Il ricorrente PAIRETTO Pier Luigi affida il proprio ricorso a tre articolati motivi. Con il primo si denuncia la nullità della sentenza per inosservanza di disposizioni processuali e omessa motivazione in stretto riferimento, per un verso, al mancato deposito dei brogliacci relativi alle intercettazioni telefoniche (avvenuto solo parzialmente e a giudizio dibattimentale ormai in fase avanzata) in aperta violazione degli artt. 268, 269 cod. proc. pen. e 89 disp. att. stesso codice (con correlata lesione del diritto di difesa anche in riferimento alla impossibilità di optare per eventuali riti alternativi) e, per altro verso, alla omessa motivazione sul punto da parte della Corte territoriale che avrebbe, in particolare, del tutto mancato di rispondere alle censure difensive già sollevate prima nella fase delle indagini preliminari, poi nella fase dell’udienza preliminare, quindi nella fase degli atti preliminari al dibattimento e rigettate, infine, dal Tribunale con ordinanza del 5 maggio 2009 poi impugnata. Nell’ambito del medesimo motivo viene dedotto vizio di motivazione con riguardo al diniego, irragionevolmente argomentato, della Corte distrettuale della richiesta di parziale rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale avente per oggetto una ulteriore trascrizione di altre conversazioni successivamente rinvenute nel corso del processo. Con il secondo motivo si censura la sentenza impugnata per inosservanza della legge penale in riferimento alla ritenuta sussistenza del delitto associativo e difetto di motivazione per contraddittorietà e manifesta illogicità nonché vizio di travisamento della prova in riferimento alla ritenuta partecipazione del ricorrente all’associazione criminosa. In particolare vengono enucleati alcuni dati (ritenuti dalla Corte territoriale decisivi e sintomatici sia della configurabilità in concreto del delitto di cui all’art. 416 cod. pen. che della partecipazione del PAIRETTO alla associazione stessa) costituiti dalla predisposizione delle cd. “griglie” per le scelte degli arbitri di gara in funzione della alterazione di partite loro affidate; il possesso di schede telefoniche estere; la partecipazione e/o organizzazione di incontri e/o cene conviviali tra dirigenti federali, dirigenti di società e dirigenti arbitrali; il condizionamento di arbitri; il ruolo di coordinatore del PAIRETTO nell’attività di designazione delle terne arbitrali. Si tratta di elementi che, diversamente da come immotivatamente o contraddittoriamente o illogicamente ritenuto dalla Corte di merito, provano sia l’insussistenza della ipotesi delittuosa sub A), sia, soprattutto, la non partecipazione del PAIRETTO alla associazione. E, a conforto della tesi relativa alla inconfigurabilità della frode sportiva, viene richiamato il decreto di archiviazione del G.I.P. del Tribunale di Torino nell’ambito di altro procedimento (proc. n. 14347 a carico di MOGGI, GIRAUDO e PAIRETTO) per il delitto di cui all’art. 1 della L. 401/89 riguardante presunte frodi sportive commesse con riguardo a gare relative alla Juventus nell’ambito del campionato 2004/2005, per il quale era stata disposta l’archiviazione su conforme richiesta del P.M. sulla base della ritenuta insussistenza del delitto in esame in presenza di semplici contatti tra dirigenti arbitrali e dirigenti di società in vista della designazione dell’arbitro di gara, inidonei ad integrare la fattispecie penale. Con il terzo motivo si denuncia erronea applicazione della legge penale e difetto di motivazione per contraddittorietà ed illogicità manifesta con riguardo, sempre, al reato associativo di cui al capo a), con specifico riferimento al ruolo di promotore attribuito al ricorrente (ruolo escluso dal Tribunale e riconosciuto dalla Corte territoriale in accoglimento del gravame interposto sul punto dal Pubblico Ministero). In particolare vengono sottolineate carenze argomentative in riferimento alla mancata organizzazione da parte del PAIRETTO di incontri con altri vertici federali o dirigenti di società finalizzati alla commissione di illeciti penalmente rilevanti; il mancato possesso di schede estere (giudicato dalla Corte come elemento cardine dimostrativo per altri imputati dell’appartenenza all’associazione delittuosa); il limitato numero delle intercettazioni coinvolgenti il ricorrente; l’assenza di alterazioni nella procedura dei sorteggi arbitrali e della formazione delle griglie; l’assenza di iniziative da parte del PAIRETTO volte a condizionare anche postumamente l’attività degli arbitri in relazione alle singole gare da essi dirette: si tratta di elementi che ove correttamente valutati dalla Corte di merito avrebbero dovuto condurre, quanto meno, alla esclusione della ipotesi delittuosa di cui al comma 1 dell’art. 416 cod. pen.
    14. Il ricorrente RACALBUTO Salvatore propone due motivi di ricorso. Con il primo la difesa deduce violazione di legge per inosservanza delle disposizioni penali processuali e difetto assoluto di motivazione in punto di ritenuta incompetenza territoriale del Tribunale di Napoli, dovendo invece individuarsi in Busto Arsizio (luogo di residenza dell’imputato e luogo in cui sarebbe avvenuta la consegna della cd. “scheda svizzera”) il locus commissi delicti con conseguente radicamento della competenza nel Tribunale di Varese e nella Corte di Appello di Milano. Analogo vizio di inosservanza della legge processuale penale viene denunciato con riferimento agli artt. 267 e 268 cod. proc. pen. per indebita utilizzazione delle cd. “schede svizzere” in assenza di rogatoria internazionale espletata con lo Stato elvetico e per nullità del decreto di autorizzazione alle intercettazioni e relativi provvedimenti di proroga, in relazione alla circostanza che le operazioni di ascolto sarebbero state effettuate in impianti esterni alla Procura della Repubblica. Con il secondo motivo si deduce vizio di motivazione per carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità in relazione alla ritenuta partecipazione del RACALBUTO al reato associativo ed ai reati di frode fiscale contestatigli.
    15. Propone ricorso anche il responsabile civile A.C. Associazione Calcio Firenze Fiorentina s.p.a. con riferimento alla sola sentenza del 17 dicembre 2013 e, in particolare, ai capi nei quali è stata dichiarata l’estinzione per prescrizione dei reati di frode sportiva sub A5) e A10) ascritti, tra gli altri, DELLA VALLE Diego, DELLA VALLE Andrea e MENCUCCI Sandro, con contestuale conferma delle statuizioni civili a loro carico, nonostante vi fossero gli elementi per addivenire ad una pronuncia assolutoria nel merito ex art. 129 comma 2 cod. proc. pen). Si lamenta, in particolare, l’inosservanza ed erronea applicazione della norme penali processuali (artt. 129 comma 2 e 578 cod. proc. pen.) per avere il giudice di appello valutato superficialmente le risultanze probatorie, nonostante vi fosse uno specifico obbligo nascente dall’art. 578 cod. proc. pen. di approfondire l’esame nel merito delle condotte fraudolente contestate, la sussistenza dei fatti e l’attribuibilità di essi agli imputati anche sotto il profilo del dolo. Con il secondo motivo viene denunciata la violazione di legge relativamente agli artt. 190 e 495 comma 1, 603 cod. proc. pen. per avere la Corte di merito omesso di effettuare una valutazione preventiva della richiesta di rinnovazione dibattimentale nel contraddittorio con le parti, avendo riservato la decisione su tale richiesta alla pronuncia definitiva e non con ordinanza dibattimentale. Con il terzo motivo viene dedotta l’inosservanza ed erronea applicazione della legge penale (art. 1 della L. 401/89) e degli artt. 43, 49 comma 2°, 56, 115 commi 1° e 3° cod. pen.), in quanto la Corte territoriale, discostandosi dalle argomentazioni svolte dal Tribunale, ha erroneamente inquadrato la fattispecie della frode sportiva non già nella ipotesi di reato di condotta caratterizzato dalla commissione di atti fraudolenti (oltretutto insussistenti), ma nella ipotesi di reato di attentato con anticipazione della soglia di punibilità aic.d. “atti preparatori” costituiti dai contatti tra dirigenti di società e vertici federali e/o arbitrali, ex sé penalmente irrilevanti. Viene, inoltre, censurata la decisione sotto il profilo del vizio di motivazione nella sua triplice estrinsecazione per avere la Corte valutato in modo irragionevole i contatti giudicati anomali, ma in realtà finalizzati ad ottenere un risultato opposto a quello contestato nei due capi di imputazione. Da qui l’ulteriore censura di omessa valutazione dell’elemento soggettivo del reato. Nell’ambito del detto motivo viene anche dedotto il difetto assoluto di motivazione in ordine alla individuazione delle condotte specifiche attribuite ai ricorrenti sia con riferimento ai detti incontri di calcio che all’incontro di calcio Lecce-Parma disputatosi in contemporanea all’incontro Fiorentina-Brescia, sia con riferimento ai contatti intercorsi tra i ricorrenti DELLA VALLE Diego, DELLA VALLE Andrea e MENCUCCI Sandro e i vertici federali e dell’AIA, comunque avvenuto dopo la disputa di uno dei due incontri (Chievo- Fiorentina). Con il quarto motivo viene lamentata la inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 2043 cod. civ., 40 e 41 cod. pen. per avere la Corte distrettuale erroneamente ritenuto la sussistenza di un illecito civile senza alcuna motivazione in ordine agli elementi costitutivi di tale illecito ed in particolare, in ordine al nesso di causalità tra le condotte degli imputati DELLA VALLE e MENCUCCI e il danno arrecato alle parti civili risarcite. Con il quinto motivo, collegato al precedente, si lamenta l’inosservanza degli artt. 2056 e 2059 cod. civ. per avere, oltretutto immotivamente, la Corte distrettuale ritenuto – limitatamente alle parti civili F.I.G.C. e Ministero dell’Economia e Finanze – la sussistenza di un danno non patrimoniale risarcibile, ancora una volta omettendo di motivare in ordine al nesso eziologico tra le condotte degli imputati e l’evento danno. L’ultimo motivo è dedicato alla inosservanza delle disposizioni civilistiche di cui all’art. 1175 cod. civ. in relazione all’art. 360 n. 3), 4) e 5) cod. proc. civ. per avere mancato di osservare il divieto per la F.I.G.C. di richiedere il risarcimento per fatti illeciti che la stessa Federazione avrebbe dovuto istituzionalmente prevenire e reprimere, così incorrendo nel divieto del principio nemo potest contra factum proprium venire, fissato dall’art. 1175 cod. civ. (cd. regola dell’autoresponsabilità).
    16. Con riferimento ai ricorsi proposti dalle parti civili, l’Associazione Federconsumatori Campania (che rappresenta gli interessi dei soci dell’Associazione tifosi della Salernitana), con l’unico motivo di ricorso si duole, ai soli effetti civili, della mancata condanna da parte della Corte di Appello nei confronti di TITOMANLIO Stefano e MAZZEI Gennaro (ritenuti colpevoli del delitto di frode sportiva di cui al capo A7) concernente la partita AREZZO-SALERNITANA) al risarcimento dei danni subiti dalla detta Associazione (avente posizione comune con la posizione della curatela Fallimentare della Salernitana in cui favore era stata accolta la domanda risarcitoria da parte della Corte distrettuale, deducendo, al riguardo, inosservanza dell’art. 93 cod. proc. pen. e delle norme correlate riguardante l’intervento di parte civile ad adiuvandum; inosservanza delle norme inerenti alle associazioni dei consumatori nella parte in cui le stesse sono legittimate a tutelare interessi collettivi ultraindividuali ed infine, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui, riconosciuto il diritto della Curatela Fallimentare della Salernitana s.p.a. al risarcimento del danno, la Corte ha revocato le statuizioni civili con riferimento alla Associazione Federcomsumatori, pur risultando la comunanza di posizioni ed interessi.
    17. La parte civile ricorrente Atalanta Bergamasca Calcio s.p.a., propone due distinti ricorsi. Con il primo la detta parte civile, premesso che il giudizio di primo grado si era concluso con una sentenza di condanna generica in favore di essa parte al risarcimento del danno conseguente alla riconosciuta responsabilità di alcuni imputati per il delitto associativo e per i delitto-scopo di frode sportiva e che avverso tale decisione non era stato interposto gravame né da essa parte civile (che si era solo limitata a richiedere in appello la quantificazione del danno in luogo della condanna generica) né dal Procuratore della Repubblica, denuncia, con unico motivo, violazione di legge per abnormità dell’ordinanza emessa dalla Corte territoriale ex art. 130 cod. proc. pen. in data 20 dicembre 2013 successivamente alla lettura del dispositivo avvenuta all’udienza pubblica del 17 dicembre 2013 sotto il duplice profilo della violazione dell’art. 130 cod. di rito in relazione al contenuto del provvedimento avente natura di modificazione della decisione principale e non di mera emenda dell’errore materiale (peraltro insussistente) e della violazione dell’art. 127 cod. proc. pen., per avere la Corte distrettuale omesso di avvisare preventivamente le parti interessate per la partecipazione all’udienza camerale, provvedendo invece de plano e inaudita altera parte.
    18. Con il secondo ricorso, funzionalmente collegato al precedente, la detta parte civile, premesso che il giudizio di primo grado si era concluso con una sentenza di condanna generica in favore di essa parte al risarcimento del danno conseguente alla riconosciuta responsabilità di alcuni imputati per il delitto associativo e per i delitti-scopo di frode sportiva e che avverso tale decisione non era stato interposto gravame né da essa parte civile (che si era solo limitatata a richiedere in appello la quantificazione del danno in luogo della condanna generica) né dal Procuratore della Repubblica, deduce tre motivi: con il primo denuncia violazione di legge per inosservanza delle disposizioni processuali di cui agli artt. 127 e 130 cod. di rito, rilevando, sotto un primo aspetto, la mancata convocazione delle parti prima dell’adozione dell’ordinanza del 20 dicembre 2013 e, sotto un secondo aspetto, la violazione dell’art. 130 cod. di rito con riferimento anche alla ordinanza correttiva del 24 marzo 2013 con la quale era stato emesso provvedimento – sempre di correzione di errore materiale – con il quale veniva revocata la precedente ordinanza del 20 dicembre 2014 e nuovamente “corretto” il dispositivo letto all’udienza del 17 dicembre 2014 sostituendo l’originaria espressione ivi contenuta “Rigetta le richieste delle altre parti civili: Conferma nel resto” con l’espressione “Revoca le statuizioni delle altre parti civili e rigetta le ulteriori richieste”. Con un secondo, subordinato motivo, la parte civile lamenta l’erronea applicazione della legge penale (art. 1 commi 1° e 3° della L. 401/89 in relazione all’art. 185 cod. proc. pen.) nella parte in cui la Corte territoriale, diversamente da come statuito dal Tribunale all’esito del giudizio di primo grado, ha escluso il diritto della Atalanta Bergamasca Calcio s.p.a. al risarcimento del danno per carenza di prova in ordine al nesso di causalità tra le condotte delittuose degli imputati per i reati di cui agli artt. 416 cod. pen. e 1 della L. 401/89 ed il danno asseritamente subito, lamentando sul punto, manifesta illogicità della motivazione ed erronea applicazione della legge penale (in riferimento al reato di frode sportiva). Con il terzo – ed ultimo – motivo, la parte civile ricorrente lamenta la manifesta illogicità della motivazione e la inosservanza dell’art. 185 cod. proc. pen. per avere la Corte distrettuale, per un verso, contraddittoriamente affermato la mancata alterazione del campionato di calcio di Serie A relativo alla stagione agonistica 2004/2005 pur avendo riconosciuto la irregolarità di numerose partite di quel campionato e per, altro verso, escluso tout court il diritto della parte civile, già riconosciuto in primo grado, al risarcimento dei danni – ivi compresi quelli conseguenti alla perdita di chance – irragionevolmente motivando sulla insussistenza del danno e sulla mancata dimostrazione di esso in rapporto alle condotte delittuose attribuite agli imputati già condannati. Ha quindi concluso richiedendo, in via principale, la prevalenza del dispositivo letto all’udienza del 17 dicembre 2013, previa revoca e/o annullamento delle ordinanze del 20 dicembre 2013 e 19 marzo 2014 e subordinatamente l’annullamento della sentenza nella parte in cui – sulla base della ordinanza del 19 marzo 2014 sono state revocate le statuizioni civili disposte con la sentenza di 1° grado.
    19. La ricorrente parte civile Bologna Football Club 1999 s.p.a.:, dopo aver riepilogato itratti essenziali del processo di primo e secondo grado con menzione dei dispositivi resi all’esito delle rispettive udienze conclusive, enuncia nel proprio ricorso originario un unico motivo in riferimento all’ordinanza del 19/20 marzo 2014 emessa – con la procedura dell’art.127 e 130 cod. proc. pen. – dalla Corte distrettuale, lamentando la nullità assoluta dell’ordinanza medesima nella parte in cui si ritiene che si fosse in presenza di errore materiale, laddove il contenuto della ordinanza è in realtà una modificazione essenziale del dispositivo della sentenza del 17 dicembre 2013. Viene, pertanto, denunciata inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 130 cod. di rito. Con riferimento, invece, alla sentenza emessa il 17 dicembre 2013, così come emendata con l’ordinanza del 19/20 marzo 2014 ed alla medesima sentenza nella parte non emendata del predetto dispositivo, come pronunciato all’udienza del 17 dicembre 2013, con un primo motivo viene denunciata la violazione di legge per inosservanza della legge penale (artt. 185 cod. pen. e 2043, 2056 e 2059 cod. civ.) rilevandosi, in particolare, l’erroneità del percorso argomentativo della Corte territoriale laddove la stessa richiede, per il riconoscimento del diritto al risarcimento da parte della società Bologna, il nesso di causalità tra condotta e danno, nonché prova della sua sussistenza e della sua entità. Con un secondo motivo viene denunciato vizio di motivazione per carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità, per avere la Corte distrettuale ritenuto incongruamente non alterato il campionato di calcio disputato nella stagione sportiva 2004-2005 e contraddittoriamente confermato la irregolarità di alcune gare di quel campionato, tanto da reputare integrata la circostanza aggravante di cui alla comma 3° dell’art. 1 della L. 401/89. Con memoria integrativa del 30 aprile 2014 la detta parte civile suddetta denuncia anche la inosservanza dell’art. 578 cod. proc. in relazione all’intervenuta condanna in primo grado di alcuni imputati, poi prosciolti nel grado successivo per intervenuta prescrizione, senza che venissero confermate le statuizioni civili adottate nella pronuncia di primo grado, avendo la Corte di merito ritenuto non dovuti in generale i risarcimenti alle società di calcio indipendentemente dalle prescrizioni dei reati.
    20. L’altra parte civile Brescia Calcio s.p.a. dopo aver riepilogato i tratti essenziali del processo di primo e secondo grado con menzione dei dispositivi resi all’esito delle rispettive udienze conclusive enuncia un unico motivo con riferimento all’ordinanza dibattimentale del 15 ottobre 2013 con la quale la Corte territoriale ha dichiarato l’inammissibilità dell’appello incidentale interposto dalla società Brescia nei confronti della S.S. Lazio s.p.a. per inosservanza degli artt. 178 lett. c), 181 e 491 comma 1 cod. proc. pen. In particolare lamenta la ricorrente che, violando le suddette norme, la Corte territoriale non ha tenuto conto della tardività dell’eccezione sollevata (soltanto in grado di appello, ma non prima della deliberazione della sentenza di primo grado come richiesto dall’art. 491 cod. proc. pen.) dalla difesa della società Lazio circa l’inosservanza da parte della difesa del Brescia del termine di giorni venti previsto per la citazione del responsabile civile. Relativamente all’ordinanza pronunciata il 19/20 marzo 2014 con la procedura degli artt. 127 e 130 cod. proc. pen., lamenta la ricorrente la nullità assoluta dell’ordinanza medesima nella parte in cui si ritiene che si fosse in presenza di errore materiale, laddove il contenuto della ordinanza è, in realtà, una modificazione essenziale del dispositivo della sentenza del 17 dicembre 2013. Viene, pertanto, denunciata inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 130 cod. di rito. Con riferimento, invece, alla sentenza emessa il 17 dicembre 2013 così come emendata con l’ordinanza del 19/20 marzo 2014 ed alla medesima sentenza nella parte non emendata del predetto dispositivo come pronunciato all’udienza del 17 dicembre 2013, con un primo motivo viene denunciata la violazione di legge per inosservanza della legge penale (artt. 185 cod. pen. e 2043, 2056 e 2059 cod. civ.) rilevandosi, in particolare, l’erroneità del percorso argomentativo della Corte territoriale laddove si richiede, per il riconoscimento del diritto al risarcimento da parte della società Bologna, il nesso di causalità tra condotta e danno, nonché prova della sua sussistenza e della sua entità. Con un secondo motivo viene denunciato vizio di motivazione per carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità per avere contraddittoriamente la Corte distrettuale ritenuto non alterato il campionato di calcio disputato nella stagione sportiva 2004- 2005 e contraddittoriamente ritenuto irregolari alcune gare di quel campionato, tanto da reputare integrata la circostanza aggravante di cui alla comma 3° dell’art. 1 della L. 401/89. Con memoria integrativa del 30 aprile 2014 la parte civile suddetta denuncia anche la inosservanza dell’art. 578 cod. proc. in relazione all’intervenuta condanna in primo grado di alcuni imputati poi prosciolti nel grado successivo per intervenuta prescrizione, senza che venissero confermate le statuizioni civili adottate nella pronuncia di primo grado, avendo la Corte di merito ritenuto non dovuti in generale i risarcimenti alle società di calcio indipendentemente dalle prescrizioni dei reati. La ricorrente parte civile Curatela del Fallimento Victoria 2000 s.r.l. in liquidazione (in sostituzione della precedente parte civile Fallimento Victoria 2000 s.r.l.) prospetta cinque motivi nel ricorso proposto, agli effetti civili, contro la sentenza del 17 dicembre 2013 e contro le ordinanze successive del 20 dicembre 2013 e 19/20 marzo 2014. Con il primo motivo viene denunciato vizio di motivazione per contraddittorietà e manifesta illogicità tra il dispositivo e la motivazione della sentenza laddove, nel primo, è stata dichiarata l’inammissibilità dell’appello proposto dalla parte civile Fallimento Victoria 2000 s.r.l. per difetto di legittimazione attiva, mentre nella parte motiva è stata riconosciuta la legittimazione del medesimo fallimento a costituirsi parte civile. Con il secondo motivo viene denunciata l’inosservanza della norma processuale penale e la carenza di motivazione per avere la Corte territoriale, fermo restando il dispositivo della sentenza del 17 dicembre 2013, mancato di rispondere alle specifiche censure sollevate dalla parte civile. Con il terzo motivo si denuncia manifesta illogicità e carenza assoluta di motivazione in ordine alla assoluzione dell’imputato MOGGI Luciano relativamente al delitto di frode sportiva di cui al capo A10) (gara LECCE-PARMA) per avere la Corte distrettuale contraddittoriamente affermato che tale gara rappresentava la continuità dell’operazione di salvataggio posta in essere in favore della società Fiorentina già oggetto di giudizio in relazione al reato di cui al capo A5 (CHIEVO-FIORENTINA) per il quale l’imputato MOGGI era stato, invece, condannato. Con il quarto motivo viene denunciata l’erronea applicazione dell’art. 2049 cod. civ. e manifesta illogicità della motivazione nella parte della sentenza in cui nel confermare in parte qua la sentenza del Tribunale, ha escluso la JUVENTUS F.C. s.p.a. quale responsabile civile per i fatti penalmente illeciti commessi dai propri dirigenti e amministratori. Con il quinto – ed ultimo – motivo viene denunciato vizio di motivazione per illogicità manifesta e contraddittorietà per avere la Corte distrettuale, da un lato, confermato la sussistenza del delitto di cui al capo A) e dei reati-scopo e, per altro verso, escluso l’alterazione del campionato con conseguente esclusione del nesso di causalità rispetto all’evento della retrocessione del Bologna (danno lamentato anche da Victoria 2000 s.r.l. in liquidazione cui è subentrata la curatela fallimentare odierna parte civile ricorrente).
    21. La parte civile ricorrente F.I.G.C. prospetta due motivi di ricorso. Con il primo si lamenta vizio di motivazione per carenza, contraddittorietà e/o manifesta illogicità in punto di mancata liquidazione della provvisionale richiesta dalla costituita parte civile F.I.G.C. per i danni morali per i quali è stata pronunciata condanna al risarcimento dei danni nei riguardi degli imputati ritenute penalmente responsabili. Con il secondo motivo viene dedotta violazione della legge processuale penale e mancanza di motivazione con riferimento alla parte della sentenza nella quale non viene data risposta alle censure sollevate con l’atto di appello in ordine alla liquidazione delle spese ed onorari per la parte civile riconosciuti dal Tribunale ritenuti esigui dalla F.I.G.C. appellante.
    22. La ricorrente parte civile U.S. Lecce s.p.a. propone un unico motivo di ricorso con riferimento alla sola sentenza del 17 dicembre 2013, lamentando l’erronea applicazione della legge penale (art. 185 cod. pen.) e la manifesta illogicità della motivazione per avere la Corte territoriale revocato le statuizioni civili risarcitorie disposte con la sentenza di primo grado in favore dell’U.S. Lecce s.p.a. ritenendo non provato (in violazione dell’art. 185 cod. pen.) il nesso eziologico tra le condotte degli imputati contestate sub A) e i delitti-scopo di frode sportiva (per i quali è intervenuta condanna) ed il danno subito dalla detta società calcistica retrocessa nel campionato di Serie B previo ripescaggio della società Messina in cui favore aveva agito attraverso ripetuti contatti con l’imputato MOGGI, mediante condotte penalmente illecite l’imputato FABIANI Fabiano (all’epoca Direttore Generale della società Messina).
    23. Hanno tempestivamente e ritualmente presentato motivi nuovi le difese delle parti civili Bologna F.C. 1909 s.p.a.; Brescia Calcio S.p.a. riproponendo ed ampliando le precedenti difese spiegate nei ricorsi originari ed insistendo nella richiesta di annullamento della sentenza nella parte relativa agli interessi civili con conferma delle statuizioni risarcitorie del Tribunale e rinvio degli atti ex art. 622 cod. proc. pen. al Giudice civile competente per valore in grado di appello, per la liquidazione del danno subito dalle predette società.
    24. Ha presentato memoria ex art. 121 cod. proc. pen. il ricorrente BERTINI ribadendo le proprie difese e chiedendo, in via ulteriormente subordinata, che in sede di legittimità venisse rilevata la violazione dell’art. 6 CEDU nella misura in cui la Corte territoriale, nel riformare lasentenza di assoluzione del Tribunale, ha valutato in modo diverso le dichiarazioni del teste PAPARESTA Gianluca senza tuttavia procedere, come d’obbligo in caso di riforma in pejus della sentenza di proscioglimento di primo grado, alla rinnovazione – sul punto – dell’attività istruttoria.
    25. Ha presentato memoria difensiva la S.S. LAZIO (non ricorrente), quale responsabile civile chiamata in causa dal BRESCIA Calcio s.p.a., chiedendo il rigetto del ricorso proposto dalla società BRESCIA Calcio s.p.a. in relazione alla declaratoria di inammissibilità da parte della Corte distrettuale dell’appello incidentale della società lombarda, a causa della mancata instaurazione del rapporto processuale nei confronti della società capitolina in conseguenza della mancata vocatio in jus della stessa.
    26. Ha presentato memoria il ricorrente LOTITO Claudio, insistendo nei motivi di ricorso per quanto concerne l’impugnazione proposta dallo stesso. In particolare, con riferimento ai ricorsi proposti dalle parti civili egli ha ritenuto corretta l’ordinanza di correzione dell’errore materiale contenuto nel dispositivo della sentenza del 17 dicembre 2013, in quanto si è trattato di emendare il dispositivo nella parte in cui non menzionava le statuizioni assunte dalla Corte di Appello nei confronti delle parti civili diverse dai due Ministeri (Economia e Finanze e Politiche Giovanili) e della F.I.G.C., chiedendo il rigetto dei ricorsi proposti dalle stesse parti civili anche in punto di merito per quanto riguarda il rigetto delle richieste risarcitorie in quanto non fondate per assenza di prova sul danno.
    27. Ha depositato conclusioni la difesa della JUVENTUS s.p.a. insistendo per l’inammissibilità e/o rigetto dei ricorsi proposti avverso la sentenza della Corte di Napoli, in ogni caso chiedendo la conferma delle statuizioni attinenti alla esclusione del responsabile civile JUVENTUS s.p.a. come disposte dalla Corte territoriale.

CONSIDERATO IN DIRITTO

  1. Per esigenze di speditezza e di ordine di esposizione dei temi sottoposti all’attenzione di questa Suprema Corte, ritiene il Collegio di affrontare in via prioritaria, prima di esaminare le posizioni dei singoli ricorrenti, alcune questioni formanti oggetto dei ricorsi di numerosi imputati in quanto caratterizzate da elementi e/o argomenti comuni alla base dei motivi proposti.
  2. La vicenda all’esame di questa Corte Suprema – che vede protagonisti numerosi tesserati in posizione di vertice della Federazione Italiana Giuoco Calcio, del mondo arbitrale e delle Leghe professioniste di appartenenza, oltre che alcune tra le più blasonate società professioniste del massimo campionato calcistico – è stata al centro di due decisioni: una della giustizia ordinaria penale e l’altra della giustizia disciplinare sportiva. I rapporti intercorrenti tra i due ordinamenti, regolamentati da una legge ordinaria (la Legge 280/03) hanno, anch’essi, formato oggetto dei ricorsi di alcuni imputati (BERTINI, MAZZINI, MOGGI), sicchè a questo tema, pur esso di respiro generale, verrà dedicato un esame specifico in sede di analisi dei ricorsi dei detti imputati i quali hanno affrontato la questione sotto angolature diverse.
  3. A questa prima parte della sentenza farà seguito l’esame delle singole posizioni dei ricorrenti e infine, l’esame delle questioni – anch’esse caratterizzate in larga parte da argomenti comuni – prospettate in prevalenza dalle parti civili estromesse dalla sentenza di Appello, che in parziale riforma della sentenza di primo grado ha riconosciuto dignità risarcitoria soltanto al Ministero dell’Economia e Finanze – AA.MM.SS.; al Ministero per le Politiche giovanili e alla F.I.G.C. oltre che alla SALERNITANA Calcio s.p.a. (oggi Curatela fallimentare della SALERNITANA CALCIO s.p.a.).
  4. Altro dato comune alla vicenda de qua, con riferimento agli aspetti concernenti le responsabilità dei singoli imputati è costituito dall’elemento tempo: nonostante lo svolgimento di entrambi i gradi del processo in tempi contingentati ed a tappe forzate senza alcuna sospensione del corso della prescrizione (tranne che per un brevissimo arco temporale nella fase di appello tra il 20 settembre e l’1 ottobre 2013), il tempo ha finito con l’assumere un ruolo dominante nel senso che, come sarà meglio precisato in prosieguo, la maggior parte dei reati – tranne alcune eccezioni riferibili a quegli imputati che avevano rinunciato alla prescrizione nella fase di merito ed alcuni annullamenti senza rinvio disposti da questa Corte Suprema per dimostrata insussistenza di alcuni reati-scopo (v. postea) – è stata cancellata dalla intervenuta prescrizione maturatasi in parte nel corso del processo di secondo grado ed in parte, pochi mesi dopo la pronuncia della sentenza di appello anche in riferimento alla più grave figura dell’associazione per delinquere di cui al comma 1° dell’art. 416 cod. pen. ravvisata nei confronti di alcuni degli odierni ricorrenti (MOGGI, PAIRETTO e MAZZINI).
  5. Diversamente da quanto solitamente è accaduto e accade per i processi penali originati da frodi in competizione sportive con correlato delitto associativo in cui si trovano coinvolti giocatori e dirigenti delle varie società calcistiche impegnate nel confezionamento di patti illeciti ovvero in attività di scommesse clandestine (figura inclusa sia nel Codice di giustizia sportiva che nel sistema penale per effetto dell’art. 1 della L. 401/89), i protagonisti della vicenda all’esame di questa Corte appartengono alla elìte del mondo calcistico nelle sue massime espressioni ovvero al settore arbitrale (di vertice e non), senza coinvolgimenti di giocatori o di estranei all’ambiente calcistico in veste di corruttori o latori di promesse od offerte illecite.
    1. E’ così venuto alla luce un vero e proprio mondo sommerso la cui caratteristica di offensività degli interessi ultraindividuali (come definiti dalla Corte territoriale) è stata ritenuta particolarmente intensa e tale da sconvolgere l’assetto del sistema calcio, fino a screditarlo in modo inimmaginabile e minarlo nelle sue fondamenta, con ovvie pesantissime ricadute economiche nei confronti delle istituzioni pubbliche, di quelle priva deputate alla gestione dell’attività sportiva calcistica e nei confronti anche di numerose società calcistiche danneggiate sia patrimonialmente che moralmente: ne costituisce prova la messe di ricorsi presentati dalle numerose parti civili costituite.
    2. La vicenda all’esame del Collegio si caratterizza per una serie di complesse questioni prospettate dai vari ricorrenti, alcune delle quali di portata generale meritevoli della massima attenzione e contenenti profili di indubbio interesse specifico in relazione ai rapporti tra il sistema ordinamentale statale di tipo penale e il corrispondente sistema della cd. “giustizia sportiva”.
  6. Riprendendo il punto riguardante la trattazione prioritaria degli argomenti comuni si vuol fare riferimento: a) alla questione relativa alla competenza territoriale, contestata da quasi tutte le difese dei ricorrenti che hanno dedotto vizi di inosservanza di legge e di motivazione sotto il profilo della manifesta illogicità; b) alla questione della inutilizzabilità delle intercettazioni affrontata da molte delle difese sotto molteplici e variegati aspetti; c) alla qualificazione giuridica della fattispecie di reato prevista dall’art. 1 comma 1 della L. 401/89 ed alle interconnessioni con la figura delittuosa di cui all’art. 416 cod. pen.
  7. Un ulteriore tema che ha imposto al Collegio di esaminare in modo specifico le responsabilità dei singoli, nonostante l’intervenuta estinzione dei reati per prescrizione (tranne i casi riguardanti i ricorrenti BERTINI e DATTILO ed in parte i ricorrenti MOGGI e PAIRETTO) è costituito dalla molteplicità dei ricorsi delle parti civili le cui statuizioni risarcitorie sono state revocate dalla sentenza impugnata: tale esigenza di approfondimento è strettamente correlata agli artt. 576 e 578 cod. proc. pen. ma implica anche un esame specifico riguardante il problema dell’illecito civile ed il suo diverso atteggiarsi nel processo penale rispetto al processo civile: sul punto si fa rinvio alla parte dedicata all’esame dei ricorsi delle parti civili e – per quanto può rilevare – anche dei ricorsi proposti dai ricorrenti DELLA VALLE e MENCUCCI e dal responsabile civile A.C. FIORENTINA s.p.a.
    1. Nella presente vicenda, infatti, la Corte territoriale ha, per un verso, confermato le responsabilità degli imputati DE SANTIS, BERTINI, DATTILO (tutti rinuncianti alla prescrizione) in ordine al delitto associativo sub A) ed ad alcuni dei delitti di frode sportiva, ad eccezione del reato di cui al capo L). Ha ancora, confermato, aggravandola, la responsabilità degli imputati PAIRETTO e MAZZINI in ordine al delitto associativo, nonchè ha confermato la responsabilità dell’imputato MOGGI limitatamente al reato associativo ed ad alcuni dei delitti-scopo di frode sportiva, dichiarando poi non doversi procedere nei confronti dei suddetti tre imputati in ordine ad alcuni episodi di frode sportiva per intervenuta prescrizione e mantenendo ferme le statuizioni civili risarcitorie, non nei confronti di tutte le parti civili originariamente costituite, ma nei confronti di alcune soltanto con estromissione della maggior parte di esse. Ha, infine, dichiarato non doversi procedere nei confronti di alcuni degli odierni imputati (per quanto qui rileva MAZZEI Gennaro RACALBUTO Salvatore, FOTI Pasquale, DELLA VALLE Diego, DELLA VALLE Andrea, MENCUCCI Sandro, LOTITO Claudio, e TITOMANLIO Stefano) in ordine ai reati agli stessi rispettivamente ascritti, perché estinti per intervenuta prescrizione, mantenendo ferme (con riferimento alla posizione degli imputati TITOMANLIO e MAZZEI) le statuizioni risarcitorie in favore della costituita parte civile Fallimento Salernitana Sport s.p.a. (limitatamente al ricorrente MAZZEI Gennaro e al coimputato non ricorrente TITOMANLIO Stefano); nonché del Ministero dell’Economia e delle Finanze AA.MM.SS.; del Ministero delle Politiche Giovanili e della F.I.G.C. (nei riguardi dei restanti imputati ricorrenti BERTINI, DATTILO, DE SANTIS, DELLA VALLE Diego, DELLA VALLE Andrea, FOTI, LOTITO, MAZZINI, MEANI, MENCUCCI, MOGGI, PAIRETTO e RACALBUTO) rimettendo le parti dinnanzi al giudice civile per la determinazione dei danni.

LA QUESTIONE DELLA COMPETENZA TERRITORIALE

  1. Tanto detto e ritornando alle questioni rivestenti portata generale, ritiene il Collegio di esaminare, per primo, il tema relativo alla dedotta violazione di legge per inosservanza delle regole dettate dal codice di rito sui criteri da seguire per stabilire la competenza ratione loci del giudice di merito.
    1. I tratti essenziali della motivazione resa sul punto dalla Corte distrettuale possono riepilogarsi nel modo seguente.
    2. E’ stata disattesa la tesi (sostenuta da molte delle difese) secondo la quale sarebbe stata erroneamente individuata la competenza della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli, per effetto della accertata consegna (per come riferito dagli ex arbitri PAPARESTA Gianluca e PAPARESTA Romeo) in Napoli di alcune schede straniere a PAPARESTA Romeo da parte del ricorrente MOGGI Luciano.
    3. La Corte territoriale, nel respingere detta eccezione, ha fondato il proprio convincimento sulla base di una serie di elementi in stretta connessione con la particolare tipologia del sodalizio criminale caratterizzato da una molteplicità di componenti allocati in più ambiti territoriali; dalla diversità di residenza dei singoli sodali; dalla pluralità di centri operativi del sodalizio; dalla non univocità del luogo di commissione dei reati fine, pervenendo alla conclusione che, in evenienze siffatte, la individuazione della competenza andasse fatta in riferimento al primo atto di manifestazione di vitalità ed operatività dell’associazione, riscontrato nella consegna delle prime schede cd “straniere” (in quanto acquistate in Svizzera presso un rivenditore di un gestore di telefonia mobile straniera) all’ex arbitro PAPARESTA Romeo: consegna avvenuta in Napoli nel settembre 2004 nella Via Petrarca in cui l’imputato Moggi possiede un’abitazione.
    4. La Corte territoriale, peraltro, ha valorizzato in modo particolarmente pregnante l’elemento “schede straniere riservate” sottolineando che il loro acquisto prima; le finalità della loro utilizzazione e il loro uso in concreto da parte dei singoli consegnatari di quelle schede la

loro utilizzazione denotasse, più ancora di altre condotte sintomatiche, la chiara manifestazione di vitalità dell’associazione delinquenziale. Il valore attribuito alla consegna delle schede quale elemento indicatore della operatività della associazione è stato ritenuto del tutto coerente – secondo il giudizio espresso dalla Corte territoriale – con il dato della prima vera manifestazione all’esterno del suddetto sodalizio o come primo atto diretto a commettere i delitti programmati.

    1. Nel seguire tale ragionamento la Corte territoriale ha fatto richiamo a numerose pronunce di questa Corte Suprema secondo le quali, per individuare il luogo di consumazione del reato associativo, in difetto di elementi storicamente certi in ordine alla genesi del vincolo, può farsi ricorso a criteri presuntivi, facendo riferimento al luogo in cui il sodalizio si manifesti per la prima volta all’esterno ovvero a quello in cui si concretino i primi segni della sua operatività: elementi ragionevolmente utilizzabili in quanto sintomatici dell’origine della associazione nello spazio (oltre alle sentenze citate dalla Corte territoriale tra le quali Sez. 5^ 12.12.2006 n. 2269 e Sez. 1^ 9.10.2008 n. 40345 in cui si fa richiamo esplicito all’applicabilità del criterio suppletivo residuale di cui all’art. 9, comma 3 cod. proc. pen, vds., più di recente, Sez. 2^, 9.4.2014 n. 23211, Morinelli ed altro Rv. 259653 secondo la quale in tema di reati associativi “la competenza per territorio si determina in relazione al luogo in cui ha sede la base ove si svolgono programmazione, ideazione e direzione delle attività criminose facenti capo al sodalizio; in particolare, considerato che l’associazione è una realtà criminosa destinata a svolgere una concreta attività, assume rilievo non tanto il luogo in cui si è radicato il “pactum sceleris”, quanto quello in cui si è effettivamente manifestata e realizzata l’ operatività della struttura”.; ancora Sez. 2^ 15.3.2013 n. 26763, Beltrani S., Rv. 256650; idem 16.5.2012 n. 22953, Tempestilli e altro, Rv. 253189).
    2. Ciò ha consentito alla Corte territoriale di escludere la competenza di altre autorità giudiziarie indicate alternativamente in Roma (città nella quale si trovano le sedi istituzionali calcistiche ossia la F.I.G.C., l’ A.I.A. e C.A.N.), o in Torino (città in cui sarebbe sorta l’idea dell’acquisto delle prime schede straniere, o in Firenze (presso la cui sede di Coverciano si tenevano alcune delle riunioni dei vertici AIA e degli arbitri) o in Udine (luogo in cui si è svolta la prima delle partite cd. “incriminate” UDINESE – JUVENTUS, oggetto di imputazione di uno dei tanti reati-fine) o in Lecce, luogo in cui si è svolta l’ultima delle gare incriminate LECCE- PARMA (29 maggio 2005, ultima giornata di campionato), ritenendo che i diversi criteri prospettati dalle difese fossero,m quanto meno impropri,se non incoerenti con le norme processuali e comunque non applicabili in considerazione dei risultati probatori desunti dalle attività investigative.
    3. Va osservato da parte del Collegio che le censure sollevate con i ricorsi ripropongono i medesimi temi con argomentazioni sostanzialmente identiche e che, anche in questa sede, si ritengono non condivisibili; anche se va subito precisato che la dedotta eccezione, da un canto si riferisce, contestandola, alla individuazione della competenza territoriale relativamente al delitto associativo sulla base dell’elemento costituito dalla prima consegna delle schede telefoniche cd. “riservate”, giudicata quale prima concreta manifestazione dell’operatività dell’associazione (profilo evidenziato dalle difese dei ricorrenti DATTILO, MOGGI e RACALBUTO); dall’altro attiene ad un problema più delicato, non specificamente affrontato nel giudizio di appello anche se accennato, riguardante la connessione – che la difesa dei ricorrenti FOTI e LOTITO esclude – tra i reati di frode sportiva ascritti ad alcuni imputati cui non è stata contestato il delitto associativo (per l’appunto FOTI e LOTITO, ma anche i DELLA VALLE e MENCUCCI) ed il delitto associativo, risultando, così impropria – a detta della difesa – l’individuazione quale autorità giudiziaria competente di quella stessa ritenuta competente per il reato associativo, quale reato più grave.
  1. Osserva il Collegio che la Corte distrettuale, nel ribadire la competenza territoriale dell’autorità giudiziaria napoletana, si è uniformata ai principi di diritto elaborati al riguardo dalla giurisprudenza di legittimità. Non può certo rilevarsi una assenza o manifesta illogicità della motivazione là dove il giudice di appello ha sottolineato l’alta significatività della consegna delle schede come prima concreta manifestazione dell’operatività dell’associazione, sicchè, uniformandosi alle pronunce di legittimità sopra menzionate, è corretta l’affermazione della Corte di merito secondo la quale la competenza va, di regola, determinata con riferimento al luogo di tale prima manifestazione, a nulla rilevando il luogo di consumazione dei singoli reati- scopo. D’altro canto le censure sollevate in riferimento alle modalità e ai tempi di consegna delle schede a soggetto il quale avrebbe dovuto poi curarne la distribuzione ai componenti dell’associazione e i rilievi circa il valore da attribuire a tale consegna come dato sintomatico della prima manifestazione di operatività dell’associazione, si risolvono in considerazioni di mero fatto che possono assumere rilevanza nel presente giudizio solo in quanto esse possano valere ad evidenziare vizi di manifesta illogicità della motivazione, nella specie non ravvisabile.
    1. Ed invero, in tema di sindacato del vizio di motivazione, il compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici del merito, ma solo quello di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, dandone una corretta e logica interpretazione, con esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti. Quel che rileva, quindi, è la corretta applicazione delle regole della logica che possano giustificare la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (Cass., Sez. Un., 13.12.1995, n. 930, Clarke, Rv. 203428; idem 31.5.2000, n. 12, Jakani, Rv. 216260).
    2. E’ noto che, per espressa previsione normativa, il vizio di motivazione deducibile in sede di legittimità deve risultare dal testo dei provvedimento impugnato, o comunque, come si evince dalle modifiche apportate all’art. 606.1, lett. e), c.p.p. dall’art. 8 della L. 20.2.2006, n. 46 – da “altri atti del procedimento specificamente indicati nei motivi di gravame“: se così è, in riferimento al vizio di manifesta illogicità, occorre anzitutto che il ricorrente dimostri nella sede propria che il percorso argomentativo seguito dal giudice è assolutamente carente sul piano

logico; ancora, va precisato che una eventuale dimostrazione in tal senso non ha nulla a che vedere con la prospettazione di una diversa, e persino possibile, interpretazione, o di un altro iter argomentativo, anche laddove in tesi egualmente corretti sul piano logico.

    1. Conseguenza di tali postulati è che, una volta che il giudice abbia coordinato logicamente gli atti sottoposti al suo esame, a nulla vale opporre che questi atti si presterebbero ad una diversa lettura o interpretazione, ancorché, in tesi, munite di eguale crisma di logicità (cfr. S. U. 27.9.1995, n. 30; idem S.U. 30.4.1997, n. 6402; idem S.U. 24.11.1999 n. 24).
    2. Senza dire che, per parlarsi di illogicità della motivazione, censurabile a norma dell’art. 606.1, lett. e), c.p.p., deve trattarsi di una illogicità evidente, cioè di livello tale da risultare percepibile ictu oculi, proprio perché l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di Cassazione limitarsi – come s’è detto – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali (S.U. 24.9.2003, n. 47289; idem, S.U. 30.11.2000 n. 5854; idem, S.U., 24.11.1999, n. 24).
  1. Anche le censure attinenti alla violazione delle regole processuali della competenza per territorio nei termini prospettati dalle difese degli imputati FOTI Pasquale e LOTITO Claudio sono infondate, seppure sulla base di argomentazioni diverse che abbisognano di una serie di puntualizzazioni in considerazione del fatto che la Corte di merito nulla ha osservato sul punto a fronte delle doglianze sollevate dai difensori.
    1. Trattandosi di questione processuale, la Corte di legittimità è chiamata a verificarne la fondatezza, previa compulsazione, ove necessaria, degli atti.
    2. Secondo quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità la connessione basata sull’astratta configurabilità del vincolo della continuazione è idonea a determinare lo spostamento della competenza soltanto quando l’identità del disegno criminoso sia comune a tutti i compartecipi, in quanto l’interesse di un imputato alla trattazione unitaria di fatti in continuazione non può pregiudicare quello del coimputato a non essere sottratto al giudice naturale (in tal senso v. da ultimo, Sez. 1^, Sentenza 9.1.2013 n. 8526, confl. comp. in proc. Baruffo ed altri, Rv. 254924; conformi Sez. 1^ 23.9.2008 n. 38170, confl. comp. in proc. Schiavone e altri, Rv. 24143; Sez. 4^ 17.1.2006 n. 10122, Hanid ed altro, Rv. 233714).
    3. Ancora, va esclusa la connessione tra il delitto associativo e i reati-fine fuorchè nell’eccezionale ipotesi in cui risulti che fin dalla costituzione del sodalizio criminoso o dalla adesione ad esso, un determinato soggetto, nell’ambito del generico programma criminoso, abbia già individuato uno o più specifici fatti di reato, dallo stesso poi effettivamente commessi.
    4. Tali principi potrebbero, in astratto, riverberare i loro effetti sulle posizioni del FOTI e del LOTITO: infatti il primo risponde dei reati-fine di cui ai capi H) ed S) mentre il secondo

risponde dei reati di cui ai capi U) e V). Si tratta di episodi di frode sportiva, per i quali è già stata dichiarata l’estinzione per prescrizione.

    1. Entrambi i ricorrenti hanno, a ragione, sollevato la questione della violazione di legge in relazione alla ritenuta competenza territoriale del Tribunale di Napoli, nonostante entrambi gli imputati siano stati prosciolti dalle relative imputazioni per intervenuta prescrizione, in quanto gli stessi sono destinatari di statuizioni risarcitorie: tanto, in aderenza a quell’orientamento di legittimità secondo il quale, se nel giudizio di cassazione – qualora si versi in ipotesi di reato dichiarato prescritto – non è rilevabile la nullità, anche di ordine generale, in quanto l’inevitabile rinvio al giudice di merito risulta incompatibile con il principio dell’immediata applicabilità della causa estintiva, tale nullità deve essere, però, valutata nell’ipotesi in cui la sentenza di merito abbia deciso non solo in ordine al reato per cui è intervenuta la prescrizione, ma anche in ordine al risarcimento dei danni da esso cagionati o alle restituzioni, giacché in tal caso la nullità, ove sussistente, deve essere comunque rilevata e dichiarata riflettendosi sulla validità delle statuizioni civili. (v., Sez. 2^ 7.1.2014 n. 3221, Macchia, Rv. 258817; conforme Sez. 5^ 17.9.2008 n. 39395, Scambia, Rv. 241733).
    2. Tanto detto, In mancanza di elementi di connessione soggettiva rispetto al delitto associativo (non contestato a nessuno dei due imputati) che, quale reato più grave eserciterebbe la vis actractiva, la Corte avrebbe dovuto fare riferimento esclusivamente al momento consumativo del delitto di frode sportiva.
    3. Occorre, infatti, rilevare che sia nel capo H) sia nel capo S) l’imputato FOTI concorre nel reato di frode sportiva con l’imputato BERGAMO, il quale, giudicato separatamente, è anche imputato del delitto associativo; sia nel capo U) sia nel capo V), l’imputato LOTITO concorre, oltre che con il BERGAMO, anche con MAZZINI Innocenzo il quale, al pari del BERGAMO, è imputato del delitto associativo.
  1. Con riferimento a entrambe le posizioni del FOTI e del LOTITO le relative imputazioni individuano il fine delle condotte fraudolente anche nell’esigenza di appoggiare il Presidente uscente CARRARO Franco per la (ri)elezione al vertice della FIGC, in vista del conseguimento di risultati utili a favorire le singole squadre di appartenenza dei due dirigenti.
    1. Come osservato dal Procuratore Generale nel corso della sua requisitoria, indipendentemente dal merito delle vicende e dal legame tra le politiche associative, la selezione delle terne arbitrali per favorire uno o l’altro dei presidenti delle società impegnate nel sostegno politico del Presidente CARRARO ai vertici della F.I.G.C., (peraltro prosciolto da ogni contestazione ivi compresa quella per il reato di cui all’art. 416 cod. pen.), rimane il fatto che per il BERGAMO (la cui posizione non rileva nel presente processo) e per il MAZZINI dovrebbe peraltro valere il principio di diritto secondo il quale in tema di determinazione della competenza per territorio, deve essere esclusa la connessione tra il delitto associativo e i reati- fine fuori dell’eccezionale ipotesi in cui risulti che fin dalla costituzione del sodalizio criminoso o

dalla adesione ad esso, un determinato soggetto, nell’ambito del generico programma criminoso, abbia già individuato uno o più specifici fatti di reato, dallo stesso poi effettivamente commessi (Sez. 1^ 10.4.2008 n. 17831, confl. Comp. Gliori e altri, Rv. 240309; idem 21.10.2009 n. 46134, confl. comp. in proc. Radulovic e altro, Rv. 245503).

    1. E’ certo che tale legame funzionale (che varrebbe a giustificare una connessione per continuazione, valida, però, soltanto per le posizioni di coloro che compaiono nel delitto associativo e nel delitto fine, ma non per chi concorre in quest’ultimo senza essere partecipe dell’associazione) nella sentenza impugnata non risulta trattato, ma sul punto nessuna specifica censura è stata dedotta dagli imputati interessati.
    2. Così come non risulta in alcun modo trattato il dato fattuale utile a risolvere il tema del luogo in cui avvennero le singole frodi sportive.
    3. Si impone allora una indagine di fatto, esperibile in questa sede attesa la natura processuale del vizio denunciato, in ordine alla individuazione del momento consumativo del delitto di frode sportiva, richiamandosi, al riguardo, il principio affermato nella giurisprudenza di questa Corte Suprema secondo il quale il delitto di frode sportiva previsto dall’art. 1, comma primo, della L. 13 dicembre 1989, n. 401 si consuma nel momento e nel luogo in cui si verifica la promessa o l’offerta di un vantaggio indebito, ovvero si pone in essere – in riferimento alla seconda parte del comma 1° – ogni altra condotta fraudolenta, e non in quello dell’accettazione di tale promessa od offerta (in termini Sez. 3^, 25.2.2010 n. 12562, Preziosi e altri, Rv. 246595).
    4. Senonchè, per come è dato rilevare dagli atti processuali, l’accordo criminoso è avvenuto per telefono di guisa che, non potendosi individuare il luogo di realizzazione della condotta, occorrerebbe ricorrere ai criteri di cui all’art. 9 cod. proc. pen.. Escluso che possa trovare applicazione il criterio enunciato nel comma 1 (luogo in cui è avvenuta una parte dell’azione o dell’omissione che, però, non è dato conoscere), deve escludersi l’applicabilità del criterio della residenza, dimora, domicilio dell’imputato, giacché gli imputati sono più di uno e sarebbe inesatto frazionare la competenza individuando per ciascun concorrente il giudice in base alle rispettive residenze, dimore, domicili dei singoli concorrenti (salva l’ipotesi, che non è ravvisabile nel caso in esame, della convergenza di tali luoghi).
    5. Residua, allora, il criterio di cui all’ultimo comma. dell’art. 9 cod. proc. pen. secondo il quale, nell’impossibilità di determinare la competenza in base ai criteri indicati nell’art. 8 e nella prima parte dell’art. 9, la competenza appartiene al giudice del luogo in cui ha sede l’ufficio del pubblico ministero che ha provveduto per primo a iscrivere la notizia di reato nel registro previsto dall’art. 335 c.p.p.
    6. Ne consegue che l’eccezione d’incompetenza per territorio prospettata nei ricorsi proposti nell’interesse degli imputati FOTI e LOTITO va ritenuta infondata.

L’INUTILIZZABILITA’ DELLE INTERCETTAZIONI

  1. Procedendo nell’esame delle questioni di rilievo generale, altro tema trattato dalle difese di molti dei ricorrenti è quello relativo alla inutilizzabilità delle intercettazioni, sotto dìversi profili: si tratta, in particolare, delle censure sollevate dalle difese dei ricorrenti FOTI, LOTITO, MOGGI, PAIRETTO e RACALBUTO le quali lamentano anche l’omessa motivazione da parte della Corte distrettuale su tali temi prospettati nei singoli atti di appello.
    1. La violazione di legge viene dedotta dalla difesa del ricorrente FOTI per l’asserita indebita utilizzazione delle intercettazioni telefoniche effettuate su utenze a lui intestate per alcuni colloqui intercorsi con il designatore e coimputato BERGAMO Paolo alla vigilia di incontri calcistici riguardanti la società REGGINA (della quale il FOTI è Presidente), nonostante il titolo dei reati ascrittigli non consentisse, per il livello edittale della pena, il ricorso ad intercettazioni (tesi che il ricorrente sostiene essere stata accolta nel parallelo giudizio disciplinare sportivo di ultima istanza di fronte alla Camera di Conciliazione del C.O.N.I. definito con il proscioglimento dell’incolpato).
    2. La Corte territoriale, nell’affrontare tale questione, ha argomentato in modo corretto, uniformandosi a quel consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale nell’ipotesi in cui le operazioni di intercettazioni telefoniche siano state disposte nell’ambito di indagini relative a reato rientrante, per limiti di pena, nell’elenco di cui all’art. 266 cod. proc. pen., le stesse possono essere utilizzate nella loro interezza nel procedimento in cui sono state legittimamente disposte (v. Sez. 3^ 28.9.1995 n. 794 Rv. 204206 con la quale è stata ritenuta infondata la censura relativa alla utilizzabilità ed effettiva utilizzazione di intercettazioni telefoniche in ordine alla affermazione di responsabilità per il reato di cui agli artt. 56 e 610 cod. pen., non compreso tra quelli elencati nel citato art. 266 cod. proc. pen. in un procedimento concernente anche per il reato di violenza carnale continuata; v. anche Sez. 3^ 22.9.2010 n. 39761, S. Rv. 248557).
    3. E’ stato, altresì, precisato che con il termine “medesimo procedimento” va inteso quello avente per oggetto fatti-reato tra loro connessi, elemento, questo, certamente presente nella fattispecie in esame, posto che i reati di frode sportiva vengono posti tutti in correlazione con il reato associativo ancorchè contestato a persone diverse da quelle, come il FOTI, imputate soltanto del reato-fine: conseguentemente, secondo il suddetto orientamento, nel caso in cui si tratti di reati oggetto di un procedimento diverso “ab origine“, l’utilizzazione è consentita nel rispetto dei parametri indicati espressamente dall’art. 270 C.P.P., vale a dire l’indispensabilità e l’obbligatorietà dell’arresto in flagranza (cfr. Sez. 6^, 4.10.2012 n. 49745,

Sarra Fiore, Rv. 254056 idem 4.11.2014 n. 53418, De Col e altri, Rv. 261838).

    1. Argomentazioni identiche valgono anche con riferimento alle censure di analogo tenore formulate dalla difesa del ricorrente LOTITO Claudio, sicchè è da escludere che la Corte non si sia pronunciata sulle censure suddette, peraltro del tutto infondate.
  1. Altra questione in merito alla inutilizzabilità delle intercettazioni ed alle conseguenti violazioni di legge viene posta dalla difesa del ricorrente PAIRETTO Pierluigi, la quale, nel primo motivo, lamenta la nullità della sentenza per inosservanza di disposizioni processuali e omessa motivazione in stretto riferimento, per un verso, al mancato deposito dei brogliacci relativi alle intercettazioni telefoniche (avvenuto solo parzialmente e a giudizio dibattimentale ormai in fase avanzata) in aperta violazione degli artt. 268, 269 cod. proc. pen. e 89 disp. att. stesso codice (con correlata lesione del diritto di difesa anche in riferimento alla impossibilità di optare per eventuali riti alternativi) e, per altro verso, alla omessa motivazione sul punto da parte della Corte territoriale che avrebbe del tutto mancato di rispondere alle censure difensive già sollevate prima nella fase delle indagini preliminari, poi nella fase dell’udienza preliminare, quindi nella fase degli atti preliminari al dibattimento e rigettate, infine, dal Tribunale con ordinanza del 5 maggio 2009 poi impugnata.
    1. Le censure non hanno fondamento. Premesso che, vertendosi in tema di error in procedendo, è consentito in sede di legittimità l’esame degli atti e che non risulta effettivamente che la Corte territoriale abbia affrontato la questione del mancato deposito dei cd. “brogliacci”, va comunque rilevato che, per costante giurisprudenza di questa Corte Suprema, l’omesso deposito del cosiddetto “brogliaccio” (consistente nella sintesi delle conversazioni eseguita dalla polizia giudiziaria che procede alla relativa operazione) non è sanzionato da alcuna nullità o inutilizzabilità dalla normativa in tema di intercettazioni che prevede, invece, obbligatoriamente, con la sanzione dell’inutilizzabilità, il caso della omissione della redazione del solo verbale (artt. 268 comma 1 e 271 comma 1 c.p.p.). In altri termini l’inutilizzabilità potrebbe derivare dalla mancanza dei verbali ma non dei brogliacci la cui mancata redazione non è sanzionata. (v. oltre a Sez. 6^ 26.11.2009 n. 49541, Santagati, Rv. 245656, idem 23.9.2010 n. 3714, Della Giovampaola ed altri, Rv. 248747; Sez. 4^ 21.1.2004 n. 16890, Casali ed altro, Rv. 228040). Del tutto generica, poi, la censura relativa alla pretesa violazione dei diritti della difesa in relazione al mancato deposito dei brogliacci con riferito pregiudizio per l’accesso ai riti alternativi.
  2. Anche la difesa del ricorrente RACALBUTO lamenta il vizio di inosservanza della legge processuale penale con riferimento agli artt. 267 e 268 cod. proc. pen. per indebita utilizzazione delle cd. “schede svizzere” in assenza di rogatoria internazionale espletata con lo Stato elvetico e per nullità del decreto di autorizzazione alle intercettazioni e relativi provvedimenti di proroga, in relazione alla circostanza che le operazioni di ascolto sarebbero state effettuate in impianti esterni alla Procura della Repubblica.
    1. Osserva il Collegio che la Corte territoriale ha affrontato funditus tali peculiari aspetti, offrendo sul punto una motivazione condivisibile.
    2. Come ricordato dalla Corte distrettuale, l’espressione “tabulati telefonici” ha riferimento a quel complesso di dati esterni alle comunicazioni intercorse con linee telefoniche mobili o fisse. In effetti, il codice processuale non disciplina esplicitamente tale materia e, in particolare, le vicende riguardanti gli elementi di una conversazione telefonica diversi dal contenuto della stessa (utenza dalla quale la chiamata proviene, data, ora e durata e collocazione territoriale attraverso l’individuazione della celle). Ma va anche detto che l’acquisizione dei tabulati telefonici ha, come evidenziato dalla giurisprudenza di questa Corte Suprema, un grado di intrusività assai limitato, il che impedisce di dover far ricorso alla rigorosa disciplina di cui agli artt. 266 e ss. cod. proc. pen. dovendosi, piuttosto, fare riferimento allo schema di cui all’art. 256 cod. proc. pen., eterointegrato dall’art. 15, comma secondo, Cost., secondo il quale la libertà e la segretezza di ogni forma di comunicazione possono essere limitate solo con atto motivato dell’Autorità giudiziaria. Il che si traduce nella necessità – ai fini dell’acquisizione di dati esterni relativi al traffico telefonico – di un decreto motivato del Pubblico Ministero che dia ragione del privilegio accordato all’interesse pubblico di perseguire i reati, presidiato dall’art. 112 Cost., sul diritto alla privacy (in termini S.U. 21.6.2000 n. 16 Tammaro, Rv. 216247)
    3. Sulla base di tali premesse la Corte territoriale è correttamente pervenuta alla conclusione che il ricorso alla rogatoria internazionale è necessario solo allorché l’attività investigativa sia diretta a percepire il contenuto di comunicazioni o conversazioni che transitino unicamente su territorio straniero. Infatti, è emerso in modo incontrovertibile, come segnalato dalla Corte territoriale, che i tabulati acquisiti riproducevano il traffico telefonico avvenuto unicamente in territorio italiano mentre la materiale acquisizione delle schede straniere è avvenuta successivamente, e più precisamente, quando già il DE CILLIS aveva riferito ai Carabinieri di Cernobbio (Como) l’avvenuta vendita presso il proprio esercizio commerciale sito in Chiasso, delle suddette schede ad un dipendente della JUVENTUS F.C. s.p.a. che si era presentato in nome e per conto di MOGGI Luciano, indicando altresì sia il numero delle singole schede più volte consegnate (anche allo stesso MOGGI in persona) e sia la fittizia intestazione delle prime schede svizzere al proprio genitore ed al fratello.
    4. Nel caso in esame dunque è da escludere il ricorso alla rogatoria internazionale attesa l’assenza dei presupposti di operatività del trattato italo-svizzero di cooperazione ed assistenza giudiziaria del 10 settembre 1998 ratificato con L. 5.10.2001 n. 367.
  3. Quanto alla dedotta censura di nullità del decreto di autorizzazione alle intercettazioni e relativi provvedimenti di proroga, in relazione alla circostanza che le operazioni di ascolto sarebbero state effettuate in impianti esterni alla Procura della Repubblica (censura sollevata anche dalla difesa del ricorrente MOGGI), a parte la sua genericità, rileva il Collegio che in tema di captazione dei flussi comunicativi la condizione necessaria per l’utilizzabilità delle

intercettazioni è che l’attività di registrazione sia avvenuta nei locali della Procura della Repubblica mediante l’utilizzo di impianti ivi esistenti, mentre l’ascolto può avvenire “in remoto” presso gli uffici della polizia giudiziaria, senza che, in questo caso, sia necessaria l’autorizzazione prevista dall’art. 268, terzo comma, cod. proc. pen., in quanto le intercettazioni non possono essere considerate come eseguite per mezzo di impianti esterni all’ufficio requirente (v. Sez. 2^ 21.1.2015 n. 6846, Biondo, Rv. 263430; Sez. 2^ 13.3.2014, Pagano e altri, Rv. 260008).

    1. Sotto altro profilo va, poi, ribadito che è pienamente legittimo il ricorso agli impianti di intercettazione diversi da quelli installati negli Uffici della Procura della Repubblica quando il decreto del P.M. rechi l’indicazione e le relative ragioni anche in modo succinto della inidoneità degli impianti ivi allocati e della eccezionale urgenza di provvedere prima dell’inizio delle operazioni captative (in termini tra le tante, Sez. 6^ 16.10.2013 n. 45896, Foddi, Rv. 258158).
    2. Orbene, anche sotto questo aspetto, la motivazione della Corte distrettuale si sottrae ad ogni censura di legittimità, essendo stata evidenziata in quella sede l’esistenza di una congrua motivazione sia in ordine alla insufficienza o inidoneità degli impianti, sia in ordine alle eccezionali ragioni di urgenza che imponevano il ricorso alle modalità suddette: circostanza che, verificata dal Collegi,o conferma l’esattezza della decisione sul punto.
    3. Né varrebbe ad integrare la inutilizzabilità delle intercettazioni il fatto che la trascrizione e la riproduzione su supporti informatici siano avvenute in località diversa dagli uffici indicati, in quanto l’art. 268 comma 3 cod. proc. pen. esige che le operazioni di intercettazione vengano compiute con gli “impianti” installati presso la Procura della Repubblica ma non che tutti i successivi adempimenti vengano compiuti in tale luogo, (v. Sez. 2^ 28.3.2013 n. 27278, Maggio ed altri).

IL DELITTO ASSOCIATIVO

  1. Connotati assolutamente generali e comuni alla maggior parte dei ricorrenti assumono due ulteriori questioni connesse, rispettivamente, alla configurabilità del delitto associativo finalizzato alla commissione delle frodi sportive e alla natura giuridica del delitto di cui all’art. 1 comma 1° della L. 401/89 e relativo inquadramento della fattispecie: si tratta di argomenti che, per le refluenze che assumono sulla sussistenza di entrambi i reati e per i riflessi sulle posizioni di tutti gli imputati, questo Collegio ritiene di dover trattare in modo specifico.
    1. Premesso che a tali argomenti la Corte territoriale ha dedicato ampio spazio e che le motivazioni rese al riguardo sono certamente condivisibili, si ritengono necessarie alcune puntualizzazioni al fine di poter meglio valutare la consistenza dei motivi formulati dalle difese

dei ricorrenti a sostegno della insussistenza di entrambi tali figure criminose delittuose

    1. La Corte territoriale, nell’affrontare il tema della configurabilità del reato associativo finalizzato alla commissione di frodi sportive, ha seguito i noti canoni interpretativi in ordine alla struttura del delitto di associazione per delinquere di cui all’art. 416 cod. pen. enucleando gli elementi costitutivi del reato individuati nel vincolo associativo tendenzialmente permanente, destinato a durare anche oltre la realizzazione dei delitti programmati; nell’indeterminatezza del programma delittuoso; nell’esistenza di una struttura organizzativa non necessariamente formale funzionale agli obiettivi da raggiungere ed idonea a realizzarli. In particolare, con riferimento alla composizione interna del sodalizio la Corte ha individuato i vari responsabili sulla base di alcuni elementi oggettivi (le schede straniere; il meccanismo di distribuzione e le finalità della loro utilizzazione; i soggetti destinatari e utilizzatori di tali schede; le intercettazioni), evidenziando poi i compiti dei vari sodali sulla base di quanto risultato dalle intercettazioni ma anche dalle dichiarazioni testimoniali rese nel corso del dibattimento: è stato, così possibile, per la Corte di merito (così come era accaduto nel giudizio di primo grado) attribuire ad alcuni dei membri ruoli di vertice o come promotori (MOGGI) o come organizzatori (PAIRETTO, MAZZINI, BERGAMO – separatamente giudicato) e ad altri il ruolo di meri partecipi (BERTINI, DATTILO, DE SANTIS, RACALBUTO). Ma soprattutto l’articolata attività istruttoria e l’ampio materiale probatorio acquisito agli atti ha consentito alla Corte territoriale di escludere che potesse parlarsi di concorso di persone nel reato come pure alcune difese dei ricorrenti hanno prospettato.
    2. Gli elementi probatori individuanti la sussistenza in concreto dell’associazione sono stati individuati, anzitutto nelle schede straniere che hanno rappresentato il punto di partenza dell’associazione in questione; ancora nella mole davvero ragguardevole di conversazioni intercettate fa più associati, effettuate dalla P.G. dal settembre 2004 al maggio 2005; nelle riunioni tra i vari componenti in posizione apicale dell’associazione (i nominati MAZZINI, MOGGI e PAIRETTO, nonché BERGAMO e GIRAUDO, giudicati separatamente) anche finalizzate ad operazioni particolari quali il salvataggio della FIORENTINA; inoltre nelle condotte di formazione delle griglie costituenti la realizzazione del delitto-scopo programmato dall’associazione. La Corte di merito chiamata a pronunciarsi sulla liceità di quelle riunioni e dei rapporti intessuti tra i vari soggetti inseriti nell’associazione, l’ha, a ragione, esclusa (v. postea), ripudiando a ragione quell’immagine quasi “folcloristica” del settore calcistico che i protagonisti del presente processo pretendevano di veicolare in nome di un malinteso e fuorviante concetto di peculiarità dell’ambiente teatro delle conversazioni captate e del relativo contesto spazio-temporale.
    3. Altrettanto correttamente, la Corte distrettuale ha evidenziato il particolare contesto storico ed ambientale che vedeva gruppi contrapposti nella corsa al rinnovo delle cariche federali più rappresentative (la nomina del Presidente della F.I.G.C.) funzionale alla conferma di determinati soggetti in seno ai principali organismi federali del settore calcistico (ivi

compresi il settore arbitrale nelle sue varie articolazioni e le Leghe): ovvio quindi l’inquadramento dei fatti oggetto di imputazione in termini tali da evidenziare una molteplicità di interessi sottesi a tali eventi, individuabili attraverso i contatti intercorsi anche fra gli odierni imputati e indicativi di una serie di alleanze e di accordi finalizzati all’appoggio di un candidato rispetto all’altro.

    1. L’intera vicenda sottoposta alla valutazione della Corte di Appello è stata così inserita e letta in un contesto sportivo-affaristico che vedeva, nell’ambito delle vicende calcistiche del campionato di serie A nell’anno 2004/2005, una contrapposizione fra le squadre più rappresentative ed economicamente più forti (JUVENTUS, MILAN, INTER) sotto la cui egida operavano i vari dirigenti in simbiosi, talvolta, con i vertici federali.
    2. Lungi, quindi, dal rappresentare un ambiente impermeabile ad intrusioni esterne il sistema calcio di quegli anni e le esigenze di recupero di una supremazia di alcune squadre rispetto ad altre in fase di espansione finanziaria (come il MILAN) è stato, secondo la Corte di Appello, una sorta di trampolino di lancio per le mire espansionistiche del MOGGI, che, nella sua veste di direttore generale della JUVENTUS, (unitamente all’amico GIRAUDO Antonio A.D. della stessa società, giudicato separatamente in sede di giudizio abbreviato) cercava di intessere una rete di rapporti e legami particolari con una pluralità di soggetti che, sia per il loro ruolo istituzionale (vedi BERGAMO, PAIRETTO e MAZZINI) sia per la loro diretta utilità (vedi arbitri o assistenti di gioco quali DE SANTIS, RACALBUTO), apparivano più che funzionali all’operatività dell’associazione in parola.
    3. Un sistema ben collaudato e già funzionante sotto traccia da anni (si è parlato degli anni 1999-2000) come ricordato dalla Corte di merito, avente come protagonisti soggetti che dietro il paravento della “convivialità” (termine affatto condiviso dal giudice di secondo grado, ma anche dal Tribunale) secondo il giudice di Appello aveva quale nucleo centrale la commissione di condotte finalizzate a falsare la reale portata e potenzialità di alcune squadre di calcio.
    4. Quanto agli elementi probatori raccolti a conforto della tesi dell’associazione delinquenziale la Corte distrettuale – come già accennato – oltre a mettere in risalto le conversazioni intercettate, ha rimarcato l’uso delle cd. “schede straniere utilizzate da molteplici soggetti (i due designatori, arbitri, dirigenti di altre squadre di calcio) su ideazione dello stesso MOGGI Luciano (che pur confermando l’esistenza delle schede segrete ha fornito una giustificazione, a ragione ritenuta implausibile dalla Corte, fondata sulla necessità di non subire intercettazioni “abusive” da parte di soggetti che controllavano di fatto la società di calcio dell’Inter), ponendo poi in connessione l’uso di quelle schede con le varie partite del campionato di calcio e attribuendo, al riguardo, portata decisiva al sistema di formazione delle griglie arbitrali.
    5. Anche i contatti rilevati sulla scorta dei tabulati; il rilevante numero di essi e le stesse modalità temporali dei contatti sono stati ritenuti dalla Corte di merito elementi probatori di fondamentale importanza per ribadire l’esistenza di una associazione criminosa.
    6. Così come sono risultate decisive le indagini di P.G. per la individuazione dei partecipanti al sodalizio sulla base della disponibilità delle schede da parte di determinati soggetti; al pari delle testimonianze escusse in dibattimento (testi DE CILLIS e BERTOLINI, emissario della JUVENTUS per conto del MOGGI, testi di P.G. col. AURICCHIO e DI LARONIO) che hanno consentito alla Corte di merito di individuare sia il momento in cui il MOGGI si sarebbe attivato nell’inviare più volte il dipendente della Juventus BERTOLINI presso il negozio di telefonia di Chiasso del DE CILLIS, e sia il momento dell’acquisto delle schede da parte del MOGGI.
    7. In questo senso sono state passate al setaccio tra le innumerevoli conversazioni intercettate (la Corte di merito ha parlato di circa 172.000 intercettazioni nell’arco di otto mesi circa), sottolineandosi quelle alle quali – come poi la Corte di merito ha fatto nell’esaminare la posizione dei vari imputati – andava annessa una importanza decisiva ai fini della dimostrazione dell’esistenza dell’associazione delinquenziale.
    8. Ne è così derivato un quadro complessivo che, al di là della configurabilità in concreto del delitto associativo, ha permesso alla Corte di meglio delineare, rispetto a quanto avvenuto nel giudizio di primo grado, i ruoli dei singoli, finendo con il fare emergere un vero e proprio mondo sommerso la cui carica intrinseca di offensività degli interessi “ultraindividuali” (come li ha definiti dalla Corte territoriale) è stata particolarmente intensa e tale da sconvolgere l’assetto del sistema calcio, fino a screditarlo in modo inimmaginabile e minarlo nelle sue fondamenta, con ovvie pesantissime ricadute economiche. Ne costituisce prova il rilevante numero delle parti civili (pubbliche e non) a dimostrazione degli enormi interessi in gioco di tipo economico e l’altrettanto rilevante messe di ricorsi presentati dalle parti civili.
    9. E’ vero – come segnalato dalla Corte di merito – che non è risultata sufficientemente dimostrata la tesi dei “sorteggi pilotati” o l’utilizzazione di metodologie particolari atte a suffragarla; ma ciò non ha impedito alla Corte di soffermare la propria attenzione su un momento fondamentale prodromico ai sorteggi quale quello della formazione delle griglie arbitrali considerato come il nucleo essenziale del delitto-scopo di frode in competizione sportiva (v. postea). Le griglie arbitrali, secondo l’impostazione della Corte territoriale costituivano il terreno su cui maggiormente poteva esprimersi la discrezionalità di scelta da parte dei due designatori PAIRETTO e BERGAMO, oltre che in ordine alla valutazione ed alla conseguente progressione “in carriera” proprio dei singoli arbitri: circostanza che la Corte ribadisce essere stata confermata da più testi (ROSETTI, GALATI, MARTINO, CUTTIGA, TRENTALANGE, PAPI, CALCAGNO, i quali hanno anche fatto cenno all’incidenza sulla carriera degli arbitri di volta in volta inseriti in tali griglie).
    10. Come afferma il giudice di merito, infatti, la sorte arbitrale e le aspirazioni di carriera dei vari direttori di gara erano condizionate da alcuni elementi governabili (e governati di fatto) dai designatori di intesa, però, con soggetti estranei del tutto al mondo arbitrale (MOGGI e GIRAUDO) come l’assegnazione di partite di maggiore o minore prestigio; la sospensione del singolo arbitro per uno o più turni; la redazione di giudizi a fine campionato.
    11. La Corte di Napoli ha descritto il sistema di formazione delle griglie per gli arbitri e il sistema per la designazione degli assistenti di gara che venivano designati direttamente dai vertici della C.A.N. sottolineando che anche tali designazioni, in quanto funzionali alle scelte mirate delle griglie, subivano tuttavia una incidenza da parte dei due designatori BERGAMO e PAIRETTO.
  1. Ciò precisato, come è agevole notare dal contenuto dei vari ricorsi, la parte della sentenza con la quale si conferma la sussistenza del delitto di associazione per delinquere e la partecipazione di alcuni degli imputato ricorrenti (MOGGI, PAIRETTO, MAZZINI, BERTINI, DATTILO, DE SANTIS, RACALBUTO) viene criticata sotto diverse angolature.
    1. Ritiene il Collegio che, al di là delle corrette risposte fornite su tali specifici punti dalla Corte distrettuale, gli argomenti addotti dai difensori non possano essere condivisi.
    2. Va anzitutto condivisa la descrizione della Corte territoriale in ordine agli elementi costitutivi del delitto di associazione per delinquere richiamandosi a tale fine gli arresti giurisprudenziali più significativi relativi agli elementi che connotano la fattispecie (in termini, tra le tante, Sez. 1^ 14.7.1998 n. 10107, Rossi ed altri, Rv. 211403; Sez. 2^ 3.4.2013 n. 20451, Ciaramitaro ed altri, Rv. 256054 in cui si fa presente la consapevolezza da parte dei sodali di operare nel tempo per l’attuazione del programma criminoso).
    3. Quanto all’elemento soggettivo, il delitto de quo è connotato dal dolo specifico caratterizzato, oltre che dalla volontarietà della condotta associativa, dall’ulteriore finalità di commettere dei delitti (non rilevano dunque scopi meramente antisociali o immorali), i quali, per ragioni logiche, non potranno che essere dolosi.
    4. Con riferimento all’elemento temporale della durata del vincolo (questione sollevata da alcune difese in relazione alla estrema limitatezza nel tempo della supposta associazione criminosa in quanto – per come si deduce dal capo di imputazione – destinata ad operare solo con riferimento alla stagione sportiva 2004-2005), va subito precisato che si tratta di un dato non decisivo ai fini della esclusione o meno della configurabilità della fattispecie.
    5. Infatti, come più volte affermato da questa Corte Suprema, ai fini della configurabilità della fattispecie in esame, “non è sempre necessario che il vincolo si instauri nella prospettiva di una permanenza a tempo indeterminato, e per fini di esclusivo vantaggio dell’organizzazione stessa, ben potendo, al contrario, assumere rilievo forme di partecipazione destinate, <<ab origine>>, ad una durata limitata nel tempo e caratterizzate da una finalità che, oltre a comprendere l’obiettivo vantaggio del sodalizio criminoso, in relazione agli scopi

propri di quest’ultimo, comprenda anche il perseguimento, da parte del singolo, di vantaggi ulteriori, suoi personali, di qualsiasi natura, rispetto ai quali il vincolo associativo può assumere anche, nell’ottica del soggetto, una funzione meramente strumentale, senza per questo perdere nulla della rilevanza penale”. (Sez. 2^ 24.3.2011 n. 16606, Agomeri Antonelli, Rv. 250316; v. anche Sez. 1^ 18.3.2011 n. 31845, D. ed altri, Rv. 250771, in cui si afferma che anche un vincolo di breve durata può ben integrare la fattispecie in parola; conforme Sez. 6^ 22.1.1997 n. 5649, Dominante e altri, Rv. 208903)

    1. Così come è irrilevante nello schema della figura delittuosa in questione la circostanza che i delitti programmati non vengano, in tutto o in parte, realizzati o che siano commessi da alcuni soltanto degli associati (vds. Sez. 4^ 28.1.2014 n. 8092, Prezioso e altri, Rv. 259129; Sez. 1^ 3.4.1997 n. 5036, Pesce ed altri, Rv. 207792).
    2. Si è anche precisato che la figura delittuosa in esame rientra nella categoria dei delitti contro l’ordine pubblico che viene in concreto leso dall’esistenza dell’associazione e dall’allarme sociale che questa suscita. L’argomento è stato poi specificamente affrontato dalle difese di alcuni ricorrenti prospettandosi la tesi che non potendo il reato-scopo di frode sportiva considerarsi reato contro l’ordine pubblico, ciò riverberebbe in termini negativi sulla configurabilità del reato associativo per una sostanziale incompatibilità tra il reato mezzo ed il reato fine (v. postea).
    3. E’ da escludere che tra il reato associativo ed i singoli reati-scopo sia ravvisabile un vincolo rilevante ai fini della continuazione e, meno ancora, della connessione teleologica, posto che, normalmente, al momento della costituzione della associazione, i reati-fine sono previsti solo in via generica.
  1. Così esposti i tratti generali della figura delittuosa di cui all’art. 416 cod. pen., occorre verificare se – con riferimento alla posizione dei vari ricorrenti – la Corte di merito abbia fatto buon governo dei principi di diritto sopra ricordati.
    1. A tale fine occorre ricordare che nel capo d’imputazione (capo che è comune rispetto agli altri soggetti imputati nell’ambito del processo celebratosi con le forme ordinarie) sono certamente presenti – come correttamente rilevato dalla Corte di merito – gli elementi sintomatici della stabilità del gruppo di persone e del numero non inferiore a tre, delle persone inserite nella compagine associativa; delle finalità (illecite) perseguite e dell’esistenza di una ben strutturata ed articolata organizzazione idonea al perseguimento degli obbiettivi prefissati, senza che possa inferirsi la genericità della contestazione come parrebbe profilarsi tra le righe dei due ricorsi.
    2. Con riferimento al numero delle persone, i plurimi dati processuali esaminati dalla Corte distrettuale hanno confermato la compresenza di soggetti con funzioni e qualifiche diverse, portatori di interessi individuali diversi, per la cui realizzazione, tuttavia, è imprescindibile la commissione di un certo tipo di reato (il reato di frode sportiva, come si

vedrà meglio in prosieguo).

    1. Quanto agli scopi perseguiti, questi sono stati esteriorizzati attraverso la realizzazione indeterminata di più delitti di frode sportiva (nelle sue varie sfaccettature, come si desume dai capi di imputazione successivi a quello sub A) rientranti in apposito programma delittuoso: tale reato-scopo, come correttamente osservato dal Procuratore Generale nella propria requisitoria, si atteggia anche come strumento per il perseguimento di obbiettivi ulteriori, non necessariamente destinati ad incidere sui risultati di singole competizioni partite, ma, più in generale, indirizzati alla predeterminazione degli esiti del campionato di serie A 2004-2005.
    2. In linea generale – estendendo il significato della frode sportiva a qualsivoglia manovra ideata in vista dell’alterazione dei risultati del campionato di calcio – questa non può essere circoscritta al classico caso dell’alterazione di una determinata gara sportiva, anche perché occorre tenere presente la struttura della norma penale che ha introdotto questa nuova figura di reato nel panorama normativo statale.
    3. In questo senso può allora affermarsi che le frodi sportive si pongono a servizio di peculiari esigenze perseguite da alcuni dei consociati che manifestavano uno specifico interesse a far parte dell’associazione: in quest’ottica vanno, per esempio, valutate quelle manovre dirette ed esercitare un potere di controllo sui vertici federali (come nel caso delle manipolazioni di risultati in danno dei fratelli DELLA VALLE, dirigenti della società di calcio FIORENTINA costretti poi a ricorrere ad interventi di altri dirigenti – quali, per quanto qui rileva
  • il MAZZINI ed il MOGGI – al fine di evitare la retrocessione nel campionato inferiore ed in generale ripristinare un equilibrio tra gruppi di società e lobbyes dirigenziali fino a quel momento in posizioni contrapposte).
    1. Ma di frodi sportive si può ben parlare anche in riferimento ad altri interessi come – per quanto ad esempio riguarda il MOGGI – la tutela di una determinata squadra cui assicurare a qualunque costo una posizione di vertice nel campionato, attraverso la neutralizzazione in via preventiva del rischio di sconfitte; Ma anche la gestione di determinate strategie in vista della attribuzione di posizioni di vertice all’interno del sistema federale che fungessero da idonee garanzie per il condizionamento del campionato e per il successo di una determinata squadra (nel caso in esame, la JUVENTUS).
    2. Alcuni tra i punti controversi riguardano il momento genetico dell’associazione con i connessi problemi legati alla individuazione dei suoi componenti, ai singoli ruoli ed alle strutture organizzative che ne costituiscono parte integrante; la configurabilità del delitto di cui si discute in riferimento al(l’unico) delitto-scopo di frode sportiva nella sua accezione come risulta delineata nel comma 2° dell’art. 1 della L. 401/89.

18.9 Come è dato leggere nella sentenza impugnata, l’associazione in parola sorge per iniziativa del suo ideatore e promotore MOGGI Luciano e la prima manifestazione di operatività

dell’associazione è costituita dall’acquisizione, sempre ad opera del MOGGI, di schede telefoniche estere comprate in Svizzera e in grado di neutralizzare tentativi di intrusione da parte di estranei. Con tale sistema il MOGGI distribuirà le schede suddette (inizialmente all’arbitro PAPARESTA Gianluca e al di lui padre ed ex arbitro PAPARESTA Romeo) a quei soggetti con i quali avrebbe dovuto, di volta in volta, interfacciarsi per il perseguimento di determinate esigenze (tutte rientranti in quel programma criminoso cd. “globale”), ponendosi al riparo di occhi ed orecchie indiscrete: tale inusuale, e per certi versi ingegnoso, sistema relazionale costituisce la base fondante del funzionamento dell’associazione come esattamente ritenuto dalla Corte di Appello.

  1. Ma non è questo soltanto il dato probatorio esaminato e valutato da parte della Corte distrettuale per confermare l’esistenza dell’associazione e l’intraneità di alcuni sodali nel sistema illecito facente capo a tale struttura. Portata decisiva – come si è dianzi accennato – è stata attribuita alle numerose conversazioni telefoniche che vedono i vari protagonisti in febbrili contatti tra loro, la cui liceità è stata vanamente prospettata dalle difese nel nome di un linguaggio gergale che avrebbe dovuto indurre ad attribuire a quelle riunioni un significato “amicale”, privo di rilievo penale; agli incontri, nient’affatto “conviviali” secondo il giudizio della Corte territoriale, svoltisi, di volta in volta, presso le abitazioni private di ciascuno di quei partecipanti; a determinate riunioni definite, a ragione, dalla Corte, di carattere programmatico e destinate ad una cerchia davvero ristretta di persone (GIRAUDO, MOGGI, PAIRETTO e BERGAMO), spesso tenute a ridosso di determinati incontri calcistici (circostanza che è stata tenuta presente dal giudice di merito per affermare la illiceità penalmente rilevante di tali incontri “riservati”; alla partecipazione del MOGGI alla cerimonia della predisposizione delle cd. “griglie arbitrali”; alla partecipazione del MAZZINI ad alcuni incontri finalizzati al salvataggio della società di calcio FIORENTINA, anche questi dimostrativi della sussistenza del delitto di frode sportiva in relazione alla necessità di un intervento risolutore dell’entourage di MOGGI Luciano.
    1. Sotto altro profilo si osserva che da parte del giudice distrettuale è stata confermata la sussistenza del reato-fine di frode sportiva latu senso intesa (cioè non strettamente legata alla manipolazione di una determinata gara del campionato, ma, comunque, volta ad alterare attraverso determinati interventi dall’alto, risultati calcistici diretti ad assicurare la permanenza di determinate compagini sportive nel massimo campionato come i casi della LAZIO e della FIORENTINA). Né può costituire prova della inconfigurabilità della associazione la circostanza che alcuni dei delitti-fine siano stati poi ritenuti insussistenti, essendo comunque emersa la prova della sussistenza di altri reati di identica natura compiutamente contestati.
  2. Riservandosi di analizzare nel prosieguo la struttura di tale reato, il Collegio non può che ribadire la portata, penalmente illecita, delle operazione di predisposizione delle griglie arbitrali che le difese dei ricorrenti hanno, invece, ritenuto di valenza neutra ai fini della integrazione della fattispecie, se non addirittura inidonea ad influire sul risultato sportivo, posto

che altre condotte ben più sintomatiche quali, in ipotesi, l’alterazione dei sorteggi arbitrali ovvero l’anomalia nelle conduzioni arbitrali di determinate partite, sono rimaste del tutto indimostrate. Ed infatti le osservazioni critiche delle difese fanno leva sulla irrilevanza dell’operazione di formazione delle griglie nell’economia generale del delitto di frode sportiva per poi inferirne l’insussistenza e, di riflesso, l’inconfigurabilità del delitto associativo.

    1. A ben vedere (come meglio si osserverà in prosieguo), si tratta di una visione riduttiva del concetto di illiceità penale di una determinata fattispecie, in quanto la condotta riferibile alla predisposizione delle griglie arbitrali non può considerarsi preliminare rispetto allo svolgimento della gara – e come tale, inidonea ad alterarne il risultato – innestandosi invece in un complesso meccanismo operativo che vede quella manovra come non soltanto propedeutica alla assegnazione delle gare a determinati arbitri e, dunque, ad un possibile loro condizionamento da parte dei vertici dirigenziali di determinate società (per quanto qui di interesse la Juventus attraverso i menzionati MOGGI e GIRAUDO) in combutta con i vertici arbitrali (PAIRETTO e BERGAMO), ma come dimostrativa della vicinanza dell’arbitro di volta in volta designato, ai soggetti attivi nell’ipotizzato gruppo associativo.
    2. Al riguardo va subito precisato che la Corte d’appello ha qualificato il reato in esame interpretandolo in termini di delitto di “attentato al bene tutelato della lealtà e correttezza sportiva” (concetto sul quale si tornerà di qui a breve).
    3. Quel che è importante rimarcare è, però, la formulazione del capo di imputazione il quale – in riferimento al delitto associativo (ma anche al delitto di frode sportiva) – evoca un sistema volto all’alterazione dei risultati sportivi che va ben al di là della predisposizione delle griglie, benché quest’ultima rappresenti nel contempo elemento sintomatico della frode sportiva e della stessa associazione a delinquere.
    4. A ragione la Corte di Appello ha escluso che la partecipazione di dirigenti delle società calcistiche (per quanto qui di specifico interesse il MOGGI, oltre che il GIRAUDO separatamente giudicato) al procedimento di formazione delle griglie arbitrali fosse un comportamento asintomatico ed innocuo sotto il profilo penale: la tesi del comportamento, eticamente magari non corretto, ma privo di valenza penalistica, non può essere condivisa in quanto con quel comportamento si mira proprio a scardinare il concetto di imparzialità che sta alla base del risultato sportivo e che, dunque, merita di essere rigorosamente tutelato sotto il profilo penale in tutte le sue articolazioni e possibili sfaccettature. L’alterazione delle partite di campionato, al di là di quegli esempi ricorrenti in cui si assiste ad una dazione di denaro in cambio dell’ottenimento di un determinato risultato (integrante una vera e propria ipotesi di “corruzione in ambito calcistico”), può benissimo essere perseguita ed ottenuta attraverso una pluralità coordinata di condotte di altro tenore in vista di una manipolazione delle gare, di cui la predisposizione delle griglie rappresenta l’inizio del sistema illecito.
    5. Conseguenza inevitabile di tale affermazione è l’insidiosità, penalmente valutabile,

della partecipazione dei dirigenti calcistici alla predisposizione delle griglie arbitrali in modo da poter inserire, con il beneplacito dei designatori arbitrali giudici di gara considerati “vicini” al proprio gruppo d’interesse. E ben si spiega in tale ottica, l’intervento a tutela della imparzialità arbitrale (messa in pericolo dagli interventi dei dirigenti) da parte di organismi della stampa specializzata, opportunamente e sapientemente manovrati dietro le quinte dall’onnipresente duopolio juventino MOGGI e GIRAUDO (quale provetta “spalla” del primo), in modo da far passare davanti all’opinione pubblica l’immagine di arbitri non solo imparziali ma anche tecnicamente competenti e dunque degni di plauso: ben si comprende allora, attraverso la lettura del lungo capo di imputazione sub A), la complessità del meccanismo associativo fatto di manovre spesso subdole e magari a prima vista innocenti, ma in realtà decriptabili e decriptate come illecite (e dunque pienamente inserite nella fattispecie penale) dal giudice di merito che non ha di certo lesinato sforzi per accertare con compiutezza di analisi quell’articolato meccanismo orchestrato dal MOGGI.

    1. Non pare, poi, condivisibile la conseguenza che le difese intendono trarre, per escludere la sussistenza del delitto associativo (sotto il profilo della mancanza del reato- scopo), dalla constatata assenza di manipolazioni artificiose nella procedura dei sorteggi arbitrali, in quanto sono proprio i diretti contatti tra gli emissari della società che avevano concorso a predisporre le griglie arbitrali e l’arbitro definitivamente sorteggiato, a costituire la prova dell’inquinamento complessivo del sistema iniziato, per l’appunto, con la predisposizione delle griglie arbitrali e dunque, della piena operatività di un sistema ben organizzato costituito da soggetti a vario titolo e con vari ruoli, intenzionati a porre in essere condotte penalmente illecite dirette a influire sul campionato di calcio di serie A 2004-2005.
    2. Conclusivamente i rilievi difensivi diretti a smentire la ritenuta sussistenza dell’associazione delinquenziale e il coinvolgimento diretto e consapevole di alcuni componenti sono infondati ed in parte – quelle contenenti censure in fatto – persino inammissibili.

LA FRODE IN COMPETIZIONI SPORTIVE

  1. Anche il tema della frode in competizione sportiva è stato al centro dell’attenzione della Corte di Appello che, partendo dal dato comune di un reato di pericolo, ha inteso il concetto come relazione di probabilità tra un fatto ed un evento in uno con il concetto di probabilità come “un rapporto di frequenza dei possibili” accedendo alla distinzione teorica tra le due diverse categorie di pericolo: concreto e astratto. Nel primo il pericolo rappresenta un elemento essenziale della fattispecie, la cui esistenza deve essere accertata dal giudice caso per caso; nel secondo, il pericolo è implicito e presunto nella stessa condotta.
    1. La Corte distrettuale ha così aderito alla tesi del reato di pericolo astratto, giustificando così l’esigenza avvertita dal legislatore di tutelare il bene giuridico della lealtà e

correttezza nella attività sportiva agonistica (non condiviso, ad esempio, dalla difesa del ricorrente MOGGI) attraverso la legge n. 401 del 1989.

    1. Da qui l’ulteriore corollario dell’attrazione del reato di frode in competizione sportiva nella categoria dei delitti di attentato a consumazione anticipata, consistente in atti diretti a ledere il bene protetto.
    2. La sentenza impugnata, in coerenza con tale impostazione si è attenuta a questa interpretazione, soffermando la propria attenzione sulla nozione degli “atti fraudolenti” di cui alla seconda parte dell’art. 1 della L. 401/89: in particolare sulla “idoneità” degli stessi e, solo dopo, sulla loro direzione (rectius univocità), privilegiando il momento della tutela anticipata collegato alla direzione degli atti.
    3. Secondo la Corte di merito la tutela anticipata trova la sua ragion d’essere nella particolare pericolosità “diffusiva della condotta” individuata dalla norma sottolineando la differente natura della disposizione penale dalla parallela figura di illecito sportivo contenuta nel Codice di giustizia sportiva della F.I.G.C.
    4. La conclusione cui perviene la Corte di merito è quella che nella fattispecie in esame “la punibilità non può essere ottenuta attraverso un generico richiamo ai requisiti del delitto tentato” occorrendo piuttosto analizzare le varie attività desunte dall’intero compendio probatorio, al fine di valutare tra le varie condotte quelle non solo dirette a ledere il bene tutelato dalla norma, ma anche e soprattutto concretamente influenti sul regolare svolgimento delle varie gare sportive.
    5. Quanto alla nozione di “atto fraudolento” contenuta nella seconda parte del comma 1° dell’art. 1 L. 401/89 la Corte ha sottolineato la distinzione ed autonomia tra le condotte corruttive di cui alla prima parte dell’articolo e quelle indicate nella seconda parte nella quale rientrerebbero, a giudizio della Corte medesima anche le condotte “atipiche” concretizzantisi in comportamenti di varia tipologia non predeterminabile volti a modificare la regolarità.
    6. L’attenzione della Corte di Napoli è stata anche rivolta alla figura dell’arbitro (che nella vicenda all’esame del Collegio assume un rilievo non comune) procedendo ad una valutazione del coinvolgimento degli arbitri e/o assistenti nelle singole condotte di frode sportiva penale, non circoscritta alla mera conduzione della gara oggetto della singola imputazione estesa agli elementi probatori concreti sia a monte della gara stessa e sia a quelli emergenti da ulteriori esiti dibattimentali. Fin qui, dunque, le valutazioni espresse dalla Corte territoriale.
  1. Rileva il Collegio che tali valutazioni sono in larga parte condivisibili, anche se non va disconosciuto che il tema attinente alla configurabilità in astratto ed in concreto del delitto-fine di frode sportiva appare decisamente più complesso e meritevole di approfondimento rispetto alle motivazioni, pur significative, della Corte di Appello: si è infatti affermato da parte dei difensori che, non potendosi strutturalmente concepire nei termini enunciati dalla Pubblica

Accusa ed anche sulla base dei dati probatori raccolti, il delitto di frode sportiva quale (unico) delitto-scopo dell’associazione, la sua insussistenza sul piano ontologico determinerebbe inevitabilmente l’inconfigurabilità del delitto associativo e la violazione di legge – sotto il profilo della sua inosservanza – nonchè la manifesta illogicità sul piano motivazionale del ragionamento svolto dalla Corte di Appello per giustificare la sussistenza dell’associazione a delinquere.

    1. Si ritiene, quindi, necessario esporre, sia pur a larghe linee, gli aspetti generali riguardanti la figura delittuosa della frode in competizioni sportive (esame peraltro condotto con estremo scrupolo dalla Corte territoriale), anche perché al centro delle censure mosse avverso la decisione impugnata: ed, ancora una volta, si tratta di verificare se da parte della Corte distrettuale sia stata correttamente interpretata la detta fattispecie e ritenuta coerente rispetto al cospicuo materiale probatorio esaminato.
    2. La motivazione della Corte territoriale, pur con le necessarie puntualizzazioni che seguiranno, si presenta corretta e soprattutto osservante del testo normativo ed in linea con l’orientamento della giurisprudenza formatosi in subiecta materia.
    3. Muovendo dalla distinzione tra le due condotte di alterazione delle gare sportive in termini di corruzione (art. 1 comma 1 prima parte) e di altri comportamenti fraudolenti volti al medesimo scopo (art. 1 comma 1 seconda parte), La Corte di merito ha classificato la fattispecie in esame come delitto di attentato a forma libera insuscettibile di tentativo, facendo rientrare le condotte di alcuni degli associati (MOGGI, MAZZINI, PAIRETTO, RACALBUTO, DE SANTIS) non solo nella fattispecie della frode sportiva loro rispettivamente contestata ma anche nel più grave reato di associazione per delinquere.
    4. L’argomento adoperato è in sostanza questo: versandosi – almeno con riferimento alla seconda parte del comma 2 dell’art. 1 della L. 401/89 – in tema di delitto di attentato, a forma libera, che non ammette il tentativo e che viene costruito come reato di pericolo, la condotta si intende realizzata con il compimento di atti che devono risultare idonei ed univocamente diretti all’alterazione della gara; l’inidoneità di questi atti e la non univocità osterebbero irrimediabilmente ad attribuire rilevanza penale alle condotte. Da qui la conseguenza della irrilevanza di una effettiva alterazione del risultato della gara perché si tratta di un evento estraneo alla fattispecie (nel senso che esso non è necessario per la integrazione del reato), la quale si considera consumata per il fatto di aver posto in essere la condotta di alterazione. D’altra parte la struttura di reato a forma libera permette l’interpretazione sopra indicata: va escluso che possano essere astrattamente predeterminati i limiti ed i requisiti della condotta tipica, mentre è necessario verificare, volta per volta, se i comportamenti presi in considerazione possano costituire atti fraudolenti volti a raggiungere un risultato diverso da quello conseguente al corretto e leale svolgimento di un competizione agonistica.
    5. Tale interpretazione è coerente con il testo normativo dell’art. 1 comma 1° della Legge 401/89 (intitolato “frode in competizione sportive”) in forza del quale “chiunque offre o promette denaro o altra utilità o vantaggio a taluno dei partecipanti ad una competizione sportiva organizzata dalle federazioni riconosciute dal Comitato olimpico nazionale italiano (CONI), dall’Unione italiana per l’incremento delle razze equine (UNIRE) o da altri enti sportivi riconosciuti dallo Stato e dalle associazioni ad essi aderenti, al fine di raggiungere un risultato diverso da quello conseguente al corretto e leale svolgimento della competizione, ovvero compie altri atti fraudolenti volti al medesimo scopo, è punito con la reclusione da un mese ad un anno e con la multa da lire cinquecentomila a lire due milioni. Nei casi di lieve entità si applica la sola pena della multa. Nei casi di lieve entità si applica la sola pena della multa”. E’ stato così osservato che in relazione alla qualificazione della figura delittuosa in esame come reato “a forma libera” la cui condotta, quindi, non è tipizzata in termini tassativi, una parte della giurisprudenza di questa Corte Suprema ha ritenuto di ricomprendere in tale fattispecie criminosa anche l’ipotesi di somministrazione di farmaci vietati, prima che venisse emanata la specifica normativa sul doping di cui alla L. 376/00 (v. Sez. 6^ 25.1.1996 n. 3011, Omini, Rv. 204787; Sez. 2^ 29.3.2007 n. 21324, P.G. in proc. Giraudo, Rv. 237035 in cui, dopo aver evidenziato la differenza strutturale tra il reato di frode sportiva di cui all’art. 1 della L. 401/89 e quello di doping di cui all’art. 9 della L. 376/2000 e la conseguente insussistenza di una continuità normativa tra le due figure delittuose, è stato precisato che solo per le condotte poste in essere prima dell’entrata in vigore della L. 376/00 è prevista la punibilità in termini di frode sportiva ai sensi dell’art. 1 della L. 401/89 in quanto legge più favorevole).
    6. Il significato dell’espressione “atti fraudolenti volti al medesimo scopo” (quello cioè di conseguire un risultato diverso da quello derivante dal corretto e leale svolgimento della competizione agonistica come enunciato nella prima parte del comma 1°) ha – secondo le affermazioni contenute nella sentenza impugnata – un significato omnicomprensivo che abbraccia tutta una serie di condotte non propedeutiche alla alterazione del risultato di una gara ma esse stesse indicative dell’alterazione e dunque integrative della fattispecie.
    7. Una importante distinzione che rafforza il concetto testè espresso è stata operata dalla Corte territoriale per sottolineare la differenza di comportamento tra i soggetti ricoprenti posizione di vertice all’interno delle federazione calcistica o di organismi interni ad essa rispetto ai soggetti officiati della direzione tecnica della gara.
    8. Solo per i primi può dirsi che la condotta fraudolenta contestata ha per oggetto il compimento di atti diretti a condizionare la designazione ed il sorteggio per l’individuazione di arbitri e assistenti deputati al controllo della regolarità competizione sportiva; viceversa gli arbitri (o i guardalinee designati) incaricati di volta in volta della direzione tecnica, in tanto potranno rispondere dell’illecito penale sopra indicato in quanto si acquisisca la prova che la loro conduzione fosse diretta ad alterare l’esito della gara.
    9. Grazie a tale distinzione è possibile considerare il meccanismo di alterazione delle

regole procedurali della designazione, la formazione delle cd. “griglie” e/o le metodologie del sorteggio al fine di designare un tal arbitro o assistente disponibile ad alterare l’andamento della gara, come di per sé integranti la fattispecie delittuosa contemplata dalla seconda parte del comma 2 dell’art. 1, mentre la contestazione mossa nei riguardi dell’arbitro o del guardalinee (o assistente) ha quale riferimento la assunzione consapevole di decisioni tecniche sbagliate in favore o in danno di determinate squadre, sempre secondo i desiderata del sodalizio criminoso.

  1. Prima di verificare in concreto la correttezza della decisione (che ha riflessi, come si vedrà in appresso, sulla sorte dell’imputato in relazione alla maturata prescrizione), occorre svolgere alcune riflessioni generali su tale peculiare figura delittuosa, introdotta – come è noto
  • nel nostro ordinamento il 13 dicembre 1989 con la legge n. 401.
    1. Diversamente da quanto previsto nell’ordinamento sportivo, il quale ha sempre inteso l’illecito sportivo come alterazione di una gara dal punto di vista del suo risultato o del suo svolgimento, sanzionandolo disciplinarmente in modo assai rigoroso (art. 6 comma 1 cod. Giust. Sportiva in rel. all’art. 6 par. 5 stesso codice), l’ordinamento statale, in parte in omaggio al principio dell’autonomia dell’ordinamento sportivo, in parte anche per una sorta di sottovalutazione del problema dal punto di vista delle sue conseguenze in ambiti diversi da quelli strettamente sportivi, per un lungo periodo si è sostanzialmente disinteressato di legiferare in materia.
    2. Ciò aveva creato seri problemi interpretativi ed applicativi onde poter inquadrare eventuali condotte ingannevoli in schemi legali propri del diritto penale: ed infatti, prima dell’emanazione della legge n° 401/1989, l’unica norma che, in qualche modo, si prestava ad essere utilizzata era sembrata quella sulla truffa (art. 640 cod. pen.).
    3. Ma evidenti erano le difficoltà applicative in riferimento a tale specifica figura di reato, occorrendo la sussistenza di una serie di elementi costitutivi tipici della condotta penale quali: a) gli artifizi o raggiri posti in essere dagli atleti; b) l’induzione in errore; c) il danno patrimoniale conseguente al risultato artefatto; d) il nesso di causalità tra la condotta del singolo atleta – soprattutto per tutte quelle ipotesi in cui si trattava di discipline praticate da squadre di atleti e non da singoli – ed il risultato complessivo della competizione.
    4. Da qui le giustificate perplessità sia in dottrina che in giurisprudenza in merito alla applicabilità dell’art. 640 del codice di rito alle condotte tipiche della frode sportiva (vds. sul punto Trib. Roma 22.12.1980 in Giur. di merito, 1983, II, pag. 460, in cui è stata sottolineata la contrarietà all’inquadramento della condotta di illecito sportivo inteso quale comportamento corruttivo fraudolento nello schema legale della truffa).
    5. Pur non di meno, al termine di un percorso tortuoso e travagliato, sollecitato sia da iniziative similari in ambito comunitario ed europeo (per effetto di una diffusa consapevolezza di un fenomeno sempre più ingravescente) sia da avvenimenti interni clamorosi verificatisi a

distanza di pochi anni l’uno dall’altro (scandali calcistici del 1980 e del 1986 che avevano visto protagonisti molti giocatori e dirigenti di squadre calcistiche di rango militanti nei massimi campionati professionistici calcare le aule – ed in qualche caso anche gli istituti penitenziari – con la duplice imputazione di truffa in ambito penale e di illecito sportivo in ambito sportivo), il nostro legislatore si è deciso ad emanare la legge 401/89 che, all’art. 1, comma 1°, delinea la nuova fattispecie di frode in competizione sportiva.

    1. Richiamato il testo nella sua formulazione originaria (testo rimasto invariato, a dispetto delle difficoltà interpretative che hanno nel tempo caratterizzato la norma suddetta, anche se va segnalato il recente mutamento dell’assetto sanzionatorio con la previsione della pena da due a sei anni di reclusione e da € 1.000,00 ad € 4.000,00 di multa, aumentabili della metà nelle ipotesi contemplate dal comma 3° dello stesso art. 1, per effetto di quanto previsto dall’art. 1 della L. 119/2014), evidenti appaiono le finalità della norma che, oltre a riqualificare l’intero settore delle scommesse e dei giuochi autorizzati, mirava (e mira) a prevenire il fenomeno delle scommesse clandestine ed a tutelare la correttezza delle competizioni sportive anche nell’interesse della collettività.
    2. Due, come già accennato, sono le condotte tipiche delineate dalla norma: una di tipo specifico rappresentata dall’offerta (o promessa) di denaro o altra utilità o vantaggio; l’altra, più generica, costituita dal compimento di altri atti fraudolenti, cioè la frode generica.
    3. Quanto all’elemento psicologico del reato, l’indicazione di una finalità specifica ”fine di raggiungere un risultato diverso da quello conseguente al corretto e leale svolgimento della competizione” presente in entrambe le condotte vietate, consente di affermare la necessità del dolo specifico.
    4. Con riferimento al soggetto attivo del reato, premesso che si tratta di una disposizione a più fattispecie, l’espressione usata “chiunque” lascia intendere quale fosse (e sia) l’intento del legislatore: quello di attrarre nell’orbita penale condotte poste in essere non solo dallo sportivo in quanto tale, ma da qualsiasi soggetto anche estraneo al mondo sportivo. Non sono tuttavia mancate interpretazioni differenti, anche in considerazione del fatto che il compimento di “altri atti fraudolenti” come indicato nella seconda parte dell’art. 1 può considerarsi una sorta di formula di chiusura di tipo integrativo ed omnicomprensivo adoperata dal legislatore per punire una serie di fattispecie concrete non comprese nella prima parte della norma che si riferisce alla dazione (o promessa) illecita (in quanto volta al raggiungimento di uno scopo non consentito dall’ordinamento) di denaro o altre utilità o vantaggi.
    5. In realtà l’interpretazione cd. “riduttiva” non ha ragion d’essere in quanto la promessa od offerta di utilità o denaro o altri vantaggi è una delle condotte possibili, specificata dalla norma, rispetto ad una condotta omnicomprensiva che considera sia la prima che le altre (ipotetiche e non descritte) come atti fraudolenti. Ciò consente di affermare che qualsiasi soggetto, e dunque anche il non sportivo, possa essere considerato soggetto attivo

del reato. D’altra parte una interpretazione riduttiva avrebbe fatto correre il serio rischio di una pericolosissima area di impunità che certamente non rientrava nelle intenzioni del legislatore preoccupato, in quel momento, di combattere il fenomeno della c.d. “corruzione sportiva” e della liceità e lealtà delle competizioni agonistiche.

    1. La fattispecie incriminatrice che assume maggiore rilievo (anche in relazione al presente processo) per le questioni interpretative che ne sono derivate, è quella contemplata dalla seconda parte del primo comma dell’art. 1, che prevede, come detto, la frode generica in competizioni sportive. Tale condotta, infatti, per la genericità che la caratterizza, è apparsa suscettibile di applicazione anche a condotte eterogenee diverse dalla semplice offerta o promessa di denaro che – secondo l’espressione usata – riecheggia il reato di corruzione.
    2. Il delitto previsto dalla prima parte del comma 1 dell’art. 1 appare strutturato sulla falsariga del delitto di istigazione alla corruzione previsto dall’art. 322 c.p. che si consuma non appena la condotta descritta dalla norma venga posta in essere, cioè nel momento in cui la promessa o l’offerta vengano formulate. In particolare per il reato di cui all’art. 1 comma 1° prima parte della L. 401/89 non assume alcun rilievo, ai fini della individuazione del momento consumativo l’accettazione della promessa o offerta da parte del destinatario, in quanto quest’ultima, a differenza di quanto previsto per le fattispecie di corruzione, non modifica il titolo del reato, ma costituisce a sua volta un’autonoma condotta criminosa: e non è un caso che nell’ordinamento sportivo di settore in vigore all’epoca dei fatti (art. 6 codice di giustizia sportiva F.I.G.C.) il comma 1, modellato sulla falsariga della seconda parte della norma penale in commento (compimento di “altri atti fraudolenti volti al medesimo scopo”), sanziona il compimento, con qualsiasi mezzo, di atti diretti ad alterare lo svolgimento o il risultato di una gara, equiparando sotto l’aspetto sanzionatorio, l’illecito consumato a quello tentato.
    3. Per completezza può solo osservarsi che la corrispondente figura dell’illecito sportivo in ambito disciplinare è circoscritta alla sola sfera soggettiva nella misura in cui viene accordata rilevanza giuridica soltanto alla proiezione soggettiva dell’atto finalizzato ad incidere sul risultato della gara, mentre non assumono alcun rilievo gli elementi della idoneità ed univocità degli atti, propri dell’art. 56 cod. pen.
  1. Ritornando all’analisi della norma penale, l’equiparazione in ambito sportivo del tentativo al reato consumato deriva proprio dall’accostamento di tale fattispecie alla categoria dei delitti cd. “di attentato”, ben nota alla dottrina e giurisprudenza penalistica che, di norma, non prevede l’ipotesi del tentativo come condotta punibile in via autonoma: la soglia della punibilità viene, così, anticipata al compimento di un’attività finalizzata ad alterare lo svolgimento della competizione.
    1. Con specifico riguardo alla fattispecie delittuosa delineata dall’art. 1 della L. 401/89 la giurisprudenza di questa Corte ha, in effetti, ribadito – confermando la pronuncia del giudice di merito – la ricomprensione della frode sportiva nella categoria dei delitti di attentato a

consumazione anticipata ovvero di pura condotta, in cui il bene tutelato è costituito dalla lealtà e dalla correttezza nello svolgimento delle competizioni agonistiche (vds. il richiamo alla relazione parlamentare al d.d.l. n. 1888 presentato il 14.11.1987, poi sfociato nella legge n. 401/89).

    1. La fattispecie criminosa, pertanto, si considera integrata nel momento in cui si verifica la promessa o offerta di un vantaggio indebito, ovvero la commissione di ogni altra condotta fraudolenta: il che ha indotto la giurisprudenza di questa Corte Suprema a qualificare la fattispecie de qua come reato di pericolo per il quale non è ipotizzabile la fase del tentativo, essendo anticipata la soglia di punibilità al mero compimento di un’attività finalizzata ad alterare lo svolgimento della competizione.
    2. Da qui l’irrilevanza dell’accertamento del momento in cui le parti, nell’incrociarsi di offerta e accettazione, anche della sola promessa (condotta alternativamente prevista dalla L.

n. 401 del 1989, art. 1, comma 2) abbiano raggiunto l’accordo fraudolento così come non assume alcuna incidenza il momento della dazione del danaro o altra utilità…” (vds. sul punto Sez. 3^, 12562/10 cit.).

    1. Tuttavia l’orientamento della giurisprudenza di legittimità in tema di delitti di attentato si è nel tempo indirizzato verso un temperamento nel senso di tenere conto, quanto meno, della idoneità della condotta, ritenendo quindi insufficiente il semplice aspetto soggettivo.
    2. Ricordato che il delitto di attentato viene solitamente qualificato sotto il nome di delitto a consumazione anticipata, va detto che secondo l’interpretazione prevalente, tale fattispecie si considera perfetta già in presenza del fatto diretto a realizzare l’obbiettivo preso di mira, senza che ne sia necessario l’effettivo conseguimento (vds. Sez. 5^ 12.10.1993 n. 11290, Andolina ed altri, Rv. 194462)
    3. Uno dei punti critici sui quali si è da sempre appuntata con rinnovato interesse l’attenzione degli interpreti riguarda proprio il tema della punibilità anticipata che ingloba gli atti preparatori, solitamente non passibili di sanzione se inseriti nell’ambito del tentativo come disciplinato dall’art. 56 cod. pen. L’illiberalità di tale costruzione ha indotto ad una rivisitazione della categoria del delitto di attentato nel senso di esigere ai fini della punibilità il requisito non scritto della idoneità.
    4. Può oggi dirsi prevalente l’orientamento (dottrinale e giurisprudenziale) che tende ad interpretare anche in chiave oggettiva le varie fattispecie di attentato, con la conseguenza che la tradizionale impostazione collegata alla prevalenza della sfera soggettiva deve oggi essere rivista alla luce delle nuove tendenze giurisprudenziali.
    5. Concludendo – con riguardo al delitto di attentato – l’individuazione del contenuto dell’espressione “fatto diretto a” va riferita anche alla condotta materiale e non soltanto all’atteggiamento psicologico dell’autore del reato (per una esegesi approfondita dei rapporti

tra delitto di attentato e tentativo v, da ultimo Sez. 6^ 15.5.2014 n. 28009, Alberto e altri, Rv. 260077 in cui si affronta specificamente il tema della indispensabilità, anche nel reato di attentato, dei requisiti dell’idoneità ed univocità degli atti, in ossequio al generale principio di offensività, e comunque quale condizione necessaria per la tassatività delle fattispecie; v. anche Sez. 1^ 10.5.1993 n. 11344, Agramati ed altri, Rv. 195756).

  1. Ritornando al tema centrale che interessa il presente processo, nell’analisi del delitto di frode sportiva considerato nella sua accezione generica di cui alla seconda parte del comma

1 dell’art. 1 l. 401/1989, sul piano oggettivo acquista rilevanza il “fatto fraudolento idoneo diretto a”, ferma restando però la variegabilità delle condotte finalizzate all’alterazione della gara.

    1. Occorre tuttavia intendersi sul significato di “atto fraudolento” che, in linea generale, coincide con una qualsivoglia condotta diretta ad alterare il contesto del gioco che si manifesta, necessariamente, prima della gara per influire in qualche modo su di essa. E’ fraudolento l’atto quando tenda a influire sui meccanismi stessi attraverso i quali la gara si organizza e si disciplina, attentando a essa con l’inserimento di fattori che, anche solo potenzialmente, possono incidere sul suo risultato.
    2. Ciò significa ampiezza di comportamenti nel senso che, ad esempio, può rientrare in tale accezione l’intesa tra il presidente di una società militante in un determinato campionato ed il designatore arbitrale per la formazione delle cd. “griglie” degli arbitri destinati a dirigere le singole partite; ed ancora, l’atto attraverso il quale un presidente esprima al designatore le proprie preferenze in modo da inserire nelle cd. “terne” un arbitro piuttosto che un altro. Così come va qualificato fraudolento l’avvicinamento del presidente di una società all’arbitro designato per la partita alla quale prenda parte la squadra “segnalata” ed, ancora, il contatto riservato tra il presidente di una società e i designatori arbitrali e gli arbitri su temi riguardanti lo svolgimento del campionato e il suo andamento, o sui suggerimenti per favorire l’una o l’altra squadra in competizione. La variegabilità delle condotte permette di qualificare, come del resto ha fatto la Corte di Appello, la figura delittuosa in esame come fattispecie penalmente rilevante a forma libera.
    3. Sebbene con riferimento al delitto di attentato la tendenza giurisprudenziale sembra orientata a richiedere l’idoneità causale e l’univocità degli atti (pur non potendosi profilare il tentativo) in vista del raggiungimento del risultato perseguito, nel caso del reato di frode in competizione sportiva tale equazione non è sempre indispensabile (e la dimostrazione più palese la fornisce, ancora una volta, il codice di giustizia sportiva che equipara sul piano punitivo il tentativo all’illecito consumato), nel senso che non è richiesto che l’azione fraudolenta posta in essere debba essere necessariamente posta in correlazione con la lesione del bene giuridico protetto della lealtà sportiva.
    4. E’ indubbio che un’eventuale intesa tra il presidente e/o il dirigente sportivo di una

determinata società con i designatori arbitrali per la composizione delle griglie debba essere considerata una anomalia nel sistema non soltanto – come riduttivamente pretenderebbero le difese del ricorrente – sotto il profilo etico o deontologico, ma anche sotto un aspetto valutabile in sede penale (per quello che si dirà a breve); così come è fuor di dubbio che ad essere coinvolti in questo scorretto procedimento di designazione siano in pari misura il dirigente della società ed il designatore arbitrale, oltretutto istituzionalmente deputato ad assicurare la massima trasparenza alle operazioni di designazione degli arbitri sin dal momento iniziale della complessa procedura. Ciò che rileva è, dunque, la violazione della regola realizzata attraverso l’intromissione di soggetti non legittimati nella formazione di una fase organizzativa dell’incontro sportivo, in cui la scelta dell’arbitro passa attraverso una serie di attività che ne debbono assicurare in termini assoluti l’imparzialità e l’impossibilità d’interferenze esterne interessate.

    1. Ritornando alla valutazione in ambito penale dei segmenti in cui si articola il meccanismo della designazione, se può convenirsi sul fatto che esse non necessariamente siano idonee, se autonomamente considerate, ad influire sul leale svolgimento della gara, si tratta tuttavia di attività potenzialmente prodromiche al conseguimento di tale obbiettivo che si innestano una vera e propria sequenza obbligata di natura complessa che ingloba altri atti conseguenziali. La formazione delle griglie, dunque, costituisce il punto di partenza dal quale trarre spunto per procedere ai sorteggi: ed anche ove questi non risultassero alterati (ma sul punto la sentenza impugnata ha evidenziato una incertezza probatoria e non la sua inesistenza assoluta), è innegabile che la formazione delle griglie risulta (e la sentenza ha dato diffusa prova di ciò) è, quanto meno, funzionale ad agevolare le possibilità di nomina di una arbitro amico.
    2. Per comprendere se l’intesa che, al riguardo, venga a formarsi tra l’estraneo (ancorchè tesserato) e il soggetto legittimato alla formazione delle griglie arbitrali possa ritenersi fraudolenta, occorre verificare se essa si formi solo per un comune, condiviso e lecito obbiettivo di tutelare, seppure con modalità scorrette, l’oggettività del risultato sportivo, evitando. per esempio, che una non adeguata ponderazione selettiva possa portare alla nomina di arbitri non all’altezza dei compiti; ovvero se si tratti di operazioni volte a perseguire finalità opposte (stavolta illecite), nel qual caso la formazione delle griglie diventa un tassello di una più ampia condotta fraudolenta.
    3. Da qui la necessità, avvertita dalla Corte territoriale, di considerare in via unitaria una serie di atti diversi non corretti (anzitutto, la formazione delle griglie) che consente in definitiva l’individuazione di una complessiva attività fraudolenta diretta a incidere sul risultato sportivo.
    4. In tale prospettiva l’idoneità causale degli atti compiuti al conseguimento dell’obiettivo delittuoso deve necessariamente apprezzarsi con valutazione ex ante in rapporto alle circostanze di fatto e alle modalità della condotta, non rilevando la distinzione tra atti

preparatori e atti esecutivi, gli uni e gli altri dovendo entrare nell’ambito di tale operazione valutativa.

    1. La sommatoria di elementi diversi, che, autonomamente considerati, sarebbero indici talvolta di violazione delle regole e, talaltra, di intese fraudolente, assurge così a fattore dimostrativo di un articolato comportamento fraudolento idoneo a mettere in pericolo il bene giuridico della lealtà e dalla correttezza nello svolgimento delle competizioni agonistiche.
    2. Orbene, la sentenza impugnata, nel lodevole e comprensibile sforzo di interpretare unitariamente le varie condotte dei singoli protagonisti della vicenda processuale in esame, ha analizzato con particolare cura il fenomeno, traendo spunto da condotte concrete che hanno fornito una palese dimostrazione sia degli incontri tra soggetti di estrazione eterogenea (dirigenti della società e dirigenti arbitrali), sia soprattutto, delle finalità di tali incontri.
  1. Non appare, dunque, condivisibile la tesi dei ricorrenti secondo la quale la formazione della griglie in sé non costituisce prova dell’illecita combìne in ambito penale rappresentando, al più, un segmento dell’azione sfornito della idoneità al perseguimento di uno scopo illecito (l’alterazione della gara) ed anzi, smentito dalla piena regolarità dell’operazione dei sorteggi (rientrante in una fase successiva alla formazione delle griglie) ed ancor più dalla condotta regolare dei singoli arbitri incaricati di dirigere le varie gare, comprovata dalla loro assoluzione per i delitti-scopo.
    1. Così come non può condividersi la tesi della insussistenza della fattispecie associativa per asserita assenza (in senso giuridico) del reato-scopo, in relazione al fatto che la formazione delle griglie sarebbe in sé operazione neutra priva di significato penale anche là dove fosse risultata scorretta: l’accostamento del reato di frode sportiva alla figura del delitto di attentato, se da un lato esclude, per le ragioni dianzi enunciate, la possibilità del tentativo (pur con le debite precisazioni prima accennate), dall’altro lato implica una valutazione penale di tale condotta in quanto innestantesi in quel complesso meccanismo di designazione arbitrale che conferisce piena autonomia a tale condotta ove effettuata in termini fraudolenti ed irregolari.
    2. Né il concetto di atto fraudolento deve per forza di cose evocare comportamenti ingannevoli o caratterizzati da artifici o raggiri, in quanto l’espressione “atti fraudolenti” intende riferirsi a condotte al di fuori della regolarità e lealtà (principi che la norma penale speciale intende porre al centro della tutela) e, in quanto tali, pienamente idonee a turbare – proprio perché non previste dal sistema – la regolarità della competizione sportiva improntata a principi di lealtà meritevoli di una tutela generalizzata nei confronti di tutti i consociati e non soltanto degli appartenenti alla comunità sportiva.
    3. Così enunciati gli aspetti generali della norma di riferimento, osserva il Collegio che le censure sollevate in relazione alla qualificazione giuridica della figura delittuosa della frode sportiva non appaiono fondate, ancorchè non può parlarsi di manifesta infondatezza ove si tenga conto anche di alcuni profili diversi rispetto a quelli affrontati nel giudizio di appello con

approfondimento particolare di argomenti indubbiamente complessi.

    1. In particolare, è da escludere la asserita irrilevanza del comportamento concretizzatosi nella formazione delle griglie arbitrali perché non compresa nella fattispecie astratta come delineata nell’art. 1 della L. 401/89; così come è da escludere la genericità del capo di imputazione relativo, essendo sufficiente la descrizione della condotta nei termini enunciati nel relativo capo di imputazione.
  1. Così esposte le principali questioni di carattere comune alla posizione di alcuni dei ricorrenti, vanno adesso affrontate altre questioni di minore rilievo ma pur sempre da esaminare in via preliminare prospettate dalle difese di alcuni imputati
    1. Al riguardo, le difese dei ricorrenti MOGGI e BERTINI hanno lamentato la nullità del decreto che dispone il giudizio in quanto nella parte dispositiva non figurava il nome del ricorrente a fronte di un’epigrafe contenente nominativi di diversi imputati non tutti rinviati a giudizio; nel richiamare le corrette osservazioni della Corte territoriale non mancando di rilevare che non risulta prodotto alcun atto attestante una concreta violazione del diritto di difesa, si osserva ulteriormente dalla lettura del decreto ex art. 429 cod. proc. pen. da effettuare nella sua integralità si poteva senza alcuno equivoco trarre il convincimento che l’imputato era tra i suoi destinatari e non tra i soggetti prosciolti per i quali si era deciso separatamente.
  2. Altro profilo di nullità prospettato dalle difese dei predetti ricorrenti afferisce alla asserita indeterminatezza del decreto ex art. 429 cod. proc. pen. per la genericità dei capi d’imputazione riguardanti i singoli delitti di frode sportiva in quanto non risulterebbero indicati gli atti fraudolenti necessari per la integrazione delle singole fattispecie. Anche tale censura non è fondata in quanto nelle diverse imputazioni di frode sportiva viene individuato di volta in volta lo specifico comportamento contestato agli imputati di riferimento, vale adire ossia l’influenza, sia pure potenziale (nei termini che sono stati specificati a proposito della descrizione della fattispecie astratta del delitto di frode sportiva) sul risultato degli incontri di calcio di volta in volta indicati attraverso la scelta di arbitri volta al fine di favorire le squadre ritenute meritevoli di protezione.

LE SINGOLE POSIZIONI

E1) BERTINI Paolo

  1. Detto ricorrente, che ha espressamente rinunciato alla prescrizione, deduce cinque articolati motivi. Con il primo lamenta – sotto un primo profilo – carenza assoluta di motivazione nella parte della sentenza in cui viene omessa qualsiasi considerazione in merito

alle preliminare eccezione (tempestivamente dedotta nel giudizio di primo grado, disattesa dal Tribunale e reiterata con l’atto di appello) sollevata in ordine alla nullità del decreto ex art. 429 cod. proc. pen. ed atti di seguito per la mancata indicazione delle generalità dell’imputato in spregio all’art. 429 comma 2 cod. proc. pen. in relazione al comma 1 lett. a) e, in ogni caso, inosservanza della legge processuale penale per erronea applicazione degli artt. 125 comma 3, 178, 181 comma 3, 185 comma 1, 429 comma 2 in rel. al comma 1 del codice processuale. Sotto un secondo profilo, analogo, per struttura al precedente, il ricorrente si duole della mancata motivazione da parte della Corte territoriale in ordine alle censure (già sollevate tempestivamente nel corso del giudizio di primo grado, disattese dal Tribunale e riproposte con l’atto di appello) riguardanti l’asserita indeterminatezza e/o genericità del capo di imputazione sub M) ed in ogni caso la inosservanza dell’art. 429 comma 1 lett. c); sotto un terzo e più articolato aspetto, la difesa lamenta analogo vizio motivazionale con riferimento alla mancata esclusione della F.I.G.C. quale parte civile invocata in relazione al difetto di giurisdizione (per violazione della clausola compromissoria di cui all’art. 4 della L. 91/81 come recepita dal codice di giustizia della F.I.G.C. all’epoca vigente) e alla carenza di legittimazione attiva in relazione all’intervenuto giudizio disciplinare definito con sentenza di proscioglimento sui medesimi fatti oggetto di azione disciplinare promossa dall’Organo requirente della F.I.G.C.

    1. Per ciò che attiene alle eccezioni preliminari contenute nel primo motivo, nel ribadire la loro infondatezza, si fa richiamo a quanto dianzi osservato dal Collegio sul punto specifico, nono mancando di sottolineare che trattasi di censure sostanzialmente ripropositive di quelle già sollevate con l’atto di appello ed esaminate congruamente dalla Corte territoriale.
    2. Proseguendo nell’esame del primo motivo che il Collegio ritiene di effettuare trattandosi di una questione preliminare attinente ai rapporti tra la giustizia disciplinare sportiva e quella ordinaria e al difetto di legittimazione attiva della F.I.G.C. a costituirsi parte civile, si osserva quanto segue.
    3. Il difetto di giurisdizione viene prospettato in riferimento alla violazione di clausola compromissoria di cui al III comma dell’art. 30 Statuto FIGC, mentre il difetto di legittimazione ad agire della FIGC viene prospettato in relazione alla circostanza che in sede disciplinare che l’odierno ricorrente è stato prosciolto dal medesimo addebito contestatogli in sede penale.
    4. La Corte territoriale, chiamata a pronunciarsi su tali punti, ha ribadito l’autonomia dei rapporti tra la giustizia cd. “sportiva” e quella statuale precisando anche che è quest’ultima a prevalere sulla prima potendo sindacare attraverso i propri organi giurisdizionali, l’operato del giudice sportivo primo. Quanto all’aspetto concernente la clausola compromissoria o “ vincolo di giustizia”, la Corte territoriale ha sottolineato che si tratta di una regola propria dell’ordinamento sportivo di settore in forza della quale al singolo tesserato è di norma preclusa (pena l’assoggettabilità a sanzione disciplinare) la facoltà di adire gli organi di giustizia ordinaria per tutelare interessi derivanti dalla attività sportiva svolta, anche se a seguito della legge n. 280 del 2003, è stata riservata autonomia all’ordinamento sportivo ma

con il limite che le questioni da trattare non abbiano una particolare rilevanza “esterna” e non travalichino i limiti delle lesioni di posizioni giuridiche soggettive ovvero di diritti soggettivi e di interessi legittimi.

    1. Ma laddove si controverta in materia di sanzioni disciplinari propriamente dette non si ravvisa alcuna situazione di pregiudizialità o preclusione può esserci fra le decisioni assunte in sede sportiva e quelle conseguenti ad una azione penale esercitata nell’ambito di un procedimento giurisdizionale.
  1. La soluzione data dalla Corte territoriale che questo Collegio condivide merita comunque un ulteriore approfondimento.
    1. Delineati nei termini che precedono i rapporti tra giustizia ordinaria e giustizia sportiva con prevalenza della prima sulla seconda (tranne che per le cd. decisioni tecniche e per quelle disciplinari propriamente dette, di competenza esclusiva della giurisdizione sportiva) va ricordata quanto al problema della “clausola compromissoria”, la disposizione di cui al comma 3 dell’art. 30 dello Statuto FIGC, in base alla quale i fatti di rilievo disciplinare sono devoluti alla cognizione degli organi di giustizia sportiva: il che comporta l’obbligo, per i soggetto tesserato di adire il competente organo della giurisdizione sportiva prima di adire l’autorità giudiziaria.
    2. La decisione della Corte territoriale è in linea con il principio affermato da questa Corte Suprema secondo il quale “La previsione di cui all’art. 2 della L. n. 280 del 2003 (disposizioni urgenti in materia di giustizia sportiva) – per la quale fatti di rilievo disciplinare sono devoluti, per disposizione statutaria, alla cognizione degli organi di giustizia sportiva – comporta l’obbligo per i tesserati di adire il competente organo della giurisdizione sportiva prima di adire l’autorità giudiziaria ed ha carattere tassativo di guisa che l’eventuale trasgressione integra fatto rilevante sul piano disciplinare, specificamente sanzionato. Tuttavia, tale preclusione – che trova la sua “ratio” giustificativa nel carattere sostanzialmente privato dell’ordinamento sportivo e nel regime di autonomia negoziale che l’informa, sub specie della libera accettazione manifestata dagli aderenti al momento del tesseramento – attiene all’ambito interno di detto sistema e, pertanto, non può comportare alcun impedimento all’accertamento di fatti penalmente rilevanti che si verifichino nello svolgimento di eventi sportivi o nella dinamica dei rapporti tra tesserati ed istituzione sportiva o, comunque, di situazioni maturate in seno al relativo ordinamento” (Sez. 5^ 11.3.2011 n. 21301, Marzio, Rv. 250184).
    3. Quanto poi al dedotto difetto di legittimazione attiva della F.I.G.C. a costituirsi parte civile in relazione all’intervenuto proscioglimento in sede disciplinare per gli stessi fatti – a parte il rilievo che nell’ambito del procedimento disciplinare a suo carico, al BERTINI erano state addebitate specifiche ipotesi di illecito sportivo ma non l’appartenenza ad una associazione finalizzata al compimento di illeciti sportivi (tipologia di illecito disciplinare

introdotta nell’art.9 del Nuovo Codice di giustizia sportiva entrato in vigore l’1 luglio 2007, sull’eco dei fatti oggetto del presente procedimento penale) – non si ravvisa il dedotto difetto di legittimazione attiva della F.I.G.C. in relazione alla diversità degli strumenti di accertamento dei fatti compiuti in sede disciplinare sportiva rispetto a quelli commessi in sede penale.

    1. Richiamato il rapporto di autonomia tra i due ordinamenti e la preminenza dell’ordinamento statuale, il dato che rileva è l’accertamento di un reato dal quale possa derivare un qualche pregiudizio al diritto soggettivo perseguito dall’ente fonte di possibili risarcimenti di danni non solo patrimoniali, ma non patrimoniali come avviene nell’ipotesi in cui ad essere leso è l’interesse perseguito da un’associazione in riferimento ad una situazione storicamente circostanziata, assunto nello statuto a ragione stessa della propria esistenza e azione, con la conseguenza che ogni attentato a tale interesse si configura come lesione della personalità o identità del sodalizio (v. Sez. 3, n. 3.10.2007 n. 38290 P.C.. in proc. c. Abdoulaye, Rv. 238103; nello stesso senso S.U. 24.4.2014 N. 38343, P.G..; R.C., Espenhahn e altri, Rv. 261110 in cui è stata riconosciuta la legittimazione a costituirsi parte civile all’associazione “Medicina Democratica – Movimento per la salute – ONLUS avente istituzionalmente la finalità di tutelare la salute dei lavoratori all’interno dell’ambiente di lavoro; Sez. 6^ 16.2.1990 n. 13314, Santacaterina Rv. 185500).
    2. Premesso che la F.I.G.C. statutariamente persegue lo scopo di garantire la corretta partecipazione di tutti gli appartenenti al mondo sportivo formante il proprio bacino di interesse al compimento dell’attività sportiva, la Corte aveva il compito di verificare se la condotta dell’imputato si fosse tradotta nella lesione diretta ed immediata dei fini perseguiti istituzionalmente dalla FIGC: non entra quindi in gioco il profilo della legittimazione della

F.I.G.C. a costituirsi parte civile assolutamente fuori discussione (tanto che la sentenza di appello ha confermato le statuizioni risarcitorie in favore della Federazione individuandola come soggetto portatore di interessi civili tutelabili in sede penale v. postea) quanto la sussistenza di elementi dimostrativi della responsabilità in ordine agli episodi di frode sportiva contestato.

  1. Detto questo e passando ad esaminare il secondo motivo (afferente, invece, al merito delle imputazioni che, per il BERTINI riguardano il delitto associativo sub A) e il delitto di frode sportiva di cui al capo M), il ricorso, in punto di errata conferma del giudizio di responsabilità, è fondato.
    1. L’aspetto principale trattato nel ricorso ed oggetto proprio del secondo motivo riguarda la prova (che si sostiene essere stata travisata dalla Corte distrettuale) del possesso da parte del prevenuto della cd. scheda estera riservata indicata con il finale “……..155”, la quale, secondo quanto affermato dalla Corte di merito era in uso al BERTINI per contatti aventi a oggetto trattative in frode sportiva.
    2. Per meglio valutare la fondatezza del denunciato vizio di travisamento della prova

appare utile riepilogare i passaggi essenziali della motivazione della Corte di Appello in ordine ad entrambi i delitti contestati al BERTINI.

    1. Il punto di partenza, ricavabile, secondo quanto affermato dalla Corte territoriale, è costituito dal certo possesso da parte del BERTINI di una delle cd. “schede svizzere” (possesso o attribuibilità riferiti dal teste DI LARONI della P.G.) nonché dalla certezza dei colloqui intercorsi tra il BERTINI ed il PAPARESTA Gianluca (originario primo destinatario di una delle schede straniere come da egli dichiarato) sulla base dei risultati emersi dall’analisi dei tabulati telefonici: si tratterebbe, secondo le affermazioni della Corte distrettuale, dei contatti intercorsi fra la scheda recante il n. 41764329155 (asseritamente in uso al Bertini) e la scheda recante il

n. 41764329185 (in uso all’ex arbitro PAPARESTA Gianluca, come dallo stesso dichiarato); ma va anche sottolineato che la stessa Corte ha parlato di ricordi estremamente sfumati da parte del PAPARESTA circa rapporti telefonici intercorsi con il BERTINI.

    1. Altro dato rimarcato dalla Corte territoriale, a riprova della certa attribuibilità al BERTINI dalla scheda svizzera è quello desunto dai numerosi contatti (giudicati sospetti dalla Corte anche in relazione alle coincidenze temporali rispetto ad alcune gare del massimo campionato dirette dall’odierno ricorrente) tra il BERTINI, il MOGGI ed il FABIANI.
    2. Ed in ultimo particolare valenza è stata attribuita dal giudice di appello ai contatti tra altro ex arbitro (BALDAS Fabio) e commentatore televisivo nella nota trasmissione “Il Processo del Lunedì” diretto da BISCARDI Aldo) e MOGGI Luciano per edulcorare i giudizi negativi già espressi dalla stampa specializzata sul conto del BERTINI in relazione alla sua direzione di gara.
    3. Va, infine, ricordato che – per espressa affermazione della Corte – non sono risultate conversazioni in chiaro oggetto di intercettazione tra il BERTINI ed altri sodali.
    4. Le motivazioni della Corte, se non fosse per la riferita certa attribuzione della scheda riservata al BERTINI (elemento cardine ritenuto dal giudice di Appello per la conferma della responsabilità per il reato associativo nei riguardi di tutti quei soggetti possessori della scheda), appaiono frutto di supposizioni, tant’è che è la stessa Corte territoriale a concludere sul punto affermando testualmente che “Tutto ciò appare del tutto incomprensibile, alla luce di un prospettato inesistente rapporto di amicizia o quantomeno di approfondita conoscenza fra il Moggi ed il Bertini e può essere letto unicamente quale valido elemento supportante la stretta collaborazione fra i due nell’ambito del sodalizio”.
    5. Le censure sollevate al riguardo dalla difesa del ricorrente fanno leva – come accennato – sul travisamento della prova tanto in relazione al ritenuto possesso della scheda incriminata da parte del Bertini, quanto in riferimento ad un’altra telefonata incomprensibilmente sottovalutata dalla Corte di merito (si tratta della conversazione n. 1446 del 7 marzo 2005 intercorsa tra MOGGI e BISCARDI) dalla quale emergerebbe il contrario dell’assunto accusatorio, ossia un intento di attacco mediatico all’arbitro Bertini piuttosto che

una sua protezione.

    1. Vengono anche segnalate dalla difesa gravi incongruenze in cui la Corte territoriale sarebbe incorsa nel valutare diversamente il quadro indiziario in riferimento a due distinte gare di campionato (Juventus Milano del 18 dicembre 2004 e Atalanta Milan del marzo 2005), che correttamente si risolvono nel denunciato vizio processuale di travisamento della prova.
    2. Gli argomenti svolti in ricorso, che pure individuano una serie di apparenti incongruenze motivazionali (come ad esempio, la diversa valutazione del medesimo quadro indiziario costituito dai contatti tra la scheda con finale “155” e le schede svizzere in uso a MOGGI e FABIANI prima e dopo la partita attenzionata, mentre aveva portato i giudici di merito ad attribuire al BERTINI la responsabilità per i capi A e M, in relazione all’episodio dell’incontro di calcio JUVENTUS-MILAN del 18 dicembre 2004, nessuna attribuzione di responsabilità era stata individuata con riferimento all’incontro di calcio ATALANTA-MILAN disputato nel marzo del 2005), in massima parte dimostrano fatti di travisamento della prova.
    3. A differenza del cd. travisamento del fatto, il cui esame è precluso in sede di legittimità, esulando dai poteri della Suprema Corte quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione anche laddove venga prospettata dal ricorrente una diversa e più adeguata valutazione delle risultanze processuali, il travisamento della prova si verifica quando nella motivazione si introduca un’informazione rilevante che non esiste nel processo ovvero si ometta la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia e dunque rientra a pieno titolo nel sindacato del giudice di legittimità (Cass. Sez. 5^ 39048/07 cit.; Cass. Sez. 3^ 18.6.2009 n. 39729, Belluccia e altri, Rv. 244623).
    4. Alla stregua di tali principi non pare al Collegio che la Corte territoriale abbia fatto buon governo di tali regole interpretative, tenuto conto dell’omessa considerazione della telefonata n. 1446 del 7 marzo 2005 intercorsa tra il MOGGI e il BISCARDI in riferimento all’episodio del dicembre 2004 (partita JUVENTUS-MILAN).
    5. Ma valenza decisiva favorevole al ricorrente assume la questione della verifica circa la plausibile ricostruzione del possesso da parte del ricorrente della scheda con finale “..155”, posto che le dichiarazioni rese dall’ufficiale di PG Di Laroni non appaiono persuasive dal punto di vista logico, profilandosi, invece, come possibili suggestive supposizioni che non resistono alle articolate censure sollevate dalla difesa del ricorrente il quale ha con forza ribadito la propria estraneità alla scheda.
    6. Né appare risolvibile il dilemma sulla base di un possibile annullamento con rinvio in quanto dalle informazioni emergenti dalla sentenza impugnata e dalle prospettazioni delle parti non sussiste un percorso logico diverso da quello censurato suscettibile di portare a un giudizio di condanna, né è ipotizzabile – come correttamente evidenziato dal Procuratore Generale nel corso della requisitoria – che sia rimediabile la mancanza di informazioni decisive in un ipotetico giudizio di rinvio in quanto dal testo della sentenza impugnata non risultano prove

ulteriori potenzialmente recuperabili).

  1. Le considerazioni che precedono valgono anche per il reato fine ascritto al BERTINI e per il quale è stata pronunciata la condanna (la frode sportiva di cui al capo M): si tratta della partita JUVENTUS-MILAN del 18 dicembre 2004 diretta dall’arbitro aretino ed al centro – secondo la prospettazione accusatoria – di quella operazione di maquillage dell’immagine del BERTINI già fatto segno di aspre critiche in ordine alla conduzione di quella gara, per cerare di metterlo in buona luce.
    1. Né sotto il profilo della logicità possono trovare ingresso altri dati evidenziati dalla Corte distrettuale consistenti in conversazioni intercorse tra altri tesserati (si fa cenno alla conversazione tra il dirigente del MILAN, MEANI e tale BABINI del 21 marzo 2005 e ad altra del

20 settembre 2004 che vede protagonista PAIRETTO Pierluigi laddove conferma al proprio interlocutore i nominati degli arbitri indicati per la formazione delle griglie, tra i quali il BERTINI), trattandosi di elementi comunque non ricollegabili funzionalmente ad un qualche ruolo del BERTINI.

    1. Sulla base di tali elementi allora, la sentenza di condanna pronunciata a carico del BERTINI per i due reati sub A) ed M) va annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste, con assorbimento dei residui motivi, ivi compreso quello aggiunto afferente alla violazione dell’art.

6 della CEDU (in relazione alla mancata rinnovazione dell’istruzione probatoria in grado di appello a seguito della reformatio in pejus della precedente pronuncia assolutoria) ed annullamento anche della statuizioni civili.

E2) DATTILO Antonio

  1. Conclusioni analoghe valgono per quanto afferisce alla posizione del ricorrente DATTILO Antonio che, al pari del BERTINI (e del DE SANTIS) ha rinunciato alla prescrizione.
    1. Si è in precedenza accennato alla infondatezza del motivo afferente alla violazione della legge processuale penale in punto di ritenuta competenza territoriale del Tribunale di Napoli, sicchè, al riguardo, non può che farsi integrale richiamo alle argomentazioni di cui sopra.
    2. Anche il secondo motivo (dedotta violazione della regola processuale della corrispondenza tra accusa e sentenza) non è condivisibile.
    3. Secondo la prospettazione difensiva detto vizio sarebbe ravvisabile in relazione al difetto di correlazione tra l’accusa (in cui si contesta la commissione di atti fraudolenti in occasione della gara UDINESE-BRESCIA disputata il 26.9.2004) e la sentenza (che avrebbe omesso di motivare su tale specifica contestazione dedotta nell’atto di appello, limitandosi ad affrontare la dedotta questione processuale solo con riferimento al reato associativo sub A).
    4. Anche in questo caso, premesso che al DATTILO sono stati contestati due distinte fattispecie delittuose (la partecipazione all’associazione criminale di cui al capo A) e la frode sportiva di cui al capo B), appare necessario ripercorrere, sia pure per sintesi, le argomentazioni della Corte territoriale in ordine alla statuizione di responsabilità per il delitto sub A) (dal quale il DATTILO era stato prosciolto in primo grado salvo poi ad essere condannato a seguito dell’appello interposto dal Procuratore della Repubblica) ed alla conferma della colpevolezza per il reato-fine sub B).
    5. Con riferimento alla fattispecie associativa la Corte territoriale ha seguito un ragionamento sostanzialmente analogo a quello fatto per il BERTINI: afferma il giudice distrettuale che l’elemento di indubbia rilevanza è il possesso della scheda straniera, nonché l’analisi dei tabulati telefonici comprovanti numerosi contatti tra il DATTILO ed il MOGGI a ridosso della gara MESSINA-PARMA del 23 gennaio 2005 (gara, però, che non forma oggetto di specifica contestazione come precisato dalla Corte di merito). Ulteriore e più qualificato elemento la Corte lo desume da una telefonata intercorsa tra il MOGGI e GIRAUDO Antonio in data 26 settembre 2004 al termine della gara UDINESE – BRESCIA in cui l’A.D. juventino tesse le lodi dell’esordiente arbitro al direttore generale bianconero, in particolare sottolineando la bravura del direttore di gara nell’avere espulso un giocatore dell’Udinese (JANKULOWSKI) e manifestando il proprio rammarico per la mancanza di coraggio da parte del DATTILO nel non sanzionare altri giocatori della squadra friulana attraverso il metodo delle cd. “ammonizioni pilotate” (vale a dire ammonizioni da comminare a giocatori diffidati che avrebbero di fatto escluso la possibilità per costoro di prendere parte alla gara successiva che vedeva in campo la squadra della JUVENTUS, di fatto indebolendo l’avversaria di turno).
    6. Anche per il DATTILO valgono poi le medesime considerazioni svolte dalla Corte distrettuale in riferimento alla linea “morbida” da seguire nel corso della trasmissione “Il processo del Lunedì” del giornalista Biscardi in modo da far emergere giudizi positivi sul conto del giovane direttore di gara già al centro di critiche formulate in riferimento alla sua conduzione della partita.
    7. Ciò detto, appare di difficile lettura il motivo di ricorso basato su una presunta difformità tra l’accusa e la sentenza: secondo la difesa vi sarebbe un contrasto tra la certezza della prova positiva in ordine all’insussistenza degli atti fraudolenti contestati per il capo B) e la condanna del DATTILO solo per via di un contatto telefonico – ritenuto atto fraudolento nel senso indicato dall’art. 1 comma 1° della L. 401/89 – del tutto presunto tra l’arbitro e MOGGI Luciano avvenuto nei giorni precedenti la partita ma non figurante nel capo di imputazione.
    8. Più che di violazione del principio di correlazione ex art. 521 cod. proc. pen., si tratta di una censura che investe la manifesta illogicità della decisione in punto di responsabilità sia per il reato associativo che per il delitto-scopo.
    9. Manifesta illogicità evincibile da più di un elemento di oggettiva valenza: è

palesemente illogica la ricostruzione operata dalla Corte sulla base degli elementi acquisiti al processo in ordine al possesso della scheda riservata da parte del DATTILO, soprattutto se si pone mente alla data in cui si sostiene da parte dell’accusa che il DATTILO abbia acquisito la scheda (non prima del novembre 2004), del tutto contrastante con la circostanza che già il DATTILO era stato “attenzionato” dai designatori e dai due massimi dirigenti juventini nella operazione di formazione delle griglie in vista della gara UDINESE-BRESCIA (al fine di poter favorire con il ricordato metodo delle ammonizioni pilotate la squadra juventina impegnata il prossimo incontro con l’UDINESE), disputatasi, però, il 26 settembre 2004, vale a dire almeno due mesi prima della data in cui il DATTILO sarebbe entrato in possesso della scheda.

    1. A tale manifesta incongruità logica che emerge ictu oculi dal testo della sentenza impugnata fa da pendant il tema dei commenti, pur essi “pilotati”, in favore del DATTILO onde proteggerlo dall’assalto mediatico della stampa specializzata che ne aveva criticato aspramente l’operato in occasione di quella gara del 26 settembre 2004 e la circostanza, sottolineata dalla difesa, di una lunga sospensione “tecnica” causata proprio dalla sua criticatissima direzione di gara.
    2. Si tratta di elementi che, valutati nel loro insieme, non solo escludono in radice la possibilità di appartenenza del DATTILO all’associazione, ma rendono altrettanto inconfigurabile la conferma della responsabilità del DATTILO anche per quel reato fine.
    3. A tale proposito la Corte territoriale enfatizza, ancora una volta i numerosi contatti telefonici tra il MOGGI ed il DATTILO (si parla di comunicazioni “silenti”) senza tuttavia specificare né dove né quando e le conversazioni intercorse tra il MOGGI ed il GIRAUDO con la coda dei commenti tra lo stupito e l’entusiasta del GIRAUDO in merito al comportamento arbitrale, in totale dissonanza con l’elemento temporale del possesso della scheda riservata avvenuto, a detta della Corte, non prima del mese di novembre 2004. Ne deriva che le argomentazioni della Corte costituiscono il frutto di una serie di supposizioni sulla base di circostanze tra loro completamente scollegate e dunque prive di logica.
    4. Ne consegue la manifesta illogicità per travisamento di una prova ritenuta decisiva, dell’argomento secondo il quale vi sarebbero stati intensi contatti tra il MOGGI e il DATTILO in prossimità della partita in esame.
    5. In tale contesto non possono assumere valore dirimente in favore della tesi colpevolista né la direzione di gara del DATTILO nè i commenti post partita del GIRAUDO (interessato alle sorti della Juventus per la gara successiva con l’Udinese) nè le richieste del MOGGI al giornalista BISCARDI di non infierire sull’arbitraggio nelle polemiche tv.
    6. In aggiunta a tali considerazioni e con esclusivo riferimento al reato associativo per il quale in primo grado il DATTILO era stato assolto, valgono altre considerazioni legate alla modifica peggiorativa in grado di appello della sentenza di proscioglimento.
    7. E’ stato infatti affermato da questa Corte il principio che laddove il giudice di appello riformi la sentenza assolutoria del primo giudice “Il secondo giudice ha l’obbligo di dimostrare specificamente l’insostenibilità sul piano logico e giuridico degli argomenti più rilevanti della sentenza di primo grado, con rigorosa e penetrante analisi critica seguita da completa e convincente motivazione che, sovrapponendosi a tutto campo a quella del primo giudice, dia ragione delle scelte operate e della maggiore considerazione accordata ad elementi di prova diversi o diversamente valutati, trova applicazione anche in caso di radicale rovesciamento di una valutazione essenziale nell’economia della motivazione, in un processo nel quale siano determinanti i contributi dichiarativi di alcuni soggetti chiamanti in reità o in correità, non essendo sufficiente la manifestazione generica di una differente valutazione ed essendo, per contro, necessario il riferimento a dati fattuali che conducano univocamente al convincimento opposto rispetto a quello del giudice la cui decisione non si condivida” (Sez. 5^ 5.5.2008 n. 35762, P.G. in proc. Aleski e altri, Rv. 241169). Principio che è stato riaffermato all’indomani della sentenza EDU Dan c. Moldavia del 5.7.2011, esigendosi non solo la cd. “motivazione rafforzata” in contrapposizione alla sentenza di primo grado, ma persino la necessità di una rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, là dove necessaria (in particolare per le prove dichiarative) (v. Sez. 2^ 10.10.2014 n. 677, Di Vincenzo, Rv. 261556).
    8. Nel caso in esame la Corte di merito, in adesione al gravame del Pubblico Ministero, si è limitata ad una rivisitazione delle prove esaminate dal primo giudice, esprimendo poi un giudizio opposto ma senza alcun particolare approfondimento come pure sarebbe stato indispensabile.
    9. Anche nei confronti di DATTILO, perciò, per le ragioni tecniche sull’esito del giudizio di cassazione già esposte con riferimento all’imputato Bertini, deve pronunciarsi annullamento senza rinvio perché i fatti ascritti nei capi A) e B) non sussistono con assorbimento dei restanti motivi e conseguente annullamento delle relative statuizioni civili.

E3) DE SANTIS Massimo

  1. L’odierno ricorrente (che al pari del BERTINI e del DATTILO) ha rinunciato alla prescrizione nel corso del giudizio di appello, all’esito del giudizio di secondo grado, è stato ritenuto colpevole del delitto associativo sub A) e di due episodi di frode sportiva indicati nei capi G) e A10).
  2. Con riferimento al delitto associativo le linee guida della decisione del giudice di appello sono le seguenti.
    1. La Corte in via preliminare esclude che il DE SANTIS (indicato come arbitro “di prima fascia” per evidenziarne la particolare esperienza e professionalità ed il credito che riscuoteva

presso i vertici arbitrali concretizzato nell’affidamento degli incontri di cartello all’arbitro di Tivoli) avesse un ruolo di vertice nell’organizzazione criminale facente capo al MOGGI, così come esclude la esistenza di una ipotizzata – ma del tutto indimostrata – “combriccola romana” guidata dall’arbitro suddetto, pur riconoscendogli una posizione non secondaria in seno all’organizzazione criminale.

    1. Al centro di tale decisione alcuni dati probatori ritenuti fondamentali e dirimenti come il possesso della scheda riservata (negato dalla difesa, ma a giudizio della Corte di merito risultante da plurimi elementi inconfutabili) e le numerose conversazioni intercettate in cui l’imputato avrebbe – a giudizio della Corte territoriale ammesso di fatto il proprio coinvolgimento nel sodalizio in parola.
    2. Valore centrale è stato conferito al possesso da parte del DE SANTIS della scheda straniera che gli sarebbe stata consegnata dal MOGGI nel corso di una sua “visita” negli spogliatoi al termine della gara PARMA-JUVENTUS e la cui attribuibilità risulta provata, secondo la Corte di Appello, dalla deposizione del teste di P.G. DI LARONI.
    3. Importanza decisiva è stata data dalla Corte territoriale ai numerosi contatti desunti dai tabulati tra il MOGGI ed il DE SANTIS in coincidenza con le partite per le quali questi era stato designato (si fa l’esempio della gara PALERMO-LECCE in cui sono stati monitorati numerosi contatti a strettissimo ridosso della gara e subito dopo, a riprova degli strettissimi rapporti tra la sudditanza e la complicità intercorrenti tra i due personaggi suddetti); ancora alle deposizioni de relato del teste MONTI, poi confermate giudizialmente dal teste FACCHETTI Gianfelice, figlio del defunto Vice Presidente dell’INTER FACCHETTI Giacinto, circa l’esistenza di un cd. “sistema MOGGI” all’interno del mondo del calcio del quale il DE SANTIS costituiva uno dei terminali più fidati ed autorevoli anche per il prestigio goduto all’interno del settore arbitrale.
    4. Così come il Giudice di appello ha riconosciuto importanza decisiva ad alcune telefonate in chiaro tra il designatore BERGAMO e la segretaria dell’AIA, FAZI Maria Grazia (originariamente imputata nel presente processo e successivamente assolta) relativamente alla esistenza di una “combriccola romana” all’interno della quale avrebbe operato proprio il DE SANTIS, e tra il MOGGI ed il giornalista DAMASCELLI, riguardanti il DE SANTIS e la sua “capacità” di attuare i “desiderata” del MOGGI per indebolire attraverso ammonizioni mirate nei confronti di giocatori del BOLOGNA diffidati, i prossimi avversari della JUVENTUS.
    5. Anche alcune conversazioni in chiaro intercorse tra l’arbitro romano ed il collega PALANCA Luca, ovvero tra il DE SANTIS e MARTINO Manfredi o ancora tra il designatore BERGAMO ed il DE SANTIS che si complimenta con il primo per la designazione vengono ritenute dalla CORTE sinonimo della piena consapevolezza da parte del SANTIS del sistema di formazione delle griglie arbitrali.
    6. Persino il censurabile atteggiamento ondivago assunto dal DE SANTIS in relazione

alle visite negli spogliatoi da parte di dirigenti delle società al termine della gara viene giudicato dalla Corte dimostrativo della severità assunta verso alcuni dirigenti (episodio, ricordato dalla Corte di merito, di una visita del Presidente del CAGLIARI, CELLINO al termine della gara con minacce da parte del DE SANTIS di far squalificare il dirigente, come poi si verificava) e dal tono di sussiego ed acquiescenza verso altri (come l’episodio della visita del MOGGI al termine della gara PARMA-JUVENTUS del quale nessuna menzione viene fatta dall’arbitro).

    1. La decisione della Corte, per la logicità che la caratterizza e per l’elevata valenza dimostrativa di alcuni dati-base quali il possesso della scheda riservata e gli indebiti ed anomali contatti diretti, peraltro ripetuti, tra il DE SANTIS ed il MOGGI, sintomatici della appartenenza consapevole del DE SANTIS al sistema MOGGI e del su asservimento a quelle logiche di progressiva attrazione nell’orbita del gruppo di arbitri e dirigenti amici onde assicurare al MOGGI e al DE SANTIS – per quanto può valere in questa sede – vantaggi reciproci (favori per la JUVENTUS per il primo e prospettive sempre più luminose di carriera per il secondo), si sottrae alle denunciate censure di manifesta illogicità e carenza di motivazione.
    2. D’altro lato le doglianze contenute nel primo motivo di ricorso che riguarda appunto la nullità della sentenza per vizio di motivazione e travisamento della prova con riferimento alla partecipazione dell’imputato alla associazione criminosa costituiscono, come già rilevato dalla Corte di Appello in occasione delle esame di analoga doglianza rispetto alla decisione del Tribunale, una sostanziale e sterile riproposizione – ai limiti dell’inammissibilità – di argomenti già adeguatamente valutati dalla Corte di merito. Ciò vale sia con riguardo alla ritenuta adesione all’organizzazione; al contributo causale apportato dal DE SANTIS all’associazione; al ritenuto possesso da parte di costui della scheda estera; alla cd. “protezione mediatica” di cui si è avvalso anche il DE SANTIS in occasione delle più volte ricordate trasmissioni sportive; ai commenti espressi sul conto del DE SANTIS dal Presidente del CAGLIARI CELLINO all’allora Segretario della F.I.G.C. GHIRELLI Francesco circa l’inserimento del SANTIS nell’associazione facente capo al MOGGI.
  1. Il secondo motivo del ricorso, attinente, sotto un primo aspetto, all’inosservanza della legge penale (art. 1 comma 1 della L. 401/89) per l’erronea qualificazione da parte della Corte territoriale del reato di frode sportiva come delitto di attentato con anticipazione della soglia di punibilità e non come reato di pericolo presunto e, sotto un secondo aspetto, al vizio di motivazione in relazione ai due episodi di frode sportiva sub G) e A10) con specifico riguardo alla omessa indicazione degli atti fraudolenti asseritamente posti in essere dal DE SANTIS, idonei ad integrare la fattispecie, è infondato per un duplice ordine di ragioni.
    1. Le diffuse osservazioni svolte dal Collegio in merito alla qualificazione della fattispecie del reato di frode in competizione sportiva esimono dal soffermarsi ulteriormente sullo specifico tema dedotto, dovendosi ancora una volta ribadire la correttezza della decisione della Corte di merito in punto di inquadramento della fattispecie.
    2. Per quanto, invece, riguarda le due specifiche ipotesi delittuose indicate nei capi G) e A10), escluso che possa parlarsi di difetto di motivazione e illogicità manifesta o travisamento della prova, valgano le seguenti ulteriori osservazioni ad integrazione di quanto già condivisibilmente affermato dalla Corte distrettuale.
    3. L’episodio di frode sportiva di cui al capo G) riguarda la gara FIORENTINA-BOLOGNA terminata con il punteggio di 1-0 per la squadra toscana e, più in particolare, la condotta tenuta dall’arbitro DE SANTIS designato per quella gara, costituente inequivoco elemento dimostrativo degli accordi pregressi tra i designatori (nella specie il PAIRETTO) e il MOGGI (Dirigente della JUVENTUS) per inserire nella griglia un arbitro filo-juventino come poi emergerà da altre conversazioni, puntualmente menzionate dalla Corte di Napoli, nel corso delle quali vengono espresse riserve sulla imparzialità del DE SANTIS e sulla sua netta propensione a tutelare gli interessi della JUVENTUS ovvero, con esplicito riferimento alla partita in questione; sul comportamento in danno del BOLOGNA per via delle cd. “ammonizioni” pilotate (l’ex arbitro e commentatore televisivo BALDAS Fabio, parlando con il MOGGI parla del DE SANTIS come l’autore del “delitto perfetto”) in danno di tre giocatori del BOLOGNA già diffidati e dunque messi fuori giuoco con la quarta ammonizione per la gara successiva tra la JUVENTUS ed il BOLOGNA.
    4. L’altro episodio di frode sportiva (capo A10) riguarda l’ultima partita di campionato LECCE-PARMA terminata con il punteggio di 3-3 che la Corte di merito colloca – come prospettato dall’Accusa – nel contesto della complessa operazione di salvataggio della FIROENTINA
    5. L’esito di tale gara, condizionato, secondo il giudizio della Corte distrettuale, dal comportamento ritenuto scorretto del DE SANTIS per via delle numerose ammonizioni ed espulsioni comminate ai giocatori in campo, costringerà il PARMA, in formazione decimata per via di quei provvedimenti disciplinari, a disputare lo spareggio con il BOLOGNA. Lo scopo del salvataggio della FORENTINA viene raggiunto ad avviso dei giudici di appello, grazie alla designazione da parte del BERGAMO, previo inserimento nella griglia, di un arbitro vicino al cd. “gruppo MOGGI” (il DE SANTIS e grazie alla cooperazione fattiva fra il BERGAMO ed il MAZZINI, portavoce delle istanze del MENCUCCI e conseguentemente dei fratelli DELLA VALLE.
    6. In questo senso la Corte ritiene strettamente collegata tale gara a quella indicata nel capo A5) (si tratta della partita CHIEVO – FIORENTINA del 22 maggio 2005 considerata decisiva per le sorti della squadra viola che si aggiudicherà l’incontro con il punteggio di 1-0, salvandosi poi da una probabile retrocessione nella giornata successiva) ed evidenzia una serie di intercettazioni che vedono il MAZZINI direttamente coinvolto in questa complessa e laboriosa operazione di salvataggio: vengono così menzionate alcune significative telefonata come quella del 29.05.2005 in cui il MAZZINI contatta il MENCUCCI magnificando, con l’avallo di quest’ultimo, le buone scelte effettuate (il riferimento è all’arbitro DE SANTIS grazie all’interessamento del BERGAMO; o ancora, quella tra tale NASSI e il MAZZINI, nella quale

questi assentisce alle valutazioni espresse dal suo interlocutore sulla necessità che la FIORENTINA andasse salvata ad ogni costo giungendo a parlare di una “operazione chirurgica perfetta”.

    1. Ed ancora, viene sottolineata altra telefonata intercorsa, sempre il 29 maggio 2005, tra il MAZZINI e l’arbitro DE SANTIS in cui il primo esterna al secondo i suoi complimenti sul modo non solo di arbitrare la partita ma di “pilotarla” (così si è espressa la Corte di merito) finendo con l’assecondare i desiderata della società viola.
    2. In linea generale, poi, osserva il Collegio che gli argomenti addotti a sostegno del secondo motivo non contengono elementi di specificità tali da incrinare la logicità della motivazione resa dalla Corte territoriale: ne costituisce esempio la riproposizione dell’argomento costituito dalla circolare di Lega n. 7 che consentiva all’epoca l’accesso dei dirigenti agli spogliatori dell’arbitro per inferirne il significato neutro della visita del MOGGI negli spogliatoi: ora, a prescindere dalle osservazioni svolte in precedenza circa l’evidente contraddizione tra l’atteggiamento severo assunto verso il Presidente del CAGLIARI e l’atteggiamento sussiegoso – nemmeno riferito ai vertici arbitrali – assunto verso il MOGGI, protagonista di un episodio analogo, è agevole osservare che una tale possibilità poteva rispondere solo a regole di pura cortesia che nulla potevano avere a che fare con colloqui riservati aventi oggetto diverso – tra il dirigente juventino e l’arbitro.
    3. In conclusione il secondo motivo è infondato non ravvisandosi alcuno dei vizi denunciati in riferimento alla motivazione che si presenta esente da censure logiche e incompletezze.
  1. Il terzo motivo, con il quale viene censurata l’ordinanza pronunciata dalla Corte distrettuale il 15 ottobre 2013 con cui è stata negata l’acquisizione agli atti del processo del dispositivo della sentenza emessa in data 16 ottobre 2012 dalla Sezione Giurisdizionale della Corte dei Conti Regione Lazio con la quale il DE SANTIS era stato condannato al risarcimento dei danni morali (da lesione dell’immagine) nei confronti della F.I.G.C. per un ammontare di € 500.000,00 perchè ritenuto dalla Corte di Napoli documento interlocutorio, non ha alcun fondamento, dovendosi condividere la correttezza della decisione della Corte di merito che, a ragione, non poteva attribuire alcuna importanza decisiva a quel documento in quanto si trattava soltanto di un dispositivo senza che potessero comprendersi appieno le ragioni di tale decisione.
    1. Peraltro il rischio paventato dal ricorrente di una duplicazione della statuizione risarcitoria nei confronti della F.I.G.C derivante dal mantenimento delle statuizioni civili da parte della Corte territoriale e dalla contemporanea ed analoga decisione resa dalla Corte dei Conti, non ha ragion d’essere in quanto è onere della F.I.G.C dimostrare dinnanzi al giudice civile il proprio diritto al risarcimento per il danno all’immagine ed eventualmente le differenze rispetto alla identica voce liquidata dalla magistratura contabile.
  2. Infine, il quarto motivo con il quale viene dedotta la nullità della sentenza per inosservanza delle disposizioni processuali penali (artt. 538 e 549 cod. proc. pen.) nella parte in cui la Corte territoriale ha confermato la condanna del DE SANTIS al risarcimento del danno nei confronti della F.I.G.C. avendo ritenuto il danno in re ipsa e non sulla base di prove dimostrative della esistenza di un nesso eziologico tra la condotta del DE SANTIS e il danno asseritamente subito dalla Federazione calcistica è infondato
    1. Si rinvia, in proposito, alle considerazioni che verranno svolte più approfonditamente in altra parte della presente sentenza (a proposito dell’esame delle posizioni dei ricorrenti DELLA VALLE Andrea, DELLA VALLE Diego, MENCUCCI Sandro e del responsabile civile A.C. FIORENTINA s.p.a.) relativamente alla non necessità da parte del soggetto costituito parte civile che assume di avere subito un danno, di fornirne la prova ivi compreso il nesso eziologico rispetto alla condotta dell’agente nella ipotesi – ricorrente nel caso di specie – di una condanna generica al risarcimento del danno la cui prova dovrà essere fornita nella sede propria civile, impregiudicato rimanendo il potere del giudice civile di accertare l’an ed il quantum debeautur e se del caso escludere il diritto al risarcimento in caso di mancata prova di esso secondo le regole proprie del diritto civile (vds. giurisprudenza precedentemente citata).
    2. In conclusione il ricorso del DE SANTIS va rigettato in riferimento a tutti i capi di imputazione contestatigli. Segue la condanna al pagamento delle spese processuali.

E4) FOTI Pasquale

  1. Per quanto riguarda il ricorrente FOTI Pasquale va anzitutto rilevato che l’odierno ricorrente è stato assolto dalla Corte territoriale limitatamente al delitto di frode sportiva di cui al capo L) (reato commesso in concorso con DE SANTIS Massimo, pur egli prosciolto con ampia formula), mentre è stata confermata la sua penale responsabilità per i residui reati sub H) ed

S) con declaratoria di prescrizione in ordine a dette condotte e conferma delle statuizioni civili risarcitorie nei riguardi delle parti civili Ministero dell’Economia e delle Finanze- Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato e del Ministero per le Politiche Giovanili e Sportive e FIGC.

    1. Tanto precisato, in via preliminare è già stata esaminata in altra parte della presente decisione la questione prospettata dalla difesa del ricorrente della violazione della legge processuale penale in punto di ritenuta competenza territoriale del Tribunale di Napoli: si fa dunque richiamo, in parte qua, a quanto già osservato dal Collegio.
    2. Conclusioni identiche vanno indicate con riferimento ad altra questione – pur essa preliminare – relativa alla asserita indebita utilizzazione da parte della Corte di merito delle intercettazioni non autorizzabili in relazione al titolo del reato ed ai limiti di pena, stante la

mancata contestazione del reato associativo: anche in questo caso, infatti, si fa espresso richiamo a quanto osservato dal Collegio nelle pagine precedenti.

  1. Residua l’ultimo motivo concernente l’inosservanza ed erronea applicazione della legge penale (art. 1 della L. 401/89), per avere la Corte distrettuale inquadrato la fattispecie della frode sportiva sotto il paradigma del delitto di attentato con anticipazione della soglia di punibilità a fatti o condotte inidonee, di per sé, a giustificare il tentativo, se correttamente inquadrata la fattispecie nel reato di pericolo concreto.
    1. Nel proprio atto di appello l’odierno ricorrente – sotto l’aspetto della responsabilità – aveva sostenuto la tesi dell’insussistenza del fatto in riferimento alle tre condotte di frode sportiva contestategli ai capi L), H) ed S). Si tratta delle condotte fraudolente inerenti, rispettivamente, alle gare REGGINA-CAGLIARI (capo L); REGGINA-BRESCIA (capo H); e SAMPDORIA-REGGINA (capo S).
    2. La Corte territoriale nel ribadire la responsabilità del FOTI in riferimento alle due gare indicate nei capi H) ed S), ha in particolare evidenziato alcuni elementi di significato inequivoco comprovanti il coinvolgimento del FOTI nella condotta fraudolenta contestatagli. Nel primo caso (gara REGGINA-BRESCIA vinta dalla squadra lombarda con il punteggio di 2-1, la Corte di merito ha fatto richiamo a colloqui intercorsi tra il FOTI e il designatore BERGAMO Paolo alla vigilia della gara nel corso dei quali è il FOTI a richiedere garanzie sulla terna arbitrale già confezionata e il BERGAMO a rassicurarlo che “tutto è a posto”.
    3. In aggiunta a ciò va anche evidenziato che, a prescindere dal risultato sportivo – sfavorevole alla Reggina – il contenuto delle conversazioni intercettate, che peraltro si inseriscono nelle trattative interne alla F.I.G.C. in ordine alle imminenti elezioni e su vicende di acquisto di calciatori in apparente concorrenza con il MOGGI, è stato inserito nel contesto di una turbativa fraudolenta della competizione sportiva.
    4. Nel secondo caso relativo alla gara SAMPDORIA-REGGINA vinta dalla squadra ligure con il punteggio di 3-2 ed affidata all’arbitro DONDARINI (giudicato separatamente e prosciolto dal giudice di merito) la Corte territoriale, ancora una volta, valorizza, del tutto correttamente e congruamente, i reiterati colloqui (ritenuti anomali e sintomatici della reale finalità del contatto) intercorsi sia prima del sorteggio che prima della gara, tra il dirigente della società calabrese e il designatore BERGAMO in cui è proprio il BERGAMO, su sollecitazione del FOTI, a rassicurarlo non solo sull’invio di un assistente di gara fidato (NICCOLAI) ma anche sugli avvertimenti fatti al direttore di gara designato (per il quale il FOTI mostra di nutrire qualche preoccupazione e sul cui conto il BERGAMO si esprime dicendo che “è avvertito”) e addirittura sulla bontà della griglia formata per la domenica successiva. Del tutto correttamente la Corte distrettuale ha escluso che l’espressione “equidistante” adoperata dal BERGAMO potesse assumere un significato favorevole per il FOTI posto che si tratta di un termine che sta ad indicare una forma di apparente neutralità.
    5. Tanto premesso, vanno ribadite le riflessioni generali svolte dal Collegio in riferimento alla natura della frode in competizioni sportive e all’inquadramento della fattispecie nel cd. “delitto di attentato” come correttamente argomentato dalla Corte territoriale.
    6. Di conseguenza il ricorso del FOTI va rigettato con le conseguenziali statuizioni dovendosi peraltro escludere nella specie l’applicabilità dell’art. 129 cod. proc. pen. alla luce delle considerazioni testè svolte

E5) LOTITO CLAUDIO

  1. La posizione dell’odierno ricorrente è, per certi versi, assimilabile a quella del ricorrente FOTI Pasquale, anche se la formulazione dei due capi di imputazione riguardanti il Presidente della SS. LAZIO s.p.a. (si tratta dei capi U e V) è strutturalmente diversa.
    1. Sono però sostanzialmente analoghe le prime due censure di natura processuale formulate in via preliminare.
    2. Si tratta, in particolare, del motivo afferente alla asserita inosservanza della legge processuale penale in punto di ritenuta competenza territoriale del Tribunale di Napoli e del motivo afferente alla indebita utilizzazione da parte della Corte distrettuale delle telefonate riguardanti il LOTITO, non assoggettabili secondo la difesa a captazioni ostandovi il titolo del reato e non essendo il LOTITO imputato del delitto associativo allo stesso mai contestato.
    3. In altra parte della presente sentenza sono stati affrontati funditus i detti profili, sicchè, in questa sede, non può che farsi richiamo in parte qua a quanto già osservato dal Collegio.
  2. Vanno, invece, affrontati gli altri tre motivi di ricorso in ordine ai quali si osserva quanto segue.
    1. Al LOTITO sono state contestate due distinte condotte di frode in competizione sportiva meglio enunciate nei capi U) e V).
    2. Per quanto riguarda il primo episodio, la Corte territoriale ha disatteso la tesi difensiva incentrata sull’insussistenza ed inconfigurabilità del delitto di frode in competizione sportiva stante l’irrilevanza contenutistica delle intercettazioni e soprattutto l’assenza di una seria indagine da parte della Corte distrettuale sugli atti fraudolenti, sul fine illecito perseguito, sull’efficienza dell’atto rispetto al fine e sulla sua adeguatezza ad originare il pericolo vietato. Sempre secondo la difesa, la Corte territoriale ha avallato, ripetendolo l’errore in cui è incorso il Tribunale nell’inosservanza dell’art. 521 cod. proc. pen. in quanto il LOTITO sarebbe stato condannato per fatti in realtà non contestatigli ma la cui illiceità sarebbe emersa nel corso del dibattimento.
    3. A tali censure la Corte territoriale ha dato una risposta adeguata e logicamente sostenibile, senza incorrere né in vizi di travisamento della prova né in manifesta illogicità, muovendo dalla generale considerazione che le condotte poste in essere dall’odierno ricorrente costituissero ex sé atti fraudolenti diretti allo scopo di alterare il risultato della gara.
    4. Ferme restando le osservazioni già svolte in linea generale sul significato da attribuire dal punto di vista penale all’espressione “altri atti fraudolenti volti al medesimo scopo” (alterazione del risultato), si ritiene di dover approfondire alcuni aspetti specifici trattati dalla difesa del LOTITO.
    5. Come premessa fattuale va rilevato che le contestazioni mosse al LOTITO fanno riferimento ad una serie di interferenze volte a condizionare l’esito di due gare del campionato di serie A disputatesi il 20 e 27 febbraio 2005 che vedevano coinvolte la LAZIO contro il CHIEVO VERONA in casa della società veneta (partita terminata con il punteggio di 1-0 per la squadra capitolina) e la LAZIO contro il PARMA (partita terminata con il punteggio di 2-0 per la LAZIO).
    6. Non sembra necessario in questa sede ripercorrere la congerie di telefonate “compromettenti” puntualmente enumerate dalla Corte di Appello in cui emergono, come ricordato dal giudice di merito, prove inequivocabili sia di pressioni esercitate dal LOTITO sul mondo arbitrale in un contesto di lotte intestine per la nomina a Presidente della Federazione Giuoco Calcio tra l’uscente CARRARO Franco e l’aspirante emergente ABETE Giancarlo (la Corte distrettuale, a proposito del LOTITO, ha usato l’espressione “schieratissimo” per sottolineare l’impegno che il LOTITO esercitava per la rielezione del Presidente CARRARO alla guida della

F.I.G.C. per il quadriennio 2005-2008), sia di pressioni esercitate dal coimputato (in uno con il LOTITO) MAZZINI Innocenzo, Vice Presidente in carica della F.I.G.C. e descritto come particolarmente “vicino” agli interessi del LOTITO.

    1. I frequenti, spasmodici, contatti intercorsi tra il LOTITO e il MAZZINI e tra costoro o uno di essi e rappresentanti del mondo arbitrale, mediati persino da personaggi estranei al mondo calcistico che avrebbero poi espresso ai vertici federali i propri rallegramenti per le vittorie della LAZIO, sono stati ritenuti chiaramente indicativi dell’interesse convergente del LOTITO e del MAZZINI verso la salvaguardia degli interessi di classifica della società laziale, peraltro invischiata, per come è dato desumere dal testo della sentenza, nella lotta per non retrocedere in serie B.
    2. Non si rinvengono nelle affermazioni della Corte distrettuale aporie logiche né insufficienze motivazionali, né, soprattutto, travisamenti delle prove, tanto più che la Corte non si è limitata ad indicare le telefonate più significative, ma si è spinta ad indicare alcuni brani delle varie conversazioni estrapolate dalle singole telefonate.
    3. Particolarmente eloquenti alcuni contatti captati tra il MAZZINI ed il LOTITO dei quali la Corte fa ampio cenno correttamente interpretando l’esistenza di manovre pressorie volte a

garantire la posizione della LAZIO: importanza particolare è stata conferita, ad esempio, alla telefonata intercorsa l’8 febbraio 2005 tra il LOTITO ed il MAZZINI in cui il primo chiedeva al secondo informazioni sull’interessamento “a lungo termine” (vale a dire per l’intera parte residua del campionato) per la Lazio nei confronti dei designatori BERGAMO e PAIRETTO, ricevendone ampia assicurazione, come dimostrato da altra telefonata intercorsa il 18 febbraio successivo in cui è proprio il Vice Presidente della F.I.G.C. ad assicurare al LOTITO che la propria “mediazione” era riuscita, così come avevano avuto esiti positivi interventi di persone estranee all’ambiente calcistico quali il Dott. FERRI e l’On. FINI come ricordato dalla Corte territoriale.

    1. In un contesto più ampio la Corte territoriale colloca altra telefonata “strategica” in cui emergono i contatti febbrili tra i vertici della F.I.G.C. (MAZZINI) e i vertici A.I.A. (PAIRETTO) nel quadro delle contese per la Presidenza federale e soprattutto le richieste del LOTITO verso il Presidente CARRARO per una “attenzione verso il suo caso” (le sorti della LAZIO) e le raccomandazioni del MAZZINI al PAIRETTO perché la posizione della LAZIO venisse tenuta in considerazione.
    2. Identiche considerazioni svolge la Corte territoriale con riferimento alla gara LAZIO- PARMA del 27 febbraio 2005, gara giudicata di vitale importanza per le sorti della LAZIO ed in cui, ancora una volta, vengono sottolineati i frequenti contatti tra il MAZZINI ed il LOTITO a ridosso della gara e le richieste di interessamento verso l’ambiente arbitrale del LOTITO per le sorti della squadra dallo stesso presieduta.
    3. In conclusione, il ragionamento della Corte di merito muove dalla duplice considerazione che, pur non esistendo elementi indicativi della effettiva alterazione dei risultati sportivi riguardanti le due gare sopra descritte, vi sono ampie prove di un generale e fattivo interessamento del LOTITO (e del MAZZINI) per la ricerca di soluzioni agevolatrici delle ragioni della Lazio e dell’ampio contesto in cui tali manovre si collocano, costituito dalla ricerca di alleanze ed appoggi per la candidatura CARRARO alla rielezione ai vertici della F.I.G.C. con l’apporto dichiarato del LOTITO. Tali manovre valgono a qualificare le condotte in esame come manifestazione esteriore dell’atto fraudolento volto allo scopo di alterare i risultati agonistici non attraverso la tradizionale offerta di vantaggi economici ai soggetti di volta in volta da interessare per il buon esito delle operazioni, ma attraverso un meccanismo ben più sofisticato e perverso che, spacciando gli interessi del LOTITO per mere manovre elettorali, in realtà mirava ad alterare gli equilibri del campionato grazie alle protezioni in alto loco in favore di determinate squadre.
    4. Si tratta di un fenomeno degenerativo che ben si inquadra nella fattispecie delineata dall’art. 1 della L. 401/89 come già osservato in altra parte della sentenza, non mancando di rilevare che la variegabilità delle condotte idonee all’alterazione di una gara conferma la tesi della fattispecie qualificata come reato a condotta libera la cui caratteristica essenziale è quella di porre in essere azioni in grado di alterare i risultati agonistici: non è chi non veda, infatti, ai

fini della rilevanza penale l’assenza di sostanziali differenze tra la condotta di chi offre o dà denaro (o promette altri vantaggi) a soggetti appartenenti ad un’altra squadra per assicurarsi la vittoria o il vantaggio in classifica e la condotta di chi persegua tali obiettivi attraverso manovre più subdole ma ugualmente destinate al raggiungimento di quello scopo.

    1. Tali caratteristiche impediscono che possa parlarsi di tentativo, rimasto – secondo la difesa del ricorrente – allo stadio degli atti preparatori non punibili, perché quello che secondo la difesa viene ritenuto atto preparatorio è, in realtà, il primo atto manifesto finalizzato all’alterazione della gara, non rilevando affatto che il risultato sia poi stato alterato attraverso direzioni di gara di favore (e, per quanto riguarda le vicende legate alle due partite, in almeno una di esse – CHIEVO-LAZIO – la Corte distrettuale ha evidenziato elementi sospetti rappresentati da una serie di sviste arbitrali in favore della società romana), in quanto il momento consumativo del reato si è perfezionato proprio attraverso quelle sollecitazioni, raccomandazioni e pressioni ripetutamente attivate dal LOTITO, con l’avallo di autorevoli dirigenti federali, per assicurare il salvataggio della squadra laziale.
    2. Sostiene la difesa del ricorrente che il vizio di contraddittorietà e manifesta illogicità deriverebbe dall’assoluzione sia del CARRARO che del PAIRETTO per non avere commesso il fatto; dalle assoluzioni degli arbitri ROCCHI e MESSINA, incaricati della direzione delle due gare sopra menzionate, per insussistenza del fatto; dall’assenza di contatti diretti tra il LOTITO ed i vertici arbitrali ovvero gli appartenenti alla classe arbitrale (nell’ordine, BERGAMO, PAIRETTO, ROCCHI e MESSINA), con la conseguenza che, mancando quel contatto diretto tra il LOTITO ed i designatori, nessuna accusa di condotta fraudolenta sarebbe sostenibile in coerenza con quanto affermato dalla Corte di Appello in ordine alla valenza penale di contatti del genere.
    3. Sebbene dotato di suggestività, l’argomento non appare persuasivo in quanto secondo la Corte di merito è stata acquisita in termini di certezza la prova che il LOTITO, sia personalmente, attraverso contatti diretti con il CARRARO, sia in via mediata, attraverso contatti con il MAZZINI, ha cercato insistentemente di garantire le sorti della propria squadra facendo intervenire le persone da lui interessate sui designatori arbitrali: tanto è stato ritenuto sufficiente dalla Corte per ribadire la sussistenza della condotta fraudolenta con riferimento al LOTITO, indipendentemente dall’effettiva alterazione delle due gare da parte degli arbitri designati. E tale affermazione è in linea con il presupposto giuridico dal quale è partita la Corte, costituito dalla idoneità sia oggettiva che soggettiva di tali condotte sollecitatorie ad alterare le due gare in modo fraudolento.
    4. In questo senso allora il terzo motivo del ricorso (cui può accomunarsi il quarto afferente alla manifesta illogicità della decisione in punto di procedura per il sorteggio degli arbitri) non può ritenersi fondato.
    5. Nel ribadire, infatti, la correttezza della decisione del giudice di appello in punto di

inquadramento della fattispecie nello schema del reato di attentato a consumazione anticipata, va anche escluso il parallellismo tra la fattispecie di illecito sportivo disciplinata dall’art. 7 del

C.G.S. e l’omologa figura delittuosa enunciata dalla seconda parte del comma 1 dell’art. 1 L. 401/89. A parte il fatto che la norma citata dalla difesa in riferimento all’illecito sportivo è errata (si tratta dell’art. 6 e non dell’art. 7), va rilevato, come correttamente evidenziato dalla Corte territoriale, che si discute di fattispecie differenti che tutelano interessi, diffusi ma distinti (nel caso dell’illecito sportivo il principio decoubertiniano della lealtà sportiva; nella frode in competizione sportiva la tutela indifferenziata dei consumatori e fruitori dello spettacolo sportivo) e ascrivibili a soggetti diversi (qualificati quelli riguardanti l’illecito sportivo propriamente detto; comuni, quelli riguardanti la frode sportiva).

    1. Infatti l’art. 6 (e non 7 come erroneamente indicato dalla difesa) del C.G.S punisce “il compimento, con qualsiasi mezzo, di atti diretti ad alterare lo svolgimento o il risultato di una gara ovvero ad assicurare a chiunque un vantaggio in classifica” e può essere posto in essere solo dalle società, dai dirigenti, dagli atleti, dai tecnici, dagli ufficiali di gara e da ogni altro soggetto che svolga attività di carattere agonistico, tecnico, organizzativo, nonché dai soci e non soci cui è riconducibile, direttamente o indirettamente, il controllo delle società stesse, e da coloro che svolgono qualsiasi attività all’interno o nell’interesse di una società o comunque rilevante per l’ordinamento federale.
    2. Di contro l’art. 1 comma 1 della L. 401/89 punisce quale autore del reato qualunque soggetto, in qualsivoglia ruolo, provi o riesca a turbare lo svolgimento della competizione, al fine di conseguire un vantaggio e ciò a prescindere dall’esito della stessa competizione che non riveste appunto profili di rilevanza penale, nel senso che, ai fini della integrazione della fattispecie, non rileva che la gara sia stata alterata ma rileva il genere di comportamento fraudolento posto in essere.
    3. Quanto al motivo relativo alla formazione delle griglie ed alla manifesta illogicità in riferimento ai criteri scelti per la designazione degli arbitri nel campionato 2003-2004 ed in quello 2005-2006 (metodo del sorteggio), nessun vizio è dato riscontrare alla luce delle conversazioni intercettate che denotato le evidenti manovre nel corso dell’annata sportiva 2004-2005, attuate dal LOTITO per cercare di favorire la sua squadra.
  1. Anche il quinto motivo è infondato alla luce sempre dei contenuti delle intercettazioni che vedono protagonista il LOTITO: se è vero che nessun contatto diretto egli ha intrattenuto con i singoli dirigenti arbitrali o con gli arbitri e se è vero che il CARRARO è stato prosciolto da ogni addebito (a stretto rigore nei confronti del CARRARO era stata pronunciata sentenza da parte del GUP ai sensi dell’art. 425 cod. proc. pen. non essendovi certezza di ulteriori sviluppi nella fase dibattimentale), ciò non esclude che da parte del LOTITO – per come emerso dalle intercettazioni menzionate dalla Corte distrettuale – siano state effettuate manovre in un contesto più ampio della semplice disputa di una gara atte ad assicurare, con ogni mezzo, protezione e salvezza alla LAZIO per il campionato 2004-2005.
    1. In ultimo, non può non rilevarsi che le censure rivolte dalla difesa ai contenuti delle intercettazioni mirano a fornire una interpretazione alternativa rispetto a quella seguita dalla sentenza impugnata, operazione, questa, non consentita in sede di legittimità.
    2. Sulla base di tali considerazioni va pertanto ribadita la responsabilità del LOTITO in ordine alle due ipotesi di reato ascrittegli, condividendosi, sul punto, il giudizio espresso dalla Corte di merito che ha comunque dichiarato estinti i reati contestati all’odierno ricorrente per intervenuta prescrizione confermando le statuizioni civili ma solo nei confronti del Ministero dell’Economia e Finanze AA.MM.SS.; del Ministero per le Politiche Giovanili e Sportive e della F.I.G.C, con estromissione delle altre parti civili costituite nel primo grado di giudizio.

E6) MAZZEI Gennaro

  1. I primi cinque motivi del ricorso MAZZEI (soggetto già assolto in primo grado dalla imputazione di cui al capo A) e dalla imputazione di frode sportiva compendiata nel capo A7), ritenuto poi responsabile per quest’ultimo delitto in accoglimento dell’appello del P.M. e tuttavia prosciolto dalla Corte territoriale per intervenuta prescrizione), afferiscono a questioni processuali inerenti all’ammissibilità delle parti civili ed alle conseguenti erronee statuizioni civili.
    1. Invero la Corte territoriale, all’esito del processo di appello, in accoglimento del gravame del Pubblico Ministero avverso la sola assoluzione del MAZZEI per il delitto di frode sportiva sub A7 (per il quale era stato invece condannato il coimputato TITOMANLIO Stefano) ha ritenuto la responsabilità del MAZZEI, dichiarando tuttavia non doversi procedere a suo carico per estinzione del reato a seguito di prescrizione.
    2. La Corte territoriale, inoltre, nel provvedere sulle statuizioni civili ha condannato lo stesso MAZZEI ex novo in solido con il già condannato TITOMANLIO Stefano al risarcimento del danno in favore della parte civile FALLIMENTO SALERNITANA SPORT s.p.a., da liquidarsi in separata sede, relativamente al reato di cui al capo A7), ed inoltre ha condannato il MAZZEI al risarcimento del danno in favore delle Parti civili Ministero dell’Economia e delle Finanze – AAMS; Ministero per le Politiche Giovanili e Sportive e FIGC. In riferimento al reato di cui al capo A), per il quale era invece intervenuta una pronuncia assolutoria non impugnata né dal Pubblico Ministero né dalle parti civili suddette.
    3. Ciò precisato in punto di fatto, le censure sollevate in proposito dalla difesa del MAZZEI sono fondate.
    4. Infatti, con riferimento alle statuizioni risarcitorie a carico del MAZZEI disposte nei confronti delle parti civili Ministero dell’Economia e delle Finanze-AAMS; Ministero per le Politiche Giovanili e Sportive e FIGC, né il Pubblico Ministero né alcuna delle dette parti civili

aveva proposto appello avverso la sentenza di assoluzione del MAZZEI dal reato associativo pronunciata dal Tribunale.

    1. Avrebbe, quindi, dovuto trovare applicazione il principio più volte affermato da questa Corte Suprema secondo il quale non sussistono i presupposti per l’operatività dell’art. 578 cod. proc. pen. – il quale implica una pronuncia di condanna – nelle ipotesi in cui il giudice di appello, in riforma della sentenza di primo grado di assoluzione, abbia poi ritenuto la responsabilità dell’imputato e lo abbia prosciolto per la maturata prescrizione, così come non sussistono, a maggior ragione, in assenza della impugnazione della parte civile le condizioni per la operatività dell’art. 576 cod. proc. pen che attribuisce al Giudice della impugnazione il potere di decidere sul capo della sentenza relativo alla azione risarcitoria, anche in mancanza di una precedente statuizione sul punto (Sez. 5^ 24.1.2011 n. 9638, Banchero ed altro, Rv. 249713; conforme Sez. 2^ 17.10.2013 n, 46257, Ranocchia, Rv. 257429).
    2. Ma anche con riferimento alle statuizioni risarcitorie a favore del FALLIMENTO SALERNITANA SPORT s.p.a., la decisione della Corte di Appello è inosservante delle disposizioni dettate dall’art. 576 cod. proc. pen., in quanto la pronuncia assolutoria era stata impugnata soltanto dal Procuratore della Repubblica, ma non dalla curatela della fallita SALERNITANA SPORT s.p.a., di guisa che, in ossequio ai principi ermeneutici sopra enunciati, la Corte di merito non avrebbe potuto condannare il ricorrente MAZZEI al risarcimento del danno e alle spese della parte civile in relazione a quel capo, tanto più che la declaratoria di prescrizione è intervenuta in riferimento a detto capo, in riforma di una sentenza di assoluzione e non a seguito di una sentenza di condanna, con conseguente inapplicabilità dell’art. 578 cod. proc. pen. (v. Sez. 3^ 19.3.2009 n. 17846, C., Rv. 243761; conforme S.U. 11.7.2006 n. 25083, Negri ed altro, Rv. 233918 che hanno ribadito la regola secondo la quale il giudice di appello nel dichiarare l’estinzione del reato per prescrizione o per amnistia su impugnazione, anche ai soli effetti civili, della sentenza di assoluzione ad opera della parte civile, può condannare l’imputato al risarcimento del danno in favore della parte civile, essendo in tal caso consentito al giudice dell’impugnazione il potere di decidere sul capo della sentenza).
    3. Pertanto le statuizioni civili nei confronti della F.I.G.C. del Ministero delle Finanze AA.MM.SS. e del Ministero per le Politiche Giovanili e Sportive pronunciate nei riguardi del MAZZEI vanno eliminate in quanto disposte in palese violazione della legge processuale penale.
  1. In riferimento, invece, ai residui motivi di ricorso proposti dal MAZZEI con riguardo alla declaratoria di prescrizione per il reato di cui al capo A7), gli stessi sono infondati.
    1. La Corte territoriale, nel rivisitare la pronuncia assolutoria del Tribunale, ha analizzato meticolosamente i passaggi fondamentali di tale decisione, rivalutando anche, alla luce della condanna del coimputato TITOMANLIO Stefano (assistente di gara incaricato di

formare la terna arbitrare per la partita del campionato di Serie B AREZZO-SALERNITANA, nonostante lo stesso dovesse prendere parte a gare del campionato maggiore) gli elementi emersi a carico di quest’ultimo.

    1. Il MAZZEI, all’epoca dei fatti, era Vice Commissario della C.A.N. di serie A e B e dalle varie conversazioni intercettate, ma soprattutto dalle dichiarazioni del TITOMANLIO, la Corte territoriale ha tratto il convincimento che anche il MAZZEI avesse manifestato una chiara volontà di adoperarsi per il salvataggio della squadra dell’Arezzo, programmata ben prima della partita in contestazione.
    2. I dati passati in rassegna dalla Corte territoriale sono convergenti ed univoci oltre che estremamente sintomatici di un interessamento del MAZZEI per le sorti dell’AREZZO: nella sentenza impugnata si fa ampio riferimento alle ammissioni fatte per telefono dal TITOMANLIO in merito ad un suo “avvicinamento” ad opera del MAZZEI e persino in ordine ai comportamenti posti in essere dallo stesso TITOMANLIO in favore dell’AREZZO nel corso della gara. Ancora, si fa ampio riferimento ad un episodio avvenuto prima della partita in cui il MAZZEI in occasione di un raduno arbitrale presso il Centro Tecnico Federale di Coverciano, aveva chiamato in disparte il TITOMANLIO il quale ha poi ammesso che, pur essendo stato designato quale assistente di gara in serie A, sarebbe andato ad arbitrare nella categoria inferiore per un gara “particolare” in cui era necessaria la sua esperienza. Correttamente e congruamente sotto il profilo logico la Corte ha ritenuto irrilevanti le giustificazioni offerte dal MAZZEI in sede di dichiarazioni spontanee, mettendo in risalto, quale elemento dissonante a suoi carico il fatto che il passaggio di un assistente o arbitro già assegnato ad una partita della massima divisione ad una inferiore avrebbe dovuto quantomeno sollecitare nel TITOMANLIO una qualche reazione negativa, in realtà non avvenuta perché l’invito a scendere di categoria proveniva da un soggetto autorevole della C.A.N. dal quale sarebbero dipesi ulteriori più rilevanti incarichi per l’assistente in parola.
    3. Non si rinvengono, pertanto, i denunciati vizi di motivazione e di travisamento della prova, aggiungendosi che nessun ulteriore elemento rispetto a quelli già valutati dalla Corte di merito, è stato offerto dal ricorrente per dimostrare l’evidenza della insussistenza del fatto o della estraneità ad esso dell’imputato, condizioni necessarie per un accoglimento del ricorso.
    4. Sul punto, quindi, il ricorso del MAZZEI va rigettato. Segue la condanna del detto ricorrente alla rifusione delle spese del grado sostenute dalla parte civile CURATELA FALLIMENTO SALERNITANA SPORT s.p.a. liquidate in € 3.000,00 (tremila/00) oltre spese generali ed accessori di legge.

E7) MAZZINI Innocenzo

  1. La posizione di tale ricorrente assume contorni particolari anche in riferimento ad una peculiare questione sollevata con il primo motivo di ricorso che merita – per i profili che vengono prospettati e per refluenze che ne conseguono – una specifica attenzione.
    1. Si tratta di questione nuova (in quanto non formulata per ragioni squisitamente temporali nei motivi di appello), ma ammissibile in relazione al disposto di cui all’art. 609 comma 2 u.p. cod. proc. pen. della violazione del principio ne bis in idem in relazione alla nota pronuncia della CEDU nella causa Grande Stevens ed altri c. Italia.
    2. Infatti il motivo dedotto ha riferimento a tale sentenza, depositata il 4 marzo 2014, successivamente, quindi, alla proposizione dell’atto di appello, deciso dalla Corte di merito il 18 dicembre 2013.
    3. Con tale motivo la difesa del ricorrente denuncia, alla luce della predetta decisione la violazione dell’art. 649 cod. proc. pen. in relazione agli artt. 2, 18,11 e 117 Cost. e 4 n. 7 CEDU, rilevando l’illegittimità del sistema detto del “doppio binario” secondo il quale, quando la stessa condotta è sanzionata contemporaneamente in via amministrativa (ma di natura analoga per afflittività a quella penale) e penale propriamente detta, può essere applicata soltanto una sanzione, con la conseguenza che, una volta irrogata una di esse, non è possibile risanzionare la stessa persona per lo stesso fatto con altra sanzione avente la stessa natura. La difesa rileva – con riferimento al caso di specie – che la Corte territoriale ha omesso di riconoscere la natura penale alla sanzione inflitta al MAZZINI dall’Alta Corte di Giustizia del CONI della preclusione definitiva a ricoprire qualsiasi ruolo in seno alla F.I.G.C. Nell’ambito del detto motivo viene sollevata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 649 cod. proc. pen. per contrasto con gli artt. 24 comma 2° e 117 comma 1° Cost. nella parte in cui la norma codicisitica non prevede l’applicazione del principio del ne bis in idem qualora ad un procedimento amministrativo sostanzialmente di natura penale faccia seguito l’attivazione di altro procedimento di natura penale in senso stretto.
    4. La sentenza della Corte di Strasburgo ha ritenuto sussistente la violazione del principio di ne bis in idem di cui all’art. 4, Protocollo n. 7 CEDU, in quanto ai ricorrenti, resisi responsabili di abusi di mercato, erano state irrogate le sanzioni penali di cui all’art. 185 del

D. lgs. 58 del 24 febbraio 1998, nonostante che gli stessi, con decisione definitiva, fossero stati destinatari delle sanzioni amministrative di cui all’art. 187 ter del medesimo D. Lgs.

    1. Come è noto, le sentenze della Corte EDU non assumono alcuna efficacia immediata e diretta nell’ordinamento giuridico dello Stato interessato; tuttavia, come chiarito nella giurisprudenza della Corte Costituzionale (vds. la sentenza n. 236/2011, che si riporta ai principi affermati nelle sentenze c.d gemelle n. 348 e 349 del 2007) le norme della CEDU, come interpretate dalla Corte europea dei diritti dell’uomo integrano, quali norme “interposte”,

il parametro costituzionale enunciato dall’art. 117 comma 1 Cost., nella parte in cui impone la conformazione della legislazione interna ai vincoli derivanti dagli obblighi internazionali.

    1. Tanto premesso, il Collegio non ritiene che il richiamo alla sentenza CEDU sia pertinente al caso in esame in cui si verte in una materia del tutto speciale, non avente natura amministrativa: si tratta, infatti, di rapporto tra illecito disciplinare (di competenza della giustizia sportiva) e illecito penale proprio della giustizia statale: rapporto che, almeno a oggi, non risulta essere mai stato esaminato dalla Corte EDU.
    2. L’inapplicabilità della sentenza CEDU alla fattispecie oggi all’esame del Collegio esclude che possa fondatamente prospettarsi la sollevata questione d’illegittimità costituzionale dell’art. 649 c.p.p., I co., e 117, I co., Cost. nella parte in cui non prevede l’applicazione del principio del ne bis in idem nel caso in cui a un procedimento riconosciuto dal diritto interno come amministrativo ma sostanzialmente di natura penale, ai sensi dell’art. 4 allegato n. 7 CEDU, faccia seguito l’attivazione di un altro di natura penale in senso stretto.
    3. Oltretutto per la formulazione della questione di costituzionalità sarebbe occorso il presupposto di una sentenza della CEDU che avesse preso posizione sul genere di illecito di cui agli artt. 1 e 6 del codice di giustizia sportiva e sulla natura giuridica della eventuale sanzione inflitta.
    4. L’art. 1 del CGS richiamato dal ricorrente così recita: “Le società, i dirigenti, gli atleti, i tecnici, gli ufficiali di gara ed ogni altro soggetto che svolge attività di carattere agonistico, tecnico, organizzativo, decisionale o comunque rilevante per l’ordinamento federale, sono tenuti all’osservanza delle norme e degli atti federali e devono comportarsi secondo i principi di lealtà, correttezza e probità in ogni rapporto comunque riferibile all’attività sportiva”.
    5. Dal testo della norma emerge già una circostanza pacifica, vale a dire l’impossibilità di una sovrapposizione della norma sportiva rispetto alle fattispecie incriminatrici dell’associazione a delinquere e del delitto di frode sportiva.
    6. Non solo, ma è davvero arduo ipotizzare che la punizione disciplinare e quella penale concernano lo stesso fatto, inquadrandosi la sanzione sportiva nell’ambito di una violazione di regole deontologiche proprie dell’organo di appartenenza del destinatario della sanzione: non vi è alcuna equivalenza tra illecito disciplinare sportivo ed illecito amministrativo così come è giuridicamente insostenibile la natura sostanziale di sanzione penale per una sanzione irrogata per l’illecito disciplinare che non può nemmeno qualificarsi come sanzione amministrativa.
    7. Seppure possa cogliersi una estremizzazione del principio del ne bis in idem nel nostro ordinamento, occorre pure tenere conto dei diversi ordinamenti che convivono all’interno delle nostre istituzioni, tra i quali vanno inclusi ordinamenti particolari (come quello cd. “sportivo” dotato di autonomia “controllata”) ispirati a regole deontologiche che governano specifiche attività. E’ però indiscutibile che la regola deontologica ha una portata limitata

all’ordinamento nell’ambito del quale essa è inserita, né la natura disciplinare può mutare caratteri assumendo quello di natura amministrativa attraverso il riconoscimento della possibilità di adire la giustizia amministrativa o quella ordinaria per far valere un vizio del procedimento o un eccesso di potere prodottosi nella fase della sua formazione.

    1. Non suggerisce conclusioni diverse la sentenza della Corte Costituzionale n. 49 del 7 febbraio 2011 intervenuta per dirimere la annosa questione (pur dopo l’emanazione della L. 280/03 sull’autonomia del diritto sportivo) dei limiti di intervento della giustizia amministrativa nei confronti della pronunce emesse dagli organi di giustizia sportiva. Il caso trattato dalla Corte Costituzionale riguardava la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, commi 1°, lett. b), e 2°, del D.L. 220/03 (intitolato “Disposizioni urgenti in materia di giustizia sportiva”) convertito con modificazioni nella L. 17 ottobre 2003, n. 280, sollevata dal TAR Lazio, in riferimento agli artt. 24, 103 e 113 della Costituzione, nel corso del giudizio avente ad oggetto l’impugnazione presentata da un dirigente di una società di basket militante nel cami0nato professionistica di Lega A avverso una lunga squalifica irrogatagli per illecito sportivo.
    2. Con tale decisione la Corte Costituzionale ha pronunciato una sentenza interpretativa di rigetto che ha confermato la legittimità costituzionale dell’articolo 2 lett. b) della Legge 280/2003, il quale attribuisce alla sola giustizia sportiva le questioni in materia disciplinare, delineando gli esatti confini tra la sfera d stretta competenza della giustizia sportiva ed il potere di impugnazione dei provvedimenti disciplinari davanti ai tribunali amministrativi e chiarendo che l’esclusione della giurisdizione del giudice amministrativo riguarda soltanto le azioni “demolitorie”, vale a dire quelle volte all’annullamento dei provvedimenti disciplinari impugnati, e non quelle aventi natura meramente risarcitoria, azionabili dinnanzi al giudice statale.
    3. Non essendo questa la sede propria per commentare più dettagliatamente i contenuti della sentenza della Corte Costituzionale, va ricordato però che, lungi dal negare autonomia al sistema della giustizia sportiva come delineato dall’art. 2 della L. 280/03, l’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2 della legge suddetta fornita dal Giudice Costituzionale ha affermato che “..qualora la situazione soggettiva abbia consistenza tale da assumere nell’ordinamento statale la configurazione di diritto soggettivo o di interesse legittimo, in base al ritenuto “diritto vivente” del giudice che, secondo la suddetta legge, ha la giurisdizione esclusiva in materia, è riconosciuta la tutela risarcitoria. In tali fattispecie deve, quindi, ritenersi che la esplicita esclusione della diretta giurisdizione sugli atti attraverso i quali sono state irrogate le sanzioni disciplinari – posta a tutela dell’autonomia dell’ordinamento sportivo – non consente che sia altresì esclusa la possibilità, per chi lamenti la lesione di una situazione soggettiva giuridicamente rilevante, di agire in giudizio per ottenere il conseguente risarcimento del danno..”.
    4. La sanzione disciplinare (per quanto severa possa essere) non ha una portata generale e non esercita alcuna efficacia al di fuori dell’ordinamento particolare (ossia

dell’ordine al quale il trasgressore appartiene); la sanzione amministrativa, al pari di quella penale è invece caratterizzata dal suo riverberarsi nell’ordinamento in ogni suo aspetto, giacché evidenzia e punisce un momento di violazione di regole poste a presidio di beni comuni.

    1. Sicchè se di sovrapponiblità tra norme, formalmente diverse ma aventi uguale natura, si deve parlare, ciò vale solo per la sanzione amministrativa rispetto a quella penale, ma non di certo per quella disciplinare sportiva.
  1. Risolta in questi termini la questione prospettata dalla difesa del ricorrente, tutti gli altri motivi del ricorso incentrati sui vizi di motivazione per contraddittorietà e manifesta illogicità sono destituiti di fondamento.
    1. Nell’ambito della vicenda in esame il MAZZINI si trova coinvolto sia nel delitto associativo di cui al capo A) che in distinti episodi di frode sportiva meglio indicati nei capi V), U), A3) A5) e A10).
    2. Il MAZZINI all’epoca dei fatti ricopriva il ruolo di Vice Presidente della Federazione Italiana Giuoco Calcio: ritenuto colpevole dei reati sopra indicati (ad eccezione del reato di cui al capo A3) e condannato alla pena ritenuta di giustizia, a seguito dell’appello interposto dal Pubblico Ministero in riferimento alla esclusione del ruolo di organizzatore (con riferimento al reato associativo) e all’assoluzione dal delitto di frode sportiva di cui al capo A3), l’odierno ricorrente è stato ritenuto dalla Corte di merito colpevole del delitto di associazione per delinquere di cui al capo A) con il ruolo di organizzatore, mentre è stato prosciolto dalle rimanenti imputazioni (compresa quella di cui al capo A3) per la quale era stato proposto appello da parte del P.M.) per intervenuta prescrizione, con rideterminazione della pena per il solo reato associativo nel limite di anni due di reclusione, con il beneficio della sospensione condizionale e con la conferma delle statuizioni civili nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze – AAMS; del Ministero per le Politiche Giovanili e Sportive e della FIGC.
    3. Nel richiamare le linee essenziali che caratterizzano il reato associativo (v. supra), la Corte di merito ha riqualificato la condotta ed il ruolo del MAZZINI all’interno del sodalizio associativo in termini sensibilmente più gravi rispetto alle valutazioni del Tribunale.
    4. La Corte territoriale nell’accogliere, sul punto, il gravame del Pubblico Ministero ha evidenziato la posizione di organizzatore dell’imputato, qualificandolo come “colui che, più di altri imputati, ha reso in numerose conversazioni il senso del suo contributo al sodalizio”: in questo senso viene sottolineato il ruolo di intermediario tra MOGGI Luciano e dirigenti di società interessati a fruire dei possibili favori del(l’ormai ex) dirigente juventino; la congerie di intercettazioni che lo vedono indiscusso protagonista in operazioni di varia natura; la partecipazione alle riunioni cd. “conviviali” (una delle quali organizzata dallo stesso MAZZINI a casa propria) tra i vertici dell’associazione (MOGGI, PAIRETTO, BERGAMO); il suo non comune attivismo nel fornire e/o ricevere informazioni in tempi rapidissimi; il suo fattivo e incessante

interessamento nell’operazione di rielezione dei vertici federali, in favore di una fazione; l’organizzatore del cd. “salvataggio della Fiorentina” implicitamente confermato dalle dichiarazioni spontanee di DELLA VALLE Diego, il quale, nel sottolineare l’esistenza di un cd. “sistema Moggi” all’interno del mondo del calcio (non circoscritto soltanto al campionato di calcio di quegli anni), ha inteso rimarcare il ruolo “attivo” del MAZZINI nel far sì che la dirigenza della FORENTINA emarginata perché considerata “snob”, si piegasse ai voleri del sodalizio pur di salarsi dalla retrocessione.

  1. Anche con riferimento ai quattro episodi di frode sportiva di cui ai capi U),V), A5) ed A10) la Corte territoriale ha messo in luce i punti più salienti che evidenziavano la responsabilità del MAZZINI.
    1. Nel richiamare – per quanto concerne gli episodi contestati ai capi U) e V) – le argomentazioni sviluppate dalla Corte di merito, già esposte a proposito del ricorrente LOTITO, con specifico riguardo agli strettissimi rapporti intercorrenti tra i due dirigenti, va fatto in questa sede un cenno anche alle considerazioni fatte dal giudice di appello per i residui episodi sub A5 e A10.
    2. Al riguardo, con riferimento ai capi di imputazione U) e V) il Collegio fa espresso richiamo alle considerazioni espresse a proposito dell’esame della posizione del coimputato LOTITO ed agli strettissimi rapporti di interessi non solo per le sorti della LAZIO ma anche per le sorti dei vertici federali da rieleggere: si tratta di valutazioni che sottolineano condotte integranti la fattispecie di frode sportiva nei termini già esplicitati in altra parte della presente decisione.
    3. Anche con riferimento ai rimanenti capi di imputazione la Corte territoriale si è soffermata analiticamente sulle numerose conversazioni intercorse tra il MAZZINI, DELLA VALLE Andrea, BERGAMO, MENCUCCI (dirigente della FORENTINA).
  2. La frode sportiva indicata nel capo A5) riguarda la gara CHIEVO – FIORENTINA del 22 maggio 2005 (partita considerata decisiva per le sorti della squadra viola che si aggiudicherà l’incontro con il punteggio di 1-0): vengono segnalate alcune telefonate particolarmente sintomatiche come quella del 21 aprile 2005 svoltasi tra DELLA VALLE Andrea e il MAZZINI dalla quale emerge, come ricordato dalla Corte territoriale, la vivissima preoccupazione del dirigente della FIORENTINA per il prossimo risultato anche a causa dell’esito della gara precedente disputata con il MESSINA (squadra nel giro di MOGGI Luciano) terminata con il punteggio di 1-1 per una rete segnata in pienissimo recupero (al 96’) dalla quadra peloritana; o, ancora, altra coeva telefonata intercorsa tra il MENCUCCI (altro dirigente della squadra viola) e il MAZZINI. Si tratta di telefonate che per la Corte territoriale assumono una valore probante circa i frenetici tentativi di condizionare il risultato della gara in quanto inserite in un contesto che inizialmente (gennaio 2005) vedeva il MAZZINI, d’intesa con il MOGGI, agire per favorire la rielezione del Presidente CARRARO in contrapposizione con l’emergente ABETE

appoggiato tra gli altri, dalla società toscana.

    1. L’ammorbidimento dell’atteggiamento di ostracismo fino a poco tempo prima manifestato dal MAZZINI (e dello stesso MOGGI) verso la FIORENTINA (sfociato in una attività di “dossieraggio” come la denomina la Corte di Appello, per screditare la figura di DELLA VALLE Andrea), viene letto dal giudice di appello come prova di una inversione di tendenza favorita dall’andata “a Canossa” del DELLA VALLE (sostanzialmente da questi riconosciuta in sede di dichiarazioni spontanee come ricordato dalla Corte distrettuale) che mostra di avere fatto una sorta di atto di sottomissione al predominio del MOGGI: da qui la conferma del reato di frode sportiva che trova, secondo la Corte, ulteriore riscontro in una intermediazione del MAZZINI attraverso contatti con il designatore BERGAMO per la individuazione di un arbitro vicino al “gruppo MOGGI” (“…bisogna che Paolo BERGAMO abbia un minimo di attenzione verso il caso Fiorentina, il che vuol dire non fare niente di strano se non quello di essere tutelati per la realtà che è la Fiorentina…. Tutto qui”).
    2. Così come viene riconosciuta decisiva portata ad altra telefonata del MAZZINI al MENCUCCI per sollecitare un incontro direttamente fra il designatore BERGAMO ed il Presidente della squadra viola DELLA VALLE Diego a riprova di una accurata preparazione orientata al salvataggio della FIORENTINA.
    3. Viene attribuita importanza fondamentale all’incontro avvenuto fra i fratelli DELLA VALLE ed il BERGAMO presso l’Hotel Villa Massa documentalmente accertato dalla P.G. al quale viene data una spiegazione coerente con le premesse di cui sopra nel senso di una sorta di riunione finale “conciliativa” e “rassicurativa” per le sorti della FORENTINA grazie all’impegno del designatore BERGAMO con la complicità del MOGGI e del MAZZINI.
    4. Per quanto riguarda l’imputazione di cui al capo A10) concernente la frode sportiva in riferimento alla partita LECCE-PARMA (ultima gara del campionato disputatasi il 29 maggio 2005 e terminata con il punteggio di 3-3 che costringerà il PARMA in formazione decimata per le espulsioni e ammonizioni comminate dall’arbitro DE SANTIS, a disputare lo spareggio con il BOLOGNA), la Corte inquadra tale partita nella operazione di salvataggio della squadra della FIORENTINA: in questo caso il fine viene raggiunto grazie alla designazione da parte del BERGAMO, previo inserimento nella griglia, di un arbitro vicino al cd. “gruppo MOGGI” (DE SANTIS Massimo) e grazie alla cooperazione fattiva fra il BERGAMO ed il MAZZINI, portavoce delle istanze del MENCUCCI e conseguentemente dei fratelli DELLA VALLE.
    5. In questo senso la Corte ritiene strettamente collegate le due gare ed evidenzia una serie di intercettazioni che – per quanto riguarda il MAZZINI – vedono detto soggetto direttamente coinvolto in questa complessa e laboriosa operazione di salvataggio: vengono così menzionate alcune significative telefonata come quella del 29.05.2005 in cui il MAZZINI contatta il MENCUCCI magnificando, con l’avallo di quest’ultimo, le buone scelte effettuate (il riferimento è all’arbitro DE SANTIS grazie all’interessamento del BERGAMO; o ancora, quella

tra tale NASSI e il MAZZINI, nella quale questi assentisce alle valutazioni espresse dal suo interlocutore sulla necessità che la FIORENTINA andasse salvata ad ogni costo giungendo a parlare di una “operazione chirurgica perfetta”.

    1. Ed ancora, viene sottolineata altra telefonata intercorsa, sempre il 29 maggio 2005, tra il MAZZINI e l’arbitro DE SANTIS in cui il primo esterna al secondo i suoi complimento sul modo non solo di arbitrare la partita ma di “pilotarla” (così si è espressa la Corte di merito) finendo con l’assecondare i desiderata della società viola.
    2. Dall’esposizione delle argomentazioni svolte dalla Corte sia per confermare l’appartenenza del MAZZINI all’associazione criminale, sia per affermarne il ruolo di organizzatore, sia per ribadirne la responsabilità per i reati-fine di frode sportiva, è da escludere che ci si trovi in presenza di vizi logici eclatanti ovvero di contraddittorietà.
    3. Anzi la Corte territoriale nel ridisegnare il reale ruolo del MAZZINI in seno al sodalizio criminale, ha indicato il ricorrente come organizzatore (al pari del coimputato PAIRETTO) in relazione al suo inserimento ai massimi vertici della FIGC, distinguendolo dal MOGGI indicato invece, ben a ragione (v. postea) come “promotore” dell’associazione.
    4. Tale diversificazione dei ruoli è assolutamente corretta ed in linea con l’interpretazione giurisprudenziale secondo la quale nel variegato assortimento dei componenti di una struttura associativa criminale, l’organizzatore è colui il quale coordina l’attività degli associati ed assicura la funzionalità delle strutture o comunque che svolga compiti aventi le caratteristiche della essenzialità e della infungibilità, intesa come non facile intercambiabilità rispetto ad altri sodali (v. Sez. 6^ 16.1.1991 n. 403, Marin e altri, Rv. 186226; Sez. 1^ 10.5.1993 n. 11344, Algranati ed altri, Rv. 195764), mentre il promotore è colui che da solo o con altri si faccia iniziatore della societas sceleris e che svolga compiti di alimentazione costante ed implementazione del programma attraverso l’eventuale ricerca di nuovi sbocchi criminali (v. sez. 6^ 403/91 cit.).
    5. Il ruolo di organizzatore rivestito dal MAZZINI è stato correttamente posto in evidenza attraverso la verifica di quel suo costante impegno nel gestire in prima persona, favorito anche dalla sua posizione verticistica in senno alla F.I.G.C., i rapporti tra i sodali e costituire un insostituibile punto di riferimento per una corretta gestione dei vari programmi del sodalizio.
  1. Analoghe considerazioni in riferimento all’assenza dei denunciati vizi di motivazione vanno fatte con riferimento alle varie fattispecie di frodi sportive sub U) V), A5) e A10), richiamandosi, per quanto concerne le prime due, anche le argomentazioni in precedenza sviluppate con riferimento ai rapporti intercorrenti tra il MAZZINI ed il LOTITO.
  2. Quel che occorre conclusivamente rilevare è il riconoscimento della responsabilità effettuato dalla Corte di merito in coerenza con il concetto di frode sportiva qualificato come reato di attentato che annovera tra le condotte punibili quelle che nei reati non di attentato

verrebbero qualificati come atti preparatori e che nelle ipotesi in esame costituiscono tipici atti integrativi della fattispecie di cui all’art. 1 della L. 401/89

    1. Più in particolare sono stati a ragione valorizzati – a riprova sia del reato associativo che dei reati fine – i numerosi incontri con altri vertici federali o dirigenti di società finalizzati alla commissione di illeciti penalmente rilevanti. Il mancato possesso della scheda estera non è stato ritenuto dalla Corte di merito elemento decisivo ai fini di eventuale proscioglimento nel merito, a differenza di quanto avvenuto per altri sodali, tenuto anche conto che la quasi titolarità degli incontri è stata gestita dal MAZZINI con altri vertici della federazione o del mondo arbitrale, ma non con il MOGGI.
    2. Nessuna aporia si rileva anche in riferimento al complesso episodio “a tappe forzate” (visti i tempi contingentati) dell’operazione di salvataggio della Fiorentina in cui è stato posto in risalto il fattivo interessamento del MAZZINI (nell’ambito di una situazione di contrapposizione tra due opposti gruppi in vista della elezione del Presidente della FIGC e degli equilibri strategici del campionato in corso) come prova ulteriore della sua appartenenza all’associazione.
    3. Quanto, poi, al profilo della inconfigurabilità della frode sportiva in relazione al decreto di archiviazione del G.I.P. del Tribunale di Torino su conforme richiesta del P.M. nell’ambito di altro procedimento (proc. n. 14347 a carico di MOGGI, GIRAUDO e PAIRETTO) per il delitto di cui all’art. 1 della L. 401/89 per avere quelle autorità giudiziarie ritenuto penalmente irrilevanti i meri contatti tra dirigenti arbitrali e dirigenti di società in vista della designazione dell’arbitro di gara e giudicati gli stessi inidonei ad integrare la fattispecie penale, osserva il Collegio che quella decisione è maturata in contesto diverso ed in assenza di quegli ulteriori elementi acquisiti nell’ambito del presente procedimento.
  1. In conclusione le censure sollevate dalla difesa del ricorrente, poi ulteriormente riprese in altra memoria difensiva sono infondate, anche se in modo non manifesto.
    1. Ne deriva l’annullamento della sentenza impugnata senza rinvio per essere il reato di cui all’art. 416 comma 1 cod. pen. (che prevede la pena edittale massima di anni sette con proroga del termine massimo prescrizionale pari ad anni otto e mesi nove decorrente dal mese di giugno 2005) estinto per prescrizione maturata, inclusa la sospensione di giorni 11 in fase di appello, l’11 marzo 2014.
    2. Trattasi, peraltro, con riferimento al reato associativo, di prescrizione maturata dopo la pronuncia della sentenza di appello, senza che abbia incidenza il brevissimo periodo di sospensione del corso della prescrizione nella fase del giudizio di secondo grado, pari a giorni dieci, compreso tra l’udienza del 20 settembre 2013 e la successiva dell’1 ottobre 2013, sicchè trova applicazione nella specie il principio costantemente affermato da questa Corte Suprema secondo il quale, in caso di maturazione del termine prescrizionale dopo la sentenza di appello, in tanto è possibile provvedere alla declaratoria di estinzione del reato in quanto il ricorso non

risulti manifestamente infondato: è, infatti, solo l’inammissibilità del ricorso dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi, a precludere la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen., non potendosi considerare formato un valido rapporto di impugnazione (Sez. 2^ 8.5.2013 n. 28848, Ciaffoni, Rv. 256463; Sez. 4^ 20.1.2004 n. 18641, Tricomi, Rv. 228349; S.U. 22.11.2000 n. 32, De Luca, Rv. 217266).

E8) PAIRETTO Pierluigi

  1. In riferimento alla posizione del ricorrente PAIRETTO Pierluigi, posto che il primo motivo è già stato esaminato in altra parte della presente sentenza, residua l’esame riferito agli altri due motivi che, concernendo sempre la medesima imputazione di associazione per delinquere sia pure sotto aspetti diversi, possono essere trattati congiuntamente.
    1. Al PAIRETTO era stata contestata l’imputazione di partecipazione all’associazione criminosa in veste di organizzatore, ruolo escluso dal Tribunale all’esito del giudizio di primo grado e riaffermato invece dalla Corte di Appello a seguito dell’impugnazione, sul punto, del pubblico ministero.
    2. La Corte territoriale, riprendendo in parte la motivazione del Tribunale che aveva ritenuto il PAIRETTO colpevole del delitto di cui al capo A) nella veste di mero partecipe, ha non solo ribadito l’appartenenza consapevole del PAIRETTO all’organizzazione criminale, ma valorizzato una serie di dati per pervenire alla conclusione che egli svolgesse un ruolo di vertice all’interno di essa.
    3. A parte il documentato possesso della scheda estera (circostanza che la Corte ha ritenuto confermata sulla scorta della dichiarazione del coimputato BERGAMO Paolo e sulla scorta, anche, di un conversazione intercorsa con il coimputato MOGGI il 20 settembre 2004), sono state ritenute prova della partecipazione “qualificata” del PAIRETTO all’associazione alcune riunioni “operative” (che la difesa del PAIRETTO, al pari delle difese di alcuni dei coimputati di questo processo quali MOGGI e MAZZINI, insiste nel definire “conviviali”) tenute dal predetto dirigente arbitrale anche presso la propria abitazione: riunioni che, nel contesto in cui venivano programmate e tenute, avevano quale obiettivo – secondo il condivisibile giudizio espresso dalla Corte territoriale – una serie di accordi “programmatici” attinenti non solo alle sorti di alcune partite più importanti del campionato di serie A 2004-2005 ma anche decisive per gli assetti interni alla FICG ( ed alla Lega professionisti, organo interno anch’esso alla Federazione).
    4. La Corte territoriale nel ribadire il concetto della specifica veste del PAIRETTO in seno all’organizzazione, da un canto non ritiene che costui operasse secondo il voleri del MOGGI (il che, invece, era stato uno degli argomenti di fondo del Tribunale per escludere il ruolo di

organizzatore); dall’altro, pone in risalto l’autonomia operativa del designatore torinese soprattutto con riferimento alla predisposizione delle griglie arbitrali in parallelo con l’attività del BERGAMO (essendo entrambi i designatori degli arbitri per il campionato 2004-2005) ed agli interventi (comprovati anche da alcune intercettazioni puntualmente menzionate dalla Corte di Napoli con richiamo in parte qua alla decisione del Tribunale) volti ad “aggiustare” la predisposizione delle griglie sulla base di indicazioni o suggerimenti provenienti da terzi a ciò interessati.

    1. Ma il ruolo di organizzatore attribuito al PAIRETTO viene desunto anche dalla circostanza che egli rappresentava una larga fascia di elettori per le cariche federali in contrapposizione a quella del BERGAMO.
    2. La tesi difensiva faceva (e fa) leva su elementi disattesi dalla Corte territoriale che, pur riconoscendo un numero minore di contatti telefonici riguardanti il PAIRETTO, menziona alcune intercettazioni che vedono coinvolto il designatore torinese con un dirigente della società BRESCIA CALCIO s.p.a. denotanti la sua influenza sulla designazione degli arbitri in sede di predisposizione delle griglie ed, ancora, rimprovera al PAIRETTO il fatto, ritenuto anomalo, di avere consentito (insieme al Bergamo) la intromissione del MOGGI, soggetto forse autorevole in seno alla sua società di appartenenza per il ruolo dirigenziale ricoperto, ma certamente estraneo alla F.I.G.C. in un settore (quello della designazione arbitrale) di esclusiva competenza di soggetti istituzionalmente appartenenti alla F.I.G.C. (o ad organismi operanti in seno ad essa) proprio per rendere impermeabile e non manovrabile da parte di soggetti estranei quel sistema che era deputato a garantire la corretta gestione delle gare.
    3. La difesa del ricorrente ravvisa nelle argomentazioni sviluppate dalla Corte territoriale sia il vizio di inosservanza della legge penale (sotto il profilo della non configurabilità del delitto associativo e della non appartenenza del PAIRETTO al sodalizio), sia il vizio di manifesta illogicità e travisamento della prova.
  1. Quanto alla dedotta inosservanza della legge penale il Collegio non può che fare richiamo alle precedenti considerazioni svolte a proposito del reato associativo e delle condotte che valgono a caratterizzarlo.
    1. Nel capo d’imputazione sono certamente presenti gli elementi sintomatici della stabilità del gruppo di persone e del numero non inferiore a tre, delle persone inserite nella compagine associativa; delle finalità (illecite) perseguite e dell’esistenza di una ben strutturata ed articolata organizzazione idonea al perseguimento degli obbiettivi prefissati.
    2. Con riferimento al numero delle persone, i plurimi dati processuali esaminati dalla Corte distrettuale hanno confermato la compresenza di soggetti con funzioni e qualifiche diverse, portatori di interessi individuali diversi, per la cui realizzazione, tuttavia, è imprescindibile la commissione di un certo tipo di reato (il reato di frode sportiva come si vedrà meglio in prosieguo).
    3. Quanto alle finalità perseguite, queste sono state esteriorizzate attraverso la realizzazione indeterminata del delitto di frode sportiva rientrante in apposito programma delittuoso: tale reato-scopo si atteggia anche come strumento per il perseguimento di obbiettivi ulteriori, non necessariamente destinati ad incidere sui risultati di singole competizioni partite, ma più in generale indirizzati alla predeterminazione degli esiti del campionato di serie A 2004-2005: il che semmai accentua l’illiceità dell’associazione che ha orizzonti assai più ampi di quelli che avrebbe avuto se unicamente indirizzata all’alterazione di alcune gare di campionato ben determinate.
    4. Quel che la Corte territoriale ha inteso evidenziare è non solo la vastità dell’associazione ma la sua stessa variegata composizione ed il perseguimento di obiettivi strategici in vista della salvaguardia degli interessi di determinati gruppi di potere e del mantenimento di determinati equilibri: è quindi il sistema generale del settore calcistico nelle sue articolazioni di vertice che conduce i giochi e stabilisce attraverso riunioni oligarchiche le sorti sia delle partite che del campionato nella sua interezza. Il raggiungimento di determinati risultati sportivi vale sia per le sorti dirette della squadra interessata, sia per stabilire gerarchie generali nel campionato come proiezione dei dirigenti delle squadre a loro volta impegnati in una serrata campagna di accaparramento del potere per meglio poter governare il campionato.
    5. Correttamente, quindi, la Corte sottolinea la estrema gravità della condotta del PAIRETTO che, anziché garantire, come avrebbe dovuto, la regolarità del campionato e del sistema (anche in riferimento al delicato settore arbitrale a lui affidato), si pone al servizio di interessi di soggetti non qualificati nel mondo federale (il MOGGI) finendo con il tradire la propria funzione istituzionale ed, in ultima analisi, il sistema stesso.
    6. Come è dato leggere nella sentenza impugnata, l’associazione in parola sorge per iniziativa del suo ideatore e promotore MOGGI Luciano e la prima manifestazione di operatività dell’associazione è costituita dall’acquisizione, sempre ad opera del MOGGI, di schede telefoniche estere comprate in Svizzera e in grado di neutralizzare tentativi di intrusione da parte di estranei. Con tale sistema il MOGGI distribuirà le schede suddette a quei soggetti con i quali avrebbe dovuto di volta in volta relazionarsi per il perseguimento di determinate esigenze (tutte rientranti in quel programma criminoso cd. “globale”) e tale inusuale e per certi versi ingegnoso sistema relazionale costituisce la base fondante del funzionamento dell’associazione.
    7. Ma non è questo soltanto il dato probatorio esaminato e valutato da parte della Corte distrettuale per confermare l’esistenza dell’associazione e l’intraneità del PAIRETTO nel sistema illecito facente capo a tale struttura.
    8. Sono infatti, le conversazioni telefoniche menzionate in precedenza che vedono tra i protagonisti il PAIRETTO, seppur indirettamente; i risultati dei tabulati telefonici dimostrativi della pluralità e costanza dei contatti tra i vari consociati; ancora, gli incontri definiti eufemisticamente “conviviali”, ma che di conviviale nel senso con il quale tale espressione

viene comunemente intesa, non hanno nulla. Si tratta di incontri di volta in volta organizzati nelle abitazioni private (e non di certo in sedi istituzionali) di ciascuno di quei partecipanti e di riunioni definite, a ragione, dalla Corte, di carattere programmatico e destinate ad una cerchia davvero ristretta di persone (GIRAUDO, MOGGI, PAIRETTO e BERGAMO), spesso tenute a ridosso di determinati incontri calcistici (circostanza che è stata tenuta presente dal giudice di merito per affermare la illiceità penalmente rilevante di tali incontri “riservati”).

    1. Sotto altro profilo si osserva che da parte del giudice distrettuale è stata confermata la sussistenza del reato-fine di frode sportiva latu senso intesa (cioè non strettamente legata alla manipolazione di una determinata gara del campionato, ma comunque volta ad alterare attraverso determinati interventi dall’alto, risultati calcistici diretti ad assicurare la permanenza di determinate compagini sportive nel massimo campionato come i casi della Lazio e della Fiorentina).
    2. Il Collegio non può che ribadire – sulla scorta delle considerazioni generali sulla figura delittuosa della frode sportiva precedentemente svolte – la valenza, penalmente illecita, delle operazioni di predisposizione delle griglie arbitrali che la difesa del ricorrente ha invece ritenuto di valenza neutra ai fini della integrazione della fattispecie se non proprio inidonea ad influire sul risultato sportivo, posto che altre condotte ben più sintomatiche quali, in ipotesi, l’alterazione dei sorteggi arbitrali ovvero l’anomalia nelle conduzioni arbitrali di determinate partite sono rimaste del tutto indimostrate.
    3. Si tratta, come è agevole rilevare, di una visione riduttiva del concetto di illiceità penale di una determinata fattispecie in quanto la condotta riferibile alla predisposizione delle griglie arbitrali non può considerarsi preliminare rispetto allo svolgimento della gara – e come tale, inidonea ad alterarne il risultato – innestandosi invece in un complesso meccanismo operativo che vede quella manovra come non soltanto propedeutica alla assegnazione delle gare a determinati arbitri e, dunque, ad un possibile loro condizionamento da parte dei vertici dirigenziali di determinate società (per quanto qui di interesse la Juventus attraverso MOGGI Luciano) in combutta con i vertici arbitrali (PAIRETTO e BERGAMO), ma come dimostrativa della vicinanza dell’arbitro di volta in volta designato, ai soggetti attivi nell’ipotizzato gruppo associativo.
    4. Tale conclusione esclude che possa parlarsi di motivazione palesemente illogica o di travisamento della prova, in quanto vizi siffatti sono caratterizzati da elementi assenti nella sentenza impugnata.
    5. Il travisamento delle prove – che, per inciso – costituisce un tipico esempio di contraddittorietà processuale, a differenza del cd. “travisamento del fatto”, il cui esame è precluso in sede di legittimità, si verifica quando nella motivazione si introduca un’informazione rilevante che non esiste nel processo ovvero si ometta la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia e dunque rientra a pieno titolo nel sindacato del giudice di legittimità (Cass.

Sez. 5^ 39048/07 cit.; Cass. Sez. 3^ 18.6.2009 n. 39729, Belluccia e altri, Rv. 244623). Il travisamento in questione deve essere decisivo, nel senso che esso assume rilevanza specifica solo se “l’errore accertato sia idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale/probatorio, fermi restando il limite del “devolutum” in caso di cosiddetta <<doppia conforme>> e l’intangibilità della valutazione nel merito del risultato probatorio” (Sez. 6^ 16.1.2014 n. 5146, Del Gaudio e altri, Rv. 258774; conforme Sez. 1^ 15.6.2007 n. 24667, Musumeci, Rv. 237207).

    1. Si sostiene da parte della difesa che il travisamento della prova riguarderebbe un aspetto particolare riguardante la correttezza dei sorteggi (operazione successiva alla predisposizione delle griglie) provata da numerose testimonianze i cui contenuti sarebbero stati travisati dalla Corte di merito.
    2. Ancora una volta appare necessario ribadire che a segnare l’illiceità dell’operazione riguardante le designazioni arbitrali non era la parte relativa al sorteggio, ma la parte prodromica riguardante la predisposizione delle griglie manovrata dal PAIRETTO (e dal BERGAMO) con la partecipazione del MOGGI e del GIRAUDO: non entra quindi in discussione la genuinità del sorteggio, mentre è questa commistione di presenze a condizionare negativamente, dal punto di vista penale, l’operazione precedente integrativa della fattispecie di cui all’art. 1 comma 1 della L. 401/89.
  1. A sua volta il vizio di manifesta illogicità è ravvisabile solo quando l’incoerenza della motivazione sia evidente, ovvero di livello tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità, al riguardo, essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico ed adeguato le ragioni del convincimento senza vizi di diritto (cfr. Cass. Sez. Un. 21.9.2003 n. 47289, Petrella, Rv. 226074; Sez. 3^ 12.10.2007 n. 40542, Marrazzo e altro, Rv. 238016).
    1. La motivazione della Corte di Appello in riferimento agli argomenti sviluppati per dimostrare l’appartenenza del PAIRETTO all’associazione ed il suo ruolo di organizzatore (come soggetto in condizione di gestire il sodalizio ed i rapporti tra i vari affiliati) si sottrae ai detti vizi sia perché il giudizio espresso è ancorato ad alcuni dati oggettivi (il possesso della scheda riservata, negato dal ricorrente, ma comprovato – come già detto – da plurimi elementi indicati dalla Corte territoriale; le telefonate intercettate riguardanti altri componenti dell’elìte criminale), sia per ragioni legate a quegli incontri certamente avvenuti tra il PAIRETTO ed il BERGAMO, da una parte, il MOGGI ed il GIRAUDO, dall’altra risultanti delle numerose: l’elemento quantitativo riferito alle intercettazioni (apparentemente favorevole al ricorrente come sostenuto dalla difesa) è stato preso in considerazione dalla Corte territoriale che ha però conferito valore preponderante, in modo certamente logico, all’elemento della effettività degli incontri e della natura di essi, per come risultanti da dichiarazioni provenienti dalla viva voce di

alcuni imputati, tra i quali il MOGGI promotore dell’associazione.

    1. Va, anche, aggiunto che i rilievi del ricorrente in merito alle finalità di quegli incontri costituiscono valutazioni in fatto, come tali sottratti all’esame di questa Corte né è ravvisabile il travisamento della prova, peraltro non interpretabile se non nel senso attribuito dalla Pubblica Accusa e recepito, a ragione, dalla Corte territoriale.
  1. Il PAIRETTO è chiamato a rispondere anche di alcune frodi sportive meglio indicate nei capi F), G) e Q): mentre con riferimento alle ultime due il ricorso proposto va rigettato, con riguardo alla imputazione sub F) la motivazione offerta dalla Corte di merito presenta vizi di manifesta illogicità che imporrebbero l’annullamento sul punto della sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Napoli per nuovo esame. Tuttavia la maturata prescrizione già rilevata dalla Corte territoriale osta a tale statuizione. Vanno, invece, annullate le statuizioni risarcitorie connesse al reato di cui al capo F) con rinvio al Giudice civile competente per valore in grado di appello anche in ordine alla liquidazione delle spese di questo grado di giudizio.
    1. Brevemente osserva il Collegio che può farsi richiamo per tale reato alle considerazioni che verranno espresse per il ricorrente MOGGI Luciano. A riprova della manifesta incongruità logica della decisione della Corte di Appello per l’episodio in questione (che vede protagonisti oltre il PAIRETTO, il MOGGI e l’arbitro DONDARINI, poi prosciolto, e che attiene alla gara JUVENTUS-LAZIO del 5 dicembre 2004 vinta dalla squadra juventina con il punteggio di 2-1), appare evidente il vizio di travisamento della prova in riferimento ai contenuti di una conversazione intercorsa in data 21 settembre 2004 tra PAIRETTO e l’arbitro DONDARINI.
    2. La Corte territoriale, nel ricostruire i contenuti di tale telefonata che viene ricollegata alla fraudolenta composizione delle griglie conferma che il DONDARINI (arbitro designato per quell’incontro in gran segreto tanto da essere invitato perentoriamente da MARTINO Manfredi a non dire nulla di tale designazione), rivolgendosi al PAIRETTO che lo esortava ad “avere cinquanta occhi bene aperti” e a “ vedere anche quello che non c’è!”, assentiva a tali raccomandazioni mostrando deferenza verso il designatore.
    3. A tale conversazione la Corte ne aggiunge altra (indicata come conversazione recante il n. 1045 del 20.09.2004) intercorsa tra lo stesso PAIRETTO e l’osservatore degli arbitri incaricato di visionare la condotta di gara del DONDARINI e latore di una relazione negativa sul conto dell’arbitro della quale informa il PAIRETTO che, sulla scia dei complimenti esternati dal MOGGI al DONDARINI per la sua direzione di gara in occasione della “visita” nello spogliatoio dell’arbitro dopo il termine della partita, raccomanda al suo interlocutore di aumentare il punteggio del DONDARINI nonostante il giudizio altamente negativo dell’osservatore. Da tali telefonate la Corte ha tratto, quindi, il convincimento di un collegamento tra il PAIRETTO ed il MOGGI non solo per la designazione dell’arbitro, ma anche per la valorizzazione del suo

operato in contrasto con il giudizio negativo espresso da chi ne aveva direttamente visionato la conduzione della gara, ad implicita riprova dell’intenzione di favorire il risultato sportivo della JUVENTUS.

    1. Il travisamento della prova è basato su elementi inoppugnabili di natura temporale che rendono del tutto inverosimile il riferimento alla partita oggetto della imputazione, posto che tra la telefonata del 21 settembre 2004 e la data della gara (5 dicembre 2004) intercorre un arco di quasi tre mesi che rende implausibile il contatto.
    2. Anche l’interessamento del MOGGI, ritenuto dalla Corte di merito elemento sintomatico sia della condotta fraudolenta inerente alla designazione dell’arbitro, sia del coinvolgimento in tale operazione del PAIRETTO necessita di un approfondimento onde dimostrare che l’arbitro definitivamente sorteggiato fosse stato contattato ovvero dimostrare che gli arbitri fatti inserire nella griglia fossero tutti coinvolti nella compagine associativa: ma una tale indagine di fatto è preclusa dalla prescrizione dichiarata dalla Corte distrettuale, sicchè la soluzione da adottare è quella dell’annullamento con rinvio relativamente alle statuizioni risarcitorie al pari di quanto già detto con riferimento alla posizione del MOGGI con rinvio al Giudice civile competente per valore in grado di appello anche in ordine alla liquidazione delle spese di questo grado di giudizio.
  1. Diverse, invece, le conclusioni in riferimento alle due imputazioni rimanenti.
    1. Per quanto attiene alla frode sportiva indicata nel capo G), il riferimento è alla partita FIORENTINA-BOLOGNA terminata con il punteggio di 1-0 per la squadra toscana (la Corte di merito ha parlato, erroneamente, di parità) e, più in particolare, alla condotta tenuta dall’arbitro DE SANTIS designato per quella gara, costituente la prova degli accordi pregressi tra i designatori (nella specie PAIRETTO) e il MOGGI (dirigente della JUVENTUS) per inserire nella griglia un arbitro filo-juventino come poi emergerà da altre conversazioni, puntualmente menzionate dalla Corte di Napoli, nel corso delle quali vengono espresse riserve sulla imparzialità del DE SANTIS e sulla sua netta propensione a tutelare gli interessi della JUVENTUS ovvero, con esplicito riferimento alla partita in questione, sul comportamento in danno del BOLOGNA per via delle cd. “ammonizioni” pilotate (l’ex arbitro e commentatore televisivo BALDAS Fabio, parlando con il MOGGI parla del DE SANTIS come l’autore del “delitto perfetto”) in danno di tre giocatori del BOLOGNA già diffidati e dunque messi fuori gioco con la quarta ammonizione per la gara successiva tra la JUVENTUS ed il BOLOGNA.
    2. Il ruolo del PAIRETTO, che non figura tra i soggetti coinvolti in conversazioni dirette, è proprio quello della composizione delle griglie secondo i “desiderata” del MOGGI con lo scopo di garantire le sorti della JUVENTUS e tanto è bastato per la Corte per ritenere integrato il reato di frode in competizioni sportive, oltre che provata in misura ancor più rafforzata la partecipazione del PAIRETTO all’associazione criminosa.
  2. Non dissimili le considerazioni relative all’episodio di frode sportiva enunciato al capo

O) che inerisce alla gara JUVENTUS-UDINESE del 13 febbraio 2005 terminata con il punteggio di 2-1 per la squadra piemontese.

    1. La Corte di merito, oltre ad indicare la telefonata notturna del 9 febbraio 2005 intercorsa tra il MOGGI ed il designatore BERGAMO denotante l’interesse pressante del MOGGI ad avere inseriti in griglia arbitri a lui vicini (telefonata che afferisce più direttamente alla responsabilità del MOGGI), ne menziona altre, pur esse a ridosso della partita in questione, che vedono coinvolto più direttamente il PAIRETTO: si tratta di alcune telefonate intercorse tra il 6 ed il 9 febbraio 2005 in cui anche il PAIRETTO viene sollecitato a partecipare ad una riunione (poi tenutasi a casa del dirigente juventino GIRAUDO Antonio l’8 febbraio 2005) ed in cui traspare l’interesse diretto del MOGGI a condizionare attraverso il PAIRETTO ed il BERGAMO, le nomine di arbitri a lui vicini per raggiungere determinati obiettivi non circoscritti all’esito di determinate partite della JUVENTUS ma estesi ad un esercizio più ampio del potere “da far valere su più fronti” (sia in sede di elezioni federali e sia in sede di contrattazione e gestione dei pacchetti di giocatori) come ricordato dalla Corte territoriale.
    2. E’ dunque l’elemento temporale a condizionare il ruolo del PAIRETTO in questo episodio e la inusitata fretta con la quale determinate scelte sul fronte arbitrale debbano essere compiute in relazione diretta alla gara del 13 febbraio 2005 ed alla designazione di un arbitro inesperto (quale il RODOMONTI) da manovrare ad opera del gruppo oligarchico di cui si è detto: tali dati sono stati a ragione considerati dalla Corte come indicativi di un diretto coinvolgimento del PAIRETTO nella condotta fraudolenta relativa alla gara de qua.
    3. Le censure sollevate dalla difesa con riferimento a dette frodi oltre a risultare sostanzialmente generiche contengono rilievi in fatto non esaminabili in questa sede sicchè va recisamente esclusa la possibilità di un proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen. come dedotto dalla difesa; anzi la Corte territoriale ha dato rilevanza ad una serie di elementi probatori altamente indicativi di una diretta e consapevole responsabilità del dirigente arbitrale, procedendo ad una disamina accurata senza aporie logiche di alcun genere (tranne che per l’episodio sub F) di cui si è prima detto. Il ricorso del PAIRETTO in riferimento ai due episodi sopra menzionati va, pertanto, rigettato.
    4. Tuttavia la non manifesta infondatezza del ricorso sia per quanto riguarda il reato sub
  1. come riqualificato dalla Corte territoriale, sia per quanto riguarda il reato sub F) meritevole di ulteriori approfondimenti inibiti dalla maturata prescrizione dichiarata dalla Corte territoriale impone l’annullamento della sentenza impugnata senza rinvio limitatamente al reato di cui al capo A), come riqualificato dalla Corte di Appello, perché estinto per prescrizione.
    1. La stessa, anche considerando i limiti di pena per il delitto associativo di cui al comma 1° dell’art. 416 cod. pen. è maturata per inutile decorso del termine di anni otto e mesi nove comprensivi della proroga nella misura di ¼ con decorrenza dal giugno 2005, oltre ad un periodo di sospensione della prescrizione pari a giorni 11 derivante dal rinvio dell’udienza del

20 settembre 2013 per adesione dei difensori all’astensione proclamata dall’O.U.A..

    1. Trattandosi di prescrizione comunque maturata dopo la sentenza di appello trova applicazione, in proposito, la regula juris di questa Suprema Corte secondo la quale, in caso di maturazione del termine prescrizionale dopo la sentenza di secondo grado, in tanto è possibile provvedere alla declaratoria di estinzione del reato in quanto il ricorso non risulti manifestamente infondato: è, infatti, solo l’inammissibilità del ricorso dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi, a precludere la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen. non potendo considerarsi formato un valido rapporto di impugnazione (Sez. 2^ 8.5.2013 n. 28848, Ciaffoni, Rv. 256463; Sez. 4^ 20.1.2004 n. 18641, Tricomi, Rv. 228349; S.U. 22.11.2000 n. 32, De Luca, Rv. 217266).

E9) RACALBUTO Salvatore

  1. Nei confronti del ricorrente è stato pronunciato il proscioglimento per intervenuta prescrizione in ordine a tutti i reati allo stesso contestati: si tratta del reato di partecipazione all’associazione per delinquere di cui al capo A) e di due distinti episodi di frode in competizione sportiva meglio descritti ai capi O) e Z).
    1. La Corte territoriale, nell’esaminare la posizione di tale imputato per quanto attiene al reato associativo, ha, anzitutto, sottolineato il possesso da parte del detto imputato delle schede estere (circostanza, peraltro, non contestata dalla difesa che si limita ad escludere la sua rilevanza specifica); ancora, ha evidenziato il dato (giudicato anomalo) dei tabulati telefonici prima dei sorteggi per la partita ROMA-PARMA del 19.12.2004, che evidenziavano ben n.15 contatti fra il RACALBUTO ed il MOGGI attraverso le utenze riservate (il cui uso da parte del RACALBUTO è stato ritenuto provato inoppugnabilmente dalla Corte distrettuale sulla base delle indicazioni provenienti dal teste DI LARONI della P.G.), di cui ben tre subito dopo il sorteggio, due prima della partita e due alla conclusione della stessa; e altri contatti anomali tra l’arbitro e il MOGGI vengono evidenziati dalla Corte in riferimento alla partita CAGLIARI- JUVENTUS del 16 gennaio 2005, di cui il giorno del sorteggio e ben sei lo stesso giorno della partita, uno dei quali a tarda notte.
    2. Si tratta di contatti assolutamente impropri aventi secondo la Corte distrettuale valenza penale tra chi, deputato alla direzione di una gara, dovrebbe dimostrare assoluta imparzialità e chi, interessato alle sorti della squadra di cui è dirigente (ma anche a fini più reconditi), cerca di interferire nella gestione della direzione della gara e soprattutto, a monte, nella procedura di formazione delle griglie: in questo senso il giudizio espresso dalla Corte di merito è non solo coerente con i dati probatori (il che esclude in radice il dedotto vizio di travisamento della prova) ma è connotato da logica, apparendo evidente che contatti così frequenti e a stretto ridosso con gare affidate alla direzione arbitrale del RACALBUTO,

intercorsi con soggetti estranei alla F.I.G.C. e soprattutto al mondo arbitrale, sono stati letti come una palese manifestazione di collusione finalizzata ad incidere sui risultati delle gare.

    1. Il giudizio della Corte di Napoli non si è limitato, però, all’analisi dei tabulati ed ai collegamenti tra i contatti MOGGI-RACALBUTO e le gare affidate a quest’ultimo, ma si è esteso a quella operazione di “campagna promozionale mediatica” condotta dal MOGGI attraverso le trasmissioni sportive televisive che trovavano una sponda in soggetti già appartenuti al mondo arbitrale e dunque in grado di orientare l’opinione pubblica (in questo caso) a favore di un arbitro inesperto da non bruciare ed anzi valorizzare nonostante gli errori: un modo quanto mai sofisticato per il MOGGI di condizionare gli arbitri e di attirarli all’interno di un sistema di controllo a distanza orchestrato dallo stesso MOGGI con la complicità dei designatori (e del GIRAUDO separatamente giudicato) tale da consentire per il futuro vicinanza ed “obbedienza” da parte dei prescelti in cambio di favori di carriera futuri.
    2. La Corte di merito ha evidenziato tra i tanti episodi di sostegno televisivo, e persino federale, quello afferente alla gara CAGLIARI-JUVENTUS, in cui è il MOGGI ad intervenire in favore del RACALBUTO per evitare segnalazioni negative che ne avrebbero certamente pregiudicato la carriera arbitrale.
  1. Orbene a fronte di tali valutazioni, condivisibili sul piano logico senza che possa ravvisarsi la manifesta illogicità, il ricorrente lamenta il fatto di non essere mai stato intercettato sicchè, in assenza di dati di conoscenza dei contenuti di eventuali contatti con altri sodali, la conclusione della Corte territoriale circa la partecipazione all’associazione sarebbe frutto di mera presunzione.
    1. Tale affermazione va disattesa in quanto la Corte di Appello, incrociando il dato incontestato del possesso della scheda estera con i contatti – del tutto indebiti – tra il RACALBUTO ed il MOGGI (oltretutto autore della consegna al RACALBUTO di una delle schede svizzere) a ridosso di determinate partite di campionato, ha inquadrato la condotta dell’odierno ricorrente nell’ambito associativo e a maggior ragione l’ha valutata come un chiaro segno di commissione di condotte fraudolente dirette all’alterazione di determinate gare dirette dal detto arbitro: ciò prescindendo dal dato relativo ad eventuali anomalie nella direzione delle gare, non adeguatamente provata.
  2. Per quanto poi riguarda gli episodi di frode sportiva contestati al RACALBUTO al capo O), gli elementi passati in rassegna dalla Corte di appello fanno leva oltre che sugli scambi di telefonate mediante le schede svizzere a ridosso della partita (ma anche subito dopo), su una serie di intercettazioni che, seppure non riguardanti direttamente il RACALBUTO come interlocutore, lo vedono protagonista in relazione all’interessamento che il MOGGI manifesta in suo favore verso il commentatore BALDAS Fabio affinchè l’operato dell’arbitro non venga criticato, dirottando i giudizi negativi su uno degli assistenti di gara (CONSOLO).
    1. Ed è sempre MOGGI Luciano ad intervenire nel corso di una telefonata del 19

gennaio 2005 in favore del RACALBUTO presso GHIRELLI Francesco invitandolo a ridimensionare quanto accaduto con il presidente del Cagliari CELLINO negli spogliatoi al termine della partita ottenendo la promessa che il RACALBUTO non avrebbe subito conseguenze in sede federale.

  1. Per ciò che attiene all’altro episodio contestato sub Z) afferente alla partita ROMA- JUVENTUS del 5 marzo 2005, il giudizio della Corte è ancora più drastico. Non solo vengono messi in evidenza oltre 30 contatti telefonici tra il MOGGI ed il RACALBUTO prima del sorteggio e a ridosso della gara (circostanza valutata dalla Corte come indizio grave ed univoco di una incidenza diretta sul risultato della gara), ma vengono menzionate alcune telefonate giudicate altamente compromettenti per il RACALBUTO sia per via dei rapporti preferenziali tra il MOGGI e l’arbitro, sia per la inclinazione di quest’ultimo a favorire, con una serie di decisioni giudicate improvvide, la squadra bianconera (particolare importanza viene attribuita ad una telefonata intercorsa il 6 marzo 2005 tra il designatore BERGAMO e il Presidente federale CARRARO Franco in cui quest’ultimo lamenta al suo interlocutore i favoritismi fatti alla JUVENTUS lasciando trasparire in tal modo che a decidere il risultato fosse stato l’arbitro e non il campo). E, ancora una volta, viene posto in risalto l’atteggiamento smaccatamente protettivo del commentatore BALDAS in favore del RACALBUTO, in ciò sollecitato dal MOGGI che lo esortava a formulare giudizi positivi sull’operato dell’arbitro.
    1. La lettura di tali punti della sentenza esclude che nella specie possano profilarsi quei vizi di manifesta illogicità e travisamento delle prove denunciati dalla difesa del ricorrente che, oltretutto, prospetta circostanze di fatto al fine di privilegiare una lettura diversa degli avvenimenti rispetto a quella ricostruita dalla Corte di merito.
    2. Le argomentazioni sviluppate dalla difesa infatti fanno, ancora una volta, richiamo alle opinioni espresse dal consulente di parte NICOLOSI (ex arbitro) giudicate dalla Corte del tutto irrilevanti e comunque inidonee a smentire le condotte fraudolente desunte da ben altre e più significative condotte ante e post gare.
    3. Il ricorso del RACALBUTO va pertanto rigettato, anche in riferimento al primo motivo il cui esame è stato condotto in altra parte della presente sentenza (motivo preliminare afferente alla eccezione di incompetenza territoriale del Tribunale di Napoli).

E10) DELLA VALLE Andrea, DELLA VALLE Diego, MENCUCCI Sandro.

  1. Ai tre ricorrenti, la cui posizione è comune ed impone, quindi, una trattazione unitaria dei ricorsi, viene fatto carico di due specifiche ipotesi frode in competizioni sportive meglio indicate ai capi A5) e A10).
    1. Ciò premesso i primi tre motivi di natura sostanzialmente processuale non sono fondati.
    2. Con il primo i ricorrenti lamentano il mancato esame da parte della Corte territoriale dei motivi di impugnazione: il giudice di appello di fronte a reati coperti dalla prescrizione si è limitato a dare atto dell’insussistenza di cause immediate di proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen. prosciogliendo gli imputati e mantenendo, però, le statuizioni civili laddove sarebbe stato necessario un esame approfondito nel merito al fine di verificare la fondatezza dei motivi di appello onde poter mantenere le statuizioni civili così violando l’art. 578 cod. proc. pen.
    3. Secondo la tesi difensiva sarebbe stato doveroso da parte della Corte distrettuale spiegare compiutamente il senso dell’avvicinamento dei vertici della Fiorentina ai designatori arbitrali attraverso la mediazione del Vice Presidente MAZZINI Innocenzo. A detta dei ricorrenti la società viola temeva di essere invisa dalla classe arbitrale per gli atteggiamenti severamente critici già esternati nei confronti dei vertici della Federazione, cosicché si era ritenuto cercare una via di normalizzazione per giungere ad un rispetti reciproco delle parti in competizione. Quindi – concludono i ricorrenti – interpretato in questi termini l’avvicinamento dei dirigenti della FIORENTINA ai vertici arbitrali, esso avrebbe avuto quale unico scopo quello di essere garantiti da arbitraggi corretti: obiettivo contrario al perseguimento di frodi sportive.
    4. Si tratta di tesi già prospettata, senza successo, sia dinnanzi al Tribunale che in grado di appello e che viene ancora una volta prospettata in sede di legittimità.
    5. La decisione della Corte di merito sul punto è da condividere e supera quelle censure di omessa motivazione e inosservanza dell’art. 578 cod. proc. pen.: infatti il giudice di appello ricostruisce in termini plausibili i movimenti effettuati dai vertici della Fiorentina attraverso un accostamento a quel sistema di potere che li aveva emarginati e in definitiva danneggiati: non dunque il proposito di garantirsi l’imparzialità delle decisioni arbitrali per riparare ai presunti torti subiti in precedenza (ritenuti alla base della deficitaria situazione di classifica della FIROENTINA), ma una sorta di accondiscendenza verso un sistema di potere che li garantisse per il futuro attraverso scelte arbitrali oculate pilotate dal gruppo di potere operante in parte in seno alla FIGC (i vertici arbitrali e MAZZINI) ed in parte estraneo all’ente (MOGGI), tra loro in perfetta simbiosi.
    6. Tale comportamento, visto come una postuma forma di obbedienza ad un sistema contrastato fino a quel momento, viene letto, a ragione, dalla Corte di appello come un segnale di resa e di adesione da parte dei dirigenti viola ai cd. “poteri forti” di quel periodo (MOGGI e gli altri sodali). E’ in questo contesto che vanno collocate ed interpretate le condotte fraudolente poste in essere con riferimento agli incontri FIORENTINA CHIEVO (capo A5) e (capo A10).
  2. In riferimento alla prima di dette imputazioni riguardante la gara CHIEVO – FIORENTINA del 22 maggio 2005 (partita considerata decisiva per le sorti della squadra viola che si aggiudicherà l’incontro con il punteggio di 1-0), vengono segnalate dalla Corte distrettuale alcune telefonate particolarmente sintomatiche come quella del 21 aprile 2005

svoltasi tra DELLA VALLE Andrea e il MAZZINI dalla quale emerge, come ricordato dalla Corte territoriale, la vivissima preoccupazione del dirigente della FIORENTINA per il prossimo risultato anche a causa dell’esito della gara precedente disputata con il MESSINA (squadra nel giro di MOGGI Luciano) terminata con il punteggio di 1-1 per una rete segnata in pienissimo recupero (al 96’) dalla squadra siciliana; o, ancora, altra coeva telefonata intercorsa tra il MENCUCCI (altro dirigente della squadra viola) e il MAZZINI. Si tratta di telefonate che, per la Corte territoriale, assumono un valore probante circa i frenetici tentativi di condizionare il risultato della gara in quanto inserite in un contesto che inizialmente (gennaio 2005) vedeva il MAZZINI, d’intesa con il MOGGI, agire per favorire la rielezione del Presidente CARRARO in contrapposizione con l’emergente ABETE appoggiato tra gli altri, dalla società toscana.

    1. L’ammorbidimento dell’atteggiamento di ostracismo fino a poco tempo prima manifestato dal MAZZINI (e dello stesso MOGGI) verso la FIORENTINA (sfociato in una attività di “dossieraggio” come la denomina la Corte di Appello, per screditare la figura di DELLA VALLE Andrea), viene letto dal giudice di appello come prova di una inversione di tendenza favorita dall’andata “a Canossa” del DELLA VALLE che mostra di avere fatto una sorta di atto di sottomissione al predominio del MOGGI: da qui la conferma del reato di frode sportiva che trova, secondo la Corte, ulteriore riscontro in una intermediazione del MAZZINI attraverso contatti con il designatore BERGAMO per la individuazione di un arbitro vicino al “gruppo MOGGI” (“…bisogna che Paolo BERGAMO abbia un minimo di attenzione verso il caso Fiorentina, il che vuol dire non fare niente di strano se non quello di essere tutelati per la realtà che è la Fiorentina…. Tutto qui”).
    2. Così come viene riconosciuta decisiva portata ad altra telefonata del MAZZINI al MENCUCCI per sollecitare un incontro direttamente fra il designatore BERGAMO ed il Presidente della squadra viola DELLA VALLE Diego a riprova di una accurata preparazione orientata al salvataggio della FIORENTINA.
    3. Viene attribuita importanza fondamentale anche all’incontro avvenuto fra i fratelli DELLA VALLE ed il BERGAMO presso l’Hotel Villa Massa documentalmente accertato dalla P.G. al quale viene data una spiegazione coerente con le premesse di cui sopra nel senso di una sorta di riunione finale “conciliativa” e “rassicurativa” per le sorti della FORENTINA grazie all’impegno del designatore BERGAMO con la complicità del MOGGI e del MAZZINI.
    4. Il secondo episodio di frode sportiva riguarda l’ultima partita di campionato LECCE- PARMA terminata con il punteggio di 3-3 che la Corte di merito colloca – come prospettato dall’Accusa – nel contesto della complessa operazione di salvataggio della FIORENTINA.
    5. L’esito di tale gara, condizionato dal comportamento arbitrale del DE SANTIS per via delle numerose ammonizioni ed espulsioni comminate ai giocatori in campo, costringerà il PARMA, in formazione decimata per via di quei provvedimenti disciplinari, a disputare lo spareggio con il BOLOGNA. La FIORENTINA si salverà grazie al risultato di parità tra la squadra

pugliese e quella emiliana. Lo scopo del salvataggio della FORENTINA viene raggiunto grazie alla designazione da parte del BERGAMO, previo inserimento nella griglia, di un arbitro vicino al cd. “gruppo MOGGI” (il DE SANTIS) e grazie alla cooperazione fattiva fra il BERGAMO ed il MAZZINI, portavoce delle istanze del MENCUCCI e conseguentemente dei fratelli DELLA VALLE.

    1. In questo senso la Corte ritiene strettamente collegata tale gara a quella indicata nel capo A5) (si tratta della partita CHIEVO – FIORENTINA del 22 maggio 2005 considerata decisiva per le sorti della squadra viola che si aggiudicherà l’incontro con il punteggio di 1-0, salvandosi poi da una probabile retrocessione nella giornata successiva) ed evidenzia una serie di intercettazioni che vedono il MAZZINI direttamente coinvolto in questa complessa e laboriosa operazione di salvataggio: vengono così menzionate alcune significative telefonata come quella del 29.05.2005 in cui il MAZZINI contatta il MENCUCCI magnificando, con l’avallo di quest’ultimo, le buone scelte effettuate (il riferimento è all’arbitro DE SANTIS grazie all’interessamento del BERGAMO; o ancora, quella tra tale NASSI e il MAZZINI, nella quale questi assentisce alle valutazioni espresse dal suo interlocutore sulla necessità che la FIORENTINA andasse salvata ad ogni costo giungendo a parlare di una “operazione chirurgica perfetta”.
    2. Ed ancora viene sottolineata altra telefonata intercorsa, sempre il 29 maggio 2005, tra il MAZZINI e l’arbitro DE SANTIS in cui il primo esterna al secondo i suoi complimenti sul modo non solo di arbitrare la partita ma di “pilotarla” (così si è espressa la Corte di merito) finendo con l’assecondare i desiderata della società viola.
    3. Si tratta di un complesso di elementi che rendono la decisione di conferma della colpevolezza in ordine ai detti episodi di frode sportiva congrua sul piano logico, oltre che esaustiva per l’ampiezza del materiale probatorio esaminato.
  1. Con riferimento all’episodio dell’incontro tra i DELLA VALLE ed il designatore BERGAMO presso l’Hotel Villa Massa, la difesa dei ricorrente lamenta la inosservanza da parte della Corte di Appello dell’art. 603 cod. proc. pen. per avere omesso di rinnovare l’istruzione dibattimentale finalizzata all’ammissione della prova relativa ai contenuti di quell’incontro mediante produzione di una registrazione audio di quella riunione effettuata da un soggetto (rimasto anonimo) appartenente all’Arma dei Carabinieri che smentisce la versione della inesistenza di qualsiasi registrazione, resa in dibattimento da parte del Col. AURICCHIO, Ufficiale di P.G. incaricato delle indagini; censura che viene anche formulata nell’interesse del

R.C. A.C. FIORENTINA.

    1. Dette censure sono infondate, in quanto le argomentazioni sviluppate dalla Corte di merito per rigettare la richiesta di cui all’art. 603 cod. proc. pen. sono coerenti con il pacifico indirizzo di questa Corte Suprema secondo il quale, stante l’eccezionalità dell’istituto processuale contemplato nell’art. 603 cod. proc. pen., il mancato accoglimento della richiesta volta ad ottenere detta rinnovazione può essere censurato in sede di legittimità solo quando

risulti dimostrata, indipendentemente dall’esistenza o meno di una specifica motivazione sul punto nella decisione impugnata, la oggettiva necessità dell’adempimento in questione e, quindi, l’erroneità di quanto esplicitamente o implicitamente ritenuto dal giudice di merito circa la possibilità di “decidere allo stato degli atti”, come previsto dall’art. 603, comma 1, cod. proc. pen. In altri termini, va dimostrata l’esistenza, nel tessuto motivazionale che sorregge la decisione impugnata, di lacune o manifeste illogicità ricavabili dal testo del medesimo provvedimento (come previsto dall’art. 606, comma 1, lett. a), cod. proc. pen.) e concernenti punti di decisiva rilevanza, le quali sarebbero state presumibilmente evitate qualora fosse stato provveduto, come richiesto, all’assunzione o alla riassunzione di determinate prove in sede di appello. (Cass. Sez., 1^ 28.6.1999 n. 9151, Capitani, Rv. 213923).

    1. Ancora, è stato affermato dalla giurisprudenza di questa Corte Suprema che l’impossibilità di decidere allo stato degli atti, condizione indefettibile per il ricorso all’istituto processuale de quo si realizza soltanto “in presenza di dati probatori già acquisiti ma di incerta lettura e rilevanza ai fini della decisione, ovvero quando la rinnovazione richiesta risulti decisiva, onde poter eliminare le eventuali incertezze ovvero sia di per sé oggettivamente idonea ad inficiare ogni altra risultanza” (cfr. Sez. 6, 26.2.2013 n. 20095, Ferrara Rv. 256228; conforme Sez. 3^ 23.5.2007, n. 35372, Panozzo, Rv. 237410).
    2. Sotto altro profilo si osserva che le censure rivolte dalla difesa appaiono sostanzialmente dirette ad una rilettura delle vicende legate alla gara FIORENTINA-CHIEVO; ma una rilettura degli atti in sede di legittimità è preclusa, non senza sottolineare che la stessa Corte nel rigettare motivamente la richiesta difensiva aveva anzitutto fatto richiamo alle preclusioni stabilite dall’art. 507 cod. proc. pen. e ancora rilevato che l’incertezza della fonte da cui proveniva la segnalazione della registrazione si poneva come condizione ostativa. La Corte di appello ha anche escluso in modo logico e completo che tale richiesta possedesse il carattere della decisività per escludere che l’incontro tra Fiorentina e Chievo potesse essere stato in qualche misura alterato a favore della prima.
  1. E’ ancora da disattendere l’ulteriore censura sollevata dalle difese in relazione alla circostanza che la Corte di merito anziché decidere sulla richiesta di rinnovazione con ordinanza, abbia rinviato alla sentenza la statuizione sulla questione: va precisato che la richiesta di assunzione di tale prova era stata già sollecitata in primo grado ai sensi dell’art.

507 cod. proc. pen., sicchè non può parlarsi, nel giudizio di appello, di prova nuova sopravvenuta che avrebbe dovuto indurre il giudice di appello a riaprire l’istruzione nel contraddittorio delle parti.

    1. E’ vero che In una isolata decisione questa Corte Suprema ha precisato che solo in presenza di una prova nuova il giudice, ex art. 495, comma 1, e art. 190 c.p.p., deve provvedere al giudizio di ammissibilità senza ritardo con ordinanza dibattimentale nel contraddittorio delle parti – e non rinviare tale decisione alla sentenza – al fine di evitare incertezze per le parti in ordine al materiale di discussione (Sez. 1^ 14.10.2010 n. 43473,

Arshad e altri, Rv. 248979).

    1. Tale principio applicato a quella fattispecie implica che, in presenza di una prova preesistente, ben poteva la Corte rimandare ogni decisione alla sentenza, omettendo di provvedere con ordinanza: e va ricordato anche che il giudice di appello ha l’obbligo di motivare espressamente sulla richiesta di rinnovazione solo in caso di accoglimento della richiesta, mentre nel caso in cui intenda respingerla è legittima una motivazione implicita in sede di definizione del merito dell’appello, evidenziando la sussistenza di elementi sufficienti ad affermare la responsabilità dell’imputato appellante (Sez. 6^ 12.12.2013 n. 11907, Coppola, Rv. 259893; Sez. 3^ 7.4.2010 n. 24294, D.S.B. Rv. 247872).
    2. Ma nel caso sottoposto alla valutazione di questo Collegio, la prova dedotta non poteva qualificarsi tale, proprio perché generica in relazione alla non conoscibilità della fonte, sicchè, anche sotto tale ulteriore profilo, non è ravvisabile alcuna violazione delle regole imposte dagli artt. 495 comma 1 e 190 cod. proc. pen.
  1. Passando, poi, all’esame del secondo episodio di frode sportiva enunciato al capo A10) concernente la frode sportiva in riferimento alla partita LECCE-PARMA (ultima gara del campionato disputatasi il 29 maggio 2005 e terminata con il punteggio di 3-3 che costringerà il PARMA in formazione decimata per le espulsioni e ammonizioni comminate dall’arbitro DE SANTIS, a disputare lo spareggio con il BOLOGNA), la Corte inquadra tale partita nella operazione di salvataggio della squadra della FIORENTINA: in questo caso il fine viene raggiunto grazie alla designazione da parte del BERGAMO, previo inserimento nella griglia, di un arbitro vicino al cd. “gruppo MOGGI” (DE SANTIS Massimo) e grazie alla cooperazione fattiva fra il BERGAMO ed il MAZZINI, portavoce delle istanze del MENCUCCI e conseguentemente dei fratelli DELLA VALLE.
    1. In questo senso la Corte ritiene strettamente collegate le due gare ed evidenzia una serie di intercettazioni che – per quanto riguarda i ricorrenti DELLA VALLE A. e D. e MENCUCCI e lo stesso responsabile civile A.C. FIORENTINA – vedono il MAZZINI (soggetto già ripetutamente e spasmodicamente contattato dai DELLA VALLE e dal MENCUCCI per l’operazione salvataggio) coinvolto in questa complessa e laboriosa operazione: vengono così menzionate dalla Corte di merito alcune significative telefonate come quella del 29.05.2005 in cui il MAZZINI contatta il MENCUCCI magnificando, con l’avallo di quest’ultimo, le buone scelte effettuate (il riferimento è all’arbitro DE SANTIS grazie all’interessamento del BERGAMO); o ancora, quella tra tale NASSI e il MAZZINI, nella quale questi assentisce alle valutazioni espresse dal suo interlocutore sulla necessità che la FIORENTINA andasse salvata ad ogni costo giungendo a parlare di una “operazione chirurgica perfetta”.
    2. Ed ancora viene sottolineata altra telefonata intercorsa, sempre il 29 maggio 2005, tra il MAZZINI e l’arbitro DE SANTIS in cui il primo esterna al secondo i suoi complimenti sul modo non solo di arbitrare la partita ma di “pilotarla” (così si è espressa la Corte di merito)

finendo con l’assecondare i desiderata della società viola.

    1. Anche in questo caso le censure sollevate dalle difese non appaiono fondate anche perché, oltre a riproporre temi già prospettati nel giudizio di appello e vagliati dalla Corte territoriale, non contengono elementi di novità tali da smentire il ragionamento seguito dalla Corte territoriale che appare privo di quegli elementi di manifesta illogicità indicati dai ricorrenti.
  1. Rimangono da esaminare gli ultimi tre motivi di ricorso afferenti alle statuizioni civili risarcitorie ed alla violazione delle regole civilistiche che disciplinano in generale la materia dell’illecito civile.
    1. Il punto di partenza è costituito dalla decisione resa in proposito dalla Corte di Appello, la quale, muovendo dal reato associativo inteso quale delitto contro l’ordine pubblico nella sua accezione più estesa, è pervenuta alla conclusione che la sussistenza del requisito del pericolo per l’ordine pubblico “non è condizionata dalla natura dei reati rientranti nel programma criminoso, né dalla gravità di essi, in quanto lesivi di beni giuridici di maggiore rilievo meritevoli di adeguata tutela (integrità fisica, libertà individuale o patrimonio ecc.) e tali dunque da determinare allarme sociale.”. Il danno risarcibile arrecato all’ordine pubblico viene identificato nel danno cagionato dai reati posti in essere nell’ambito del programma criminoso del sodalizio coincidente con il bene tutelato dalla condotta di frode sportiva.
    2. Proseguendo in tali affermazioni la Corte territoriale, nel riportarsi alla struttura della fattispecie del delitto di frode in competizione sportiva configurato sul modello del reato di attentato a consumazione anticipata, ne indica il momento consumativo nella commissione di atti diretti a ledere il bene protetto che viene individuato nella corretta e genuina applicazione delle regole sportive sottese alla gara (o alle gare) oggetto della condotta ovvero nella lesione del principio di lealtà e correttezza nelle competizioni sportive di qualsiasi disciplina.
    3. Il punto qualificante di tale affermazione è dato dalla attribuzione a tale bene protetto di una valenza “ultraindividuale”, nel senso che la sua tutela “prescinde dal singolo soggetto leso dalla condotta fraudolenta contestata” ed ingloba la diffusività delle lesione del bene che colpisce la collettività intesa nella sua interezza:“collettività rappresentata appunto da enti a carattere governativo o, nel caso di specie, anche da enti all’uopo delegati alle funzioni direttive di programmazione e gestione del settore sportivo”.
    4. E’ sulla base di tali premesse che la Corte territoriale ha ritenuto di individuare i soggetti istituzionali lesi dal reato indicandoli soltanto nel Ministero dell’Economia e Finanze, AA.MM.SS.; nel Ministero per le Politiche giovanili ed Attività Sportive e nella F.I.G.C. con riferimento alle singole imputazioni di frode sportiva, aventi incidenza su competizioni sportive oggetto di scommesse regolate e gestite da enti statali.
    5. Fin qui, dunque la decisione per linee generali della Corte di Appello.
  2. Le considerazioni della Corte di Appello sul tema specifico della natura giuridica del delitto di cui all’art. 1 della L. 401/89 e sulla individuazione del bene giuridico tutelato sono certamente condivisibili, come già rilevato in altra parte della presente sentenza.
    1. Così come è condivisibile il concetto di bene giuridico “ultraindividuale”, intendendosi con tale espressione la salvaguardia degli interessi patrimoniali degli scommettitori, ma anche delle società che gestiscono le scommesse nella presunzione che i protagonsiti delle gare agiscano in ossequio ai principi di lealtà e correttezza ed ancora la tutela degli interessi patrimoniali e non perseguiti da chi è deputato a gestire l’organizzazione e la programmazione delle manifestazioni sportive sul territorio nazionale. da svolgersi sempre nel rispetto di questi principi generali di lealtà e correttezza.
    2. In forza di tali concetti può allora ribadirsi che le tre parti civili riconosciute dalla Corte di Appello meritevoli di tutela risarcitoria (il termine “due” che ha dato luogo a censure da parte della difesa dei ricorrenti sia per la mancanza di determinatezza sia per la contraddizione rispetto al termine quattro usato dalla stessa Corte territoriale è, ad evidenza, frutto di un refuso) hanno diritto ad un ristoro dei danni subiti in riferimento al grave pregiudizio alla loro immagine suscettibile di una valutazione non patrimoniale.
    3. Ne consegue l’infondatezza della censura nella parte in cui si sostiene l’inammissibilità di una condanna generica al risarcimento dei danni in carenza della prova circa gli elementi costitutivi dell’illecito, così come va ritenuta infondata la tesi secondo la quale l’assenza – che non sarebbe stata colta dal giudice di appello – del nesso eziologico tra le condotte penalmente illecite ed il danno subito dalle singole parti osta alla condanna generica al risarcimento del danno.
    4. Come ha più volte ribadito la giurisprudenza di questa Suprema Corte “Ai fini della pronuncia di condanna generica al risarcimento dei danni in favore della parte civile non è necessario che il danneggiato provi la effettiva sussistenza dei danni ed il nesso di causalità tra questi e l’azione dell’autore dell’illecito, essendo sufficiente l’accertamento di un fatto potenzialmente produttivo di conseguenze dannose: la suddetta pronuncia infatti costituisce una mera “declaratoria juris” da cui esula ogni accertamento relativo sia alla misura sia alla stessa esistenza del danno, il quale è rimesso al giudice della liquidazione” (Sez. 6^ 26.4.1994

n. 9266, Mondino e altro, Rv. 199071 che ha ritenuto legittima la condanna generica al risarcimento del danno in una fattispecie di abuso di ufficio per consentire un’attività di deposito di rifiuti in situazione contraria a quella prevista dalla legge a tutela della incolumità e sanità pubblica, pur non avendo i giudici di merito indicato in base a quali elementi avessero ritenuto raggiunta la prova dei pretesi danni e dell’entità degli stessi).

    1. Tali principi derivano dalle significative differenze intercorrenti tra l’azione civile introdotta nel processo penale e l’azione civile esercitata in sede civile: la prima, infatti, segue le regole stabilite per il processo penale anche sotto il profilo probatorio.
    2. Va poi ricordato che l’art. 539 cod. proc. pen. prevede che il giudice, in caso di condanna penale con conseguente responsabilità agli effetti civili, se le prove acquisite non consentono la liquidazione del danno, si deve limitare ad una condanna generica rimettendo le parti davanti al giudice civile per la sua determinazione.
    3. Trova quindi applicazione la regula juris, mutuabile dalla giurisprudenza formatasi in sede civile, secondo la quale la pronuncia di condanna generica risarcitoria contenuta nella sentenza penale, pur presupponendo che il giudice abbia riconosciuto il relativo diritto alla costituita parte civile, non esige e non comporta alcuna indagine in ordine alla concreta esistenza di un danno risarcibile, richiedendosi soltanto l’accertamento della potenziale capacità lesiva del fatto dannoso e dell’esistenza – desumibile anche presuntivamente, con criterio di semplice probabilità – di un nesso di causalità tra questo ed il pregiudizio lamentato (il quale, per quanto specificamente interessa in questa sede può anche essere di natura esclusivamente non patrimoniale) (Sez. 5^ 23.4.2013 n. 45118, Di Fatta ed altri, Rv. 257551)
    4. Rimane, ovviamente, impregiudicato l’accertamento affidato al giudice civile della liquidazione e dell’entità del danno, salva restando, in tale sede, la possibilità di esclusione della esistenza stessa di un danno collegato eziologicamente all’evento illecito: con la conseguenza che ogni ulteriore affermazione contenuta nella motivazione della sentenza penale inerente alla concreta sussistenza ed all’entità del danno non può assumere dignità di giudicato e non esonera il danneggiato dall’onere della prova della esistenza del nesso di causalità tra l’evento ed il danno in sede di giudizio civile di liquidazione del “quantum“. (Cass. civ. Sez. 3^, 13.11.2009 n. 24030 Rv. 609978; idem 26.2.1998 n. 2127, Rv. 513087).
    5. Sicchè può anche convenirsi con la difesa dei ricorrente laddove si afferma la necessità che sia il danneggiato a provare il danno ed il nesso di causalità, ma non è affatto richiesto che tale prova venga fornita nella sede penale in cui il giudice penale àncora la statuizione risarcitoria alla affermazione della penale responsabilità dell’autore del reato.
  1. Ulteriore censura viene sollevata dalla difesa in riferimento alla violazione del principio “nemo potest venire contra factum proprium” da parte della Corte di Appello nella parte in cui ha indicato quale parte civile meritevole di statuizione risarcitoria la F.I.G.C.: con il settimo motivo rilevano i ricorrenti la circostanza che essendo la Federazione preposta, attraverso i propri organi ispettivi ed investigativi (l’ufficio Indagini – rectius Procura Federale), al controllo dell’attività dei propri organi (in particolare, per quanto qui di interesse, l’A.I.A.) ed a garantire il rispetto delle norme federali statutarie e disciplinari, non è ipotizzabile che la stessa Federazione si avvalga della propria inefficienza ed incapacità di tutelare il regolare svolgimento dei campionati “per speculare sulle conseguenze negative delle proprie inadempienze a carico società sue affiliate”, come ha affermato la Corte territoriale.
    1. Il richiamo al brocardo latino “nemo potest venire contra factum proprium” (di reminiscenza romana e largamente applicato nella giurisprudenza tedesca, molto meno in quella italiana) nel caso in esame non appare pertinente.
    2. Indipendentemente dal rilievo che la F.I.G.C., una volta presa contezza dei comportamenti illeciti commessi da appartenenti a propri organi (i designatori arbitrali e gli arbitri) e da soggetti in posizione apicale interni alla propria organizzazione statutaria, ha immediatamente promosso le conseguenziali azioni volte a reprimere le condotte illecite poste in essere ai propri danni, non può affermarsi che la F.I.G.C. sia incorsa in un comportamento inosservante del dovere di coerenza e dunque, in violazione delle regole di correttezza e buona fede che debbono informare il comportamento degli enti (principio del quale il brocardo sopra menzionato costituisce una sorta di “sotto principio”).
    3. Sarebbe paradossale una sua applicazione alla Federazione Calcio che, oltre ad assicurare (o almeno cercare di farlo) con gli strumenti a propria disposizione, la regolarità dei campionati e la correttezza dei comportamenti dei propri organi, nel caso di specie si è vista clamorosamente tradita in modo del tutto inaspettato e solo a causa del contegno infido di alcuni tra i suoi più quotati rappresentanti che avrebbero dovuto invece agire per la tutela degli interessi istituzionali dell’Ente. Ne è prova l’inizio di una azione disciplinare diffusa e assai rigorosa che ha portato, in tale sede, a condanne esemplari nei confronti non solo dei tesserati ma delle società a cui favore i tesserati avevano operato in modo illecito per garantire loro vantaggi in classifica.
    4. Così come una traccia della correttezza dell’operato della F.I.G.C. e della necessità di un ristoro dei danni subiti ad opera dei propri affiliati la si rinviene implicitamente nella prospettazione del quarto motivo del ricorso proposto da SANTIS Massimo là dove egli riferisce di una condanna al risarcimento dei danni nei confronti della Federazione Italiana Giuoco Calcio inflittagli dalla Corte dei Conti Regione Lazio.
    5. Non si vede proprio quale possa essere il comportamento contraddittorio segnalato dalla difesa, posto che la F.I.G.C. non è certo rimasta inerte rispetto ai gravissimi illeciti commessi al suo interno da soggetti nei quali veniva riposta la massima fiducia.
    6. Né a giustificazione di tale tesi può essere citata la circostanza del commissariamento della F.I.G.C. da parte del CONI con la delibera del 16 maggio 2006, posto che tale delibera è stata la logica conseguenza di una presa d’atto dell’inefficienza, non già della Federazione nel suo complesso, ma dei suoi organi (o almeno di alcuni di essi) tra i più rappresentativi: inefficienza della quale ne ha fatto le spese proprio la Federazione.
    7. Non solo, ma va ulteriormente osservato che molte delle società coinvolte in quest’illecito e diffuso sistema di accaparramento di vantaggi attraverso il ricorso a metodi penalmente illeciti, sono state chiamate a risponderne in ambito sportivo a titolo di

responsabilità diretta (per effetto del coinvolgimento di propri organi aventi rappresentanza legale) e non di certo oggettiva o presunta.

    1. Ne consegue che, in modo del tutto corretto, la Corte territoriale ha indicato anche la

F.I.G.C. come parte avente diritto al risarcimento in quanto lesa da quelle azioni. Il sistema messo in opera dal MOGGI con la complicità di altri accoliti e la successiva consapevole adesione di altri tesserati (per quanto qui rileva i DELLA VALLE ed il MENCUCCI) a tale metodo è stato estremamente sofisticato e scoperto solo grazie ad indagini penali che hanno poi dato luogo alle azioni disciplinari interne, sicchè nessuna inerzia colpevole o comportamento incoerente e contraddittorio può essere ravvisato nella Federazione Sportiva che ha subito attivato i propri organi ispettivi ed investigativi agendo in simbiosi con lo Stato

    1. Conclusivamente i ricorsi di DELLA VALLE Andrea, DELLA VALLE Diego e MENCUCCI Sandro vanno rigettati.

E11) MOGGI Luciano

76 Il ricorrente, protagonista principe indiscusso del presente processo ed ideatore di un sistema illecito di condizionamento delle gare del campionato 2004-2005 (e non solo di esse) che prende il suo nome, è chiamato a rispondere del delitto associativo nella ipotesi disciplinata dal comma 1° dell’art. 416 cod. pen. e di numerosi episodi di frode in competizione sportiva meglio enunciati nei capi B), F), G), M), O), Q), Z), A5) e A10) (episodio per il quale è stato assolto e per il quale è stata proposta impugnazione dalla parte civile ATALANTA BERGAMASCA CALCIO).

  1. Prima di passare alla trattazione delle singole imputazioni e delle motivazioni al riguardo redatte dalla Corte territoriale, occorre occuparsi di una serie di questioni preliminari che formano oggetto di specifici motivi: si tratta, in particolare, dei primi cinque motivi.
  2. Con il primo di essi viene, in particolare, denunciata l’inosservanza della legge processuale (art. 521 cod. proc. pen.) e l’omessa motivazione per avere la Corte distrettuale, da un lato, confermato la condanna nei riguardi dell’imputato per fatti non compresi della originaria contestazione relativa al capo A) (delitto associativo), in quanto, rispetto ad una originaria ipotesi accusatoria che vedeva il MOGGI partecipe di una associazione volta a favorire con programmate condotte penalmente illecite la squadra della JUVENTUS di cui lo stesso MOGGI era direttore generale, l’imputato sarebbe stato poi condannato per fatti finalizzati a salvaguardare propri interessi personali legati anche al mercato dei calciatori. Si denuncia, altresì, nell’ambito dello stesso motivo, il vizio di motivazione per avere la Corte territoriale omesso di rispondere alle censure sollevate su tali specifici punti nell’atto di appello o, comunque, per avere dato risposta manifestamente illogica alle dette censure.
    1. La censura è destituita di fondamento in quanto la condanna per il reato di cui al capo A) è conseguita ad una valutazione ad ampio raggio, coerente con il capo di imputazione estremamente articolato in cui non solo erano contestate le variegate condotte poste in essere dal MOGGI in favore della società di appartenenza (la JUVENTUS), ma anche altre condotte finalizzate a far ottenere al MOGGI vantaggi personali in termini di accrescimento del potere (già in sé davvero ragguardevole senza alcuna apparente giustificazione, posto che il MOGGI era il Direttore Generale della JUVENTUS ma, rispetto agli organi di vertice della F.I.G.C. e di alcuni organismi in seno ad essa come l’A.I.A. e la C.A.N.) non era certamente abilitato a svolgere compiti istituzionali). Più che di potere si deve parlare, come sostanzialmente riconosce la Corte territoriale, di uno strapotere esteso anche agli ambienti giornalistici ed a i media televisivi che lo osannavano come una vera e propria autorità assoluta, tanto che da suoi giudizi potevano dipendere le sorti di questo o quel giocatore e, come la Corte territoriale ha accertato, di questo o quel direttore di gara con tutte le conseguenze che ne potevano derivare per le società calcistiche di volta in volta interessate. E’ anche da escludere, contrariamente a quanto asserito dalla difesa del ricorrente, che la dedotta violazione dell’art. 521 cod. proc, pen. deriverebbe da una affermazione di responsabilità incentrata sugli interessi personali del MOGGI in riferimento alla società GEA WORLD s.p.a. della quale egli era legale rappresentante. Ciò è tanto vero che, in sede di rigetto della richiesta di risarcimento del danno da parte di alcuni Parti civili costituite verso la JUVENTUS spa quale responsabile civile, si è ritenuto che, alla luce dell’esito dibattimentale, gli interessi sottesi all’associazione a delinquere di cui al capo A) ed ai reati-scopo in contestazione esulassero da quello esclusivo per la società di cui il Moggi era Direttore sportivo ma fossero comprensivi anche di quelli a carattere personale.
    2. Sicchè non è ravvisabile alcuna violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza nei termini denunciati dal ricorrente, essendo stato egli condannato in relazione ad una eterogenea gamma di condotte penalmente illecite esattamente corrispondenti a quelle contestategli nel capo di imputazione.
  3. Quanto al secondo motivo con il quale si deduce la violazione del divieto del bis in idem per avere la Corte distrettuale confermato la condanna del MOGGI per il delitto associativo come contestato al capo A), nonostante lo stesso MOGGI, per i medesimi fatti (commessi, oltretutto, in un arco temporale più esteso – anno 2006 – rispetto a quello indicato in calce al capo di imputazione sub A), fosse stato giudicato e prosciolto con sentenza del Tribunale di Roma dell’8.1.2009, divenuta irrevocabile, ancora una volta si tratta di censura priva di reale fondamento.
    1. Si tratta di doglianza già formulata con l’atto di appello e valutata in termini giuridicamente corretti dalla Corte territoriale la quale, nel fare riferimento alla norma processuale (art. 649 cod. proc. pen.) indicata dalla difesa, ha ribadito il concetto che l’efficacia di giudicato sostanziale di una precedente decisione, se impedisce di sottoporre

l’imputato ad un nuovo giudizio, implica però che oggetto del “nuovo giudizio” non celebrabile sia il “medesimo fatto” in senso giuridico.

    1. Come è noto, infatti, il divieto del bis in idem postula che di identità del fatto può parlarsi soltanto quando questo si realizza nelle medesime condizioni di tempo, di luogo e di persone. Con la conseguenza che “costituisce fatto diverso quello che, pur violando la stessa norma ed integrando gli estremi del medesimo reato, sia un’ulteriore estrinsecazione dell’attività del soggetto agente, diversa e distinta nello spazio e nel tempo da quella posta in essere in precedenza ed accertata con sentenza definitiva”. (Sez. 2^ 4.12.2013 n. 292, Coccorullo, Rv. 257992; conformi Sez. 5^ 7.3.2014 n. 32352, Tanzi ed altri, Rv. 261937; idem 30.10.2014 n. 52215, P.G. in proc. Carbognani, Rv. 261364 in cui si fa riferimento non solo alla identità delle circostanze di tempo, luogo e persona, ma anche degli elementi costitutivi del reato in termini di condotta, evento e nesso causale).
    2. Correttamente la Corte distrettuale ha rilevato che la decisione oggi impugnata non era basata sulla esistenza e sulla struttura societaria della Gea World Spa, di cui il Moggi è stato parte attiva. Il giudizio espresso dalla Corte di Appello di Roma a conferma della sentenza del Tribunale, in termini di insussistenza della associazione per delinquere basata sulla struttura della GEA World Spa, non assume rispetto al processo in esame le caratteristiche richieste dall’art. 649 cod. proc. pen. non foss’altro perché l’ipotizzata associazione criminosa legata alla società commerciale era finalizzata “ad incidere in maniera determinante sul mercato calcistico” (espressione desunta dal testo delle imputazioni della sentenza acquisita in atti, come ricordato dalla Corte di Appello) e, dunque, avente altra e diversa finalità rispetto a quella indicate nelle imputazioni per cui in questa sede vi è processo.
    3. Non solo, ma la Corte di Appello di Napoli ha chiarito che, anche a voler ritenere esistenti collegamenti fra le imputazioni contestate nell’ambito di quel processo e quella relativa la capo A) contestata nel processo oggi in esame, il concetto giuridico di “identità del fatto”, rilevante ai fini dell’operatività del principio del “ne bis in idem“, non sussiste con riguardo ad uno stesso reato permanente contestato in relazione a periodi diversi, anche se parzialmente sovrapposti, poiché in tal caso il fatto, pur essendo naturalisticamente unico, risulta giuridicamente scomponibile in due fatti diversi in considerazione delle diverse circostanze di tempo (v. oltre a Sez 2^ n. 12.7. 2011 n. 33838 citata dalla Corte di Napoli, Sez. 2^ 10.12.2013 n. 1405, Cento ed altri, Rv. 259642).
  1. Per quanto attiene al terzo motivo afferente alla violazione delle regole in materia di competenza territoriale va fatto integrale richiamo a quanto già osservato in altra parte della presente sentenza, ribadendosi, ancora una volta, la correttezza della decisione resa sul punto dalla Corte di Appello.
    1. Altrettanto è a dirsi con riferimento alla presunta violazione delle regole processuali in tema di rogatoria internazionale relativa alla acquisizione delle schede svizzere, ribadendosi

la non necessità di attivare la invocata (da parte della difesa) procedura di rogatoria internazionale con lo Stato elvetico.

    1. Con l’atto di appello la difesa aveva eccepito l’inutilizzabilità delle schede in parola in quanto, sulla base di quanto riferito dal teste di P.G. M.llo NARDONE relativamente alle modalità di acquisizione di tali schede, esse sarebbero state acquistate in Chiasso (CH) in assenza di alcuna rogatoria e senza che le Autorità svizzere avessero trasmesso spontaneamente alcun documento. Da qui la conseguente inutilizzabilità dei dati raccolti attraverso quelle indagini e quelle acquisizioni documentali, con asserita violazione del diritto di difesa.
    2. Orbene, come già osservato in altra parte della presente sentenza, in riferimento alle schede straniere ed ai tabulati dimostrativi della effettiva utilizzazione delle schede medesime, va chiarito che il ricorso alla rogatoria internazionale e’ imposto solo nel caso in cui l’attività investigativa sia diretta a percepire il contenuto di comunicazioni o conversazioni che transitino unicamente su territorio straniero: nel caso in esame l’acquisizione dei tabulati in sede di indagini preliminari non ha violato alcuna norma del trattato italo-svizzero né tantomeno era necessario il ricorso alla rogatoria internazionale sulla base del detto trattato poiché i tabulati riproducono il traffico telefonico avvenuto unicamente in territorio italiano. Peraltro la materiale acquisizione delle schede svizzere è avvenuta, come ricorda la Corte di merito, quando il soggetto che le aveva vendute ad un emissario della JUVENTUS presentatosi a nome del MOGGI aveva già riferito ai Carabinieri di Cernobbio (Como) l’avvenuta vendita presso il proprio esercizio commerciale sito in Chiasso, indicando sia il numero delle singole schede più volte consegnate sia la fittizia intestazione delle prime schede svizzere al padre DE CILLIS ed al fratello.
  1. Per quanto, infine, riguarda il quinto motivo, con il quale viene denunciata altra violazione di norme processuali in riferimento alla inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche per effetto di una attività di ascolto in impianti diversi da quelli della Procura della Repubblica e correlato difetto di motivazione per manifesta illogicità, si fa ancora una volta espresso richiamo a quanto in proposito osservato in altra parte della presente sentenza.
  2. Il sesto motivo ed il settimo motivo, esaminabili congiuntamente stante la stretta connessione e comunanza di argomenti che li caratterizzano, attengono al merito della vicenda ed in particolare alla statuizione di conferma per il delitto associativo nella ipotesi delineata dal comma 1° dell’art. 416 cod. pen, censurata sotto il triplice motivo della insufficienza e manifesta illogicità della motivazione e del travisamento della prova.
    1. Si è precedentemente osservato che l’associazione per delinquere finalizzata alla commissione di frodi sportive era ampiamente strutturata e capillarmente diffusa nel territorio con la piena consapevolezza per i singoli partecipi, anche in posizioni di vertice (come il MOGGI

o il PAIRETTO o il MAZZINI), di agire in vista del condizionamento degli arbitri attraverso la formazione delle griglie considerate quale primo segmento di una condotta fraudolenta.

    1. Tale impostazione che risente, ovviamente, della particolare natura del reato di frode in competizione sportiva come delineato dalla seconda parte dell’art. 1 comma 1° della L. 401/89 e che è stata aspramente contestata dalla maggior parte dei ricorrenti, consente di inquadrare razionalmente il ruolo del MOGGI all’interno di tale sodalizio.
    2. La decisione resa dalla Corte di merito è sul punto non solo rispettosa dei dettami della logica dei principi dell’ordinamento, ma assolutamente esemplare nella misura in cui pone in risalto la poliedrica capacità del MOGGI di insinuarsi, sine titulo, nei gangli vitali dell’organizzazione calcistica ufficiale (F.I.G.C. e organi in essa inseriti quali l’A.I.A.). Viene così correttamente descritta, senza enfatizzazioni o aporie logiche, la incontroversa abilità di penetrazione e di condizionamento dei soggetti che si interfacciavano con l’imputato.
    3. La figura apicale del MOGGI quale promotore del sodalizio, (correttamente distinta da quella, pur essa verticistica, ma di livello diverso, del PAIRETTO o del MAZZINI indicati come organizzatori) emerge a chiare lettere dagli atti del processo: è, infatti il MOGGI, come riferito da PAPARESTA Gianluca, primo ricettore di una delle schede estere, a riferire che era stato l’imputato ad ideare quel sistema di comunicazione impenetrabile e riservato (per vero ammesso dallo stesso MOGGI anche se con giustificazione diversa, ma del tutto implausibile perché smentita dai risultati delle indagini successive) per comunicare con arbitri ed altri tesserati.
    4. Tanto basterebbe già a riconoscere la patente di ideatore del sistema che rende ancor meglio il concetto di promotore il quale, giuridicamente, è colui che ,da solo con altri, si faccia iniziatore della “societas sceleris“. (così Sez. 6^ 16.1.1991 n. 403, Marin ed altri, Rv. 186226)
    5. Come rettamente osservato dal giudice di appello, il MOGGI oltre ad inventare il sistema ha anche creato i presupposti per far sì di acquisire progressivamente e senza la benchè minima legittimazione una influenza (definita abnorme dalla Corte distrettuale) in ambito federale. Vengono a tale proposito descritte le capacità del MOGGI di intessere una molteplicità di rapporti a vario livello con i designatori arbitrali fuori dalle sedi istituzionali.
    6. Così come viene descritta la sua posizione dominante (emersa, come ricorda a più riprese la Corte di Napoli, dalle numerose conversazioni intercettate) che lo portava ad imporre le proprie decisioni, opinioni e valutazioni su persone e situazioni; la sua non comune capacità di condizionare i sistemi di informazione televisivi e la stampa, attratti così nell’orbita associativa.
    7. Vengono menzionate, a riprova di questa inusitata ed volte persino irruenta, forza di penetrazione in ambito federale, le sue “incursioni” negli spogliatoi al termine delle gare (emblematici gli episodi PAPARESTA e FARNETI ricordati dalla Corte territoriale) in occasione

delle quali il MOGGI non lesinava giudizi aspramente negativi sull’operato dei direttori di gara. Vero è che, secondo quanto riferito da altro imputato (DE SANTIS Massimo), all’epoca dei fatti vi era una circolare della Lega professionisti (circolare n. 7 per l’anno 2004/05) che consentiva l’accesso dei dirigenti di società di calcio negli spogliatoi: ma è innegabile che un simile potere di visita aveva quale presupposto solo un sentimento di cortesia e rispetto verso la terna arbitrale che non può essere confuso con quel potere di interlocuzione aggressiva e minacciosa, frutto soltanto di un esercizio smodato del potere.

    1. Ed, ancora, vengono qualificate come espressione dello strapotere del MOGGI nel condizionamento del settore arbitrale per piegarlo agli interessi a favore della JUVENTUS (e persino di altre società nel suo giro come il MESSINA) le riunioni tra il MOGGI ed il GIRAUDO (separatamente giudicato), da una parte, e dei designatori arbitrali (BERGAMO e PAIRETTO) dall’altra: indicate eufemisticamente come “conviviali” (quasi a sottolinearne il carattere “familiare” ed ufficiale in coincidenza con determinate ricorrenze d calendario o con determinati eventi importanti – la Corte ha anche parlato di presenza delle consorti di alcuni dei protagonisti di quelle riunioni e di scambi di doni in occasione di eventi meritevoli di essere ricordati), tali riunioni di conviviale non avevano proprio nulla se non, come rimarca la Corte, il concorde proposito, abilmente organizzato, di incidere sulla sorte delle gare attraverso la formazione delle griglie.
    2. Di sistema illecito nel mondo del calcio, ideato e diretto dal MOGGI parlano – come afferma la Corte distrettuale – altri soggetti come il teste de relato Monti che – come ricorda la Corte distrettuale – ha riferito di notizie in questo senso apprese da FACCHETTI Giacinto, Vice Presidente dell’INTER, peraltro poi confermate direttamente dal figlio Gianfelice.
    3. Così come una eclatante manifestazione del potere verticistico del MOGGI è stata ravvisata nel suo potere di controllo su soggetti dirigenti di squadre blasonate ma fuori dal cd. “giro MOGGI”, esercitato con una non comune vis actractiva capace di piegare alle sue condizioni soggetti a lui inizialmente non vicini attraverso la mediazione di personaggi influenti in ambito federale (la Corte distrettuale menziona il caso del dirigente della FIORENTINA DELLA VALLE Diego e degli interventi moderatori del MAZZINI).
    4. Si tratta di un ulteriore elemento valorizzato, a ragione, dalla Corte territoriale per confermare la responsabilità del MOGGI per il reato associativo: è infatti il MOGGI a prospettare – attraverso il MAZZINI – la possibilità ai DELLA VALLE (ed al MENCUCCI consigliere delegato della FIORENTINA ed alter ego del DELLA VALLE) di accostarsi al sistema da lui escogitato ed evitare così alla FIORENTINA lo smacco di una amara retrocessione, vista la posizione precaria della classifica. Di tale operazione si è diffusamente parlato in altra parte della sentenza a proposito dell’esame della posizione del MAZZINI i cui rapporti con il MOGGI erano particolarmente intensi e rispecchiavano una forma di alleanza a protezione di un determinato gruppo di potere rispetto al contropotere rappresentato da chi (i DELLA VALLE tra tutti) premeva per un cambio al vertice della Presidenza Federale in favore di ABETE Giancarlo.

La Corte di Appello si è diffusamente intrattenuta sull’argomento con dovizia di particolari e senza incongruità logiche di alcun genere, sicchè la censura sollevata in riferimento a tale tema è priva di fondamento .

    1. La responsabilità del MOGGI per il reato associativo ed il ruolo in essa ricoperto emergono in maniera ancora più evidente – come correttamente sottolineato dalla Corte di merito – dalla sua partecipazione ad alcuni episodi di frode sportiva nei quali è risultato essere direttamente coinvolto (segnatamente dagli episodi di cui ai capi Z, A5 e A10) che, a giudizio del Collegio finiscono con il rafforzare il compendio probatorio a suo carico. Può quindi concludersi per l’insussistenza dei vizi denunciati.
  1. Anche l’ottavo ed il nono motivo possono essere trattati unitariamente: gli stessi hanno per oggetto i reati di frode sportiva in ordine ai quali si sostiene da parte del ricorrente l’inosservanza della legge processuale penale e il correlato vizio di motivazione, per avere la Corte di merito confermato la responsabilità del MOGGI – salvo poi a dichiarare l’estinzione dei reati per prescrizione – pur in presenza di contestazioni generiche (vizio già dedotto nel corso del processo di primo grado e riprospettato in appello) e per avere detta Corte omesso di dare risposta alle specifiche censure difensive, oltretutto inquadrando, erroneamente, la condotta sotto il paradigma del delitto di attentato; ancora il vizio di inosservanza e/o falsa applicazione della norma processuale penale (art. 521 cod. proc. pen.) e correlato difetto assoluto di motivazione in relazione alle fattispecie delittuose contestate ai capi B), F) ed A5), avendo la Corte valutato in modo erroneo e dissonante rispetto allo schema normativo astratto di riferimento (art. 1 della L. 401/89) le asserite condotte di alterazione delle gare.
    1. Tali censure risultano solo in parte fondate, limitatamente alle imputazioni sub B), M) ed F) per come si vedrà a breve e per come è stato già osservato in occasione dell’esame delle posizioni dei ricorrenti BERTINI (capo M) e DATTILO (capo B).
    2. Va anzitutto precisato che la Corte territoriale in relazione alla proposizione dell’appello di alcune parti civili (BRESCIA, BOLOGNA, ATALANTA BERGAMASCA CALCIO) ha correttamente applicato il disposto di cui all’art. 578 cod. proc. pen. non limitandosi a dichiarare la prescrizione per la intervenuta maturazione del termine, ma soffermandosi su ciascuno dei numerosissimi episodi di frode sportiva contestati al MOGGI e descrivendone, per ciascuno di essi, il ruolo ed il grado di coinvolgimento.
    3. In particolare gli episodi di frode sportiva dichiarati poi estinti per intervenuta prescrizione sono quelli meglio indicati ai capi B), F), G), I), M), O), Q), Z) e A5).
  2. Per quanto riguarda le imputazioni di frode sportiva di cui ai capi B) ed M) che vedono protagonisti oltre al MOGGI, rispettivamente il DATTILO (capo B) e il BERTINI (capo M), vanno ribadite in questa sede le conclusioni adottate da questo Collegio di annullamento della sentenza senza rinvio perché il fatto non sussiste: gli elementi valutati per il proscioglimento dei detti imputati sono speculari rispetto a quelli riguardanti il MOGGI.
    1. Per ciò che concerne, in particolare, l’imputazione sub B), dirimente appare la mancanza della prova decisiva, ossia quella riguardante i contatti febbrili tra le due schede riservate in possesso di MOGGI e DATTILO, non mancando di considerare che è risultato in termini di certezza che il DATTILO acquisì la scheda riservata diversi mesi dopo la partita incriminata: con la conseguenza che le conversazioni intercorse tra i soggetti coinvolti, peraltro a partita già avvenuta (il riferimento è alla telefonata intercorsa tra MOGGI e GIRAUDO e a quella intercorsa tra MOGGI e BALDAS), non rivelano segni inequivoci di operazioni fraudolente, apparendo il significato di tali conversazioni neutro ed inidoneo a provare l’esistenza di operazioni penalmente illecite.
  3. Conclusioni di identico tenore valgono con riguardo all’imputazione di cui al capo M), in quanto, una volta chiarita l’assenza di prova dei contatti in prossimità della partita tra schede riservate in possesso del MOGGI e del BERTINI, l’interessamento del primo presso il conduttore televisivo BISCARDI Aldo di non censurare la condotta arbitrale del BERTINI non può ritenersi, all’evidenza, prova di pregresse operazioni fraudolente. Stante, però, la pronunciata prescrizione si profila impossibile rimettere al giudice del merito la rivalutazione dei fatti in sede penale. Sotto tale profilo è fondata in parte qua la censura formulata in seno al decimo motivo, con il quale viene dedotta l’inosservanza dell’art. 129 cod. proc. pen. in quanto, risultando evidenti le prove della insussistenza dei fatti, il giudice di merito avrebbe dovuto prosciogliere immediatamente nel merito l’imputato e non dichiarare l’improcedibilità per prescrizione: è noto infatti che in caso di evidenza della prova in ordine alla insussistenza del fatto o alla sua attribuibilità all’imputato, la formula di proscioglimento nel merito prevale sulla meno favorevole formula di cui all’art. 531 cod. proc. pen. in relazione all’art. 157 cod. pen.
    1. La sentenza impugnata – relativamente ai capi B) ed M) va, pertanto, annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste con conseguente revoca delle relative statuizioni civili.
  4. Diversa la soluzione processuale in riferimento alla imputazione di cui al capo F).
    1. La motivazione resa sul punto dalla Corte territoriale appare caratterizzata da un evidente travisamento di prova: la partita “incriminata” è JUVENTUS-LAZIO del 5 dicembre 2004, vinta dalla Juventus per 2 a 1.
    2. Come già in precedenza osservato, la ritenuta responsabilità del MOGGI si fonda essenzialmente su una sua asserita intromissione nella operazione di formazione e delle griglie arbitrali che fa leva anche su una conversazione telefonica intercorsa il 21 settembre tra il designatore PAIRETTO e l’arbitro designato DONDARINI. La distanza temporale tra tale telefonata (21 settembre 2004) e la data della partita incriminata (5 dicembre 2004) rende non plausibile la tesi dell’Accusa secondo la quale la telefonata in questione andava riferita all’arbitraggio, di molto successivo a detta telefonata.
    3. Quanto all’altro dato riguardante l’interessamento del MOGGI alla composizione della griglia arbitrale, per dimostrarne la sussistenza sarebbe necessaria una rinnovata valutazione

in fatto da parte del giudice del merito in modo da poter verificare se effettivamente l’arbitro definitivamente sorteggiato fosse stato contattato ovvero se tutti gli arbitri fatti inserire nella griglia fossero coinvolti nella compagine associativa, posto che è incompatibile la designazione in termini di probabilità di un arbitro connivente in quanto “amico” con un a operazione fraudolenta volta all’alterazione del risultato.

    1. La conclusione logica sarebbe dunque quella di un annullamento con rinvio precluso, però, dalla intervenuta e dichiarata prescrizione che stavolta prevale sul proscioglimento nel merito non essendo evidente la prova della insussistenza del fatto in riferimento al MOGGI. Va, però disposto l’annullamento delle relative statuizioni civili.
  1. Rimangono allora da esaminare le imputazioni di cui ai capi G), O), Z), ed A5) per le quali la Corte di merito ha dichiarato l’improcedibilità per intervenuta prescrizione, confermando però le statuizioni civili dopo aver esaminato e ribadito i profili di responsabilità del MOGGI in ordine ai detti reati.
    1. Il giudizio espresso dalla Corte va condiviso in quanto privo di illogicità manifeste e nient’affatto caratterizzato dal dedotto travisamento delle prove.
    2. Ciò vale con sicurezza per quanto riguarda l’imputazione di cui al capo A5), richiamandosi in tal senso le considerazioni già svolte a proposito dei ricorrenti DELLA VALLE A. DELLA VALLE D., MENCUCCI e MAZZINI, apparendo sufficiente in questa sede ribadire l’interessamento del MOGGI, mediato attraverso l’amico MAZZINI Innocenzo Vice Presidente della F.I.G.C., per un ammorbidimento dell’atteggiamento di ostracismo manifestato verso i dirigenti della società viola: interessamento non di maniera, ma fattivo tanto da intervenire presso il designatore BERGAMO per venire incontro ai “desiderata” del DELLA VALLE Diego che premeva per l’assegnazione di un arbitro “amico”.
    3. Per ciò che concerne l’imputazione sub G) l’incontro incriminato è FIORENTINA – BOLOGNA del 5.12.2004 arbitrata dal DE SANTIS Massimo (arbitro giudicato “vicino” al MOGGI) terminata con il punteggio di 1-0 in favore della squadra viola; la condotta fraudolenta, oltre ad essersi concretizzata, come ricorda la Corte distrettuale, nella formazione delle griglie in modo da inserirvi l’arbitro DE SANTIS è connotata da una ulteriore attività fraudolenta individuata dalla Corte di merito nell’adozione di ammonizioni mirate verso giocatori già diffidati in modo d indebolire il BOLOGNA e favorire così la JUVENTUS impegnata contro la squadra felsinea nella gara successiva. La Corte di Napoli enuclea numerose conversazioni che vedono protagonista il MOGGI (come la telefonata n. 8790 del 3.12.2004 sull’utenza in uso al Moggi in cui quest’ultimo esprime il proprio intento – citando esplicitamente la partita in questione – di avere necessariamente bisogno delle ammonizioni mirate per l’incontro successivo della JUVENTUS in relazione, poi, alle corrispondenti partite che avrebbero affrontato le dirette avversarie come la squadra del MILAN; la telefonata n. 5738 del 5.12.2004 su utenza in uso al MOGGI, in cui l’ex arbitro e commentatore televisivo

BALDAS Fabio conversando con il MOGGI, riferisce che il DE SANTIS “ ha fatto il delitto perfetto”, avendo ammonito i tre difensori del BOLOGNA già diffidati e dunque squalificati per un turno di gara).

    1. La decisione della Corte dunque si presenta immune da vizi di illogicità né può affermarsi che la prova sia stata travisata, apparendo poi le censure del ricorrente sostanzialmente rivolte ad una lettura alternativa della vicenda non consentita in sede di legittimità.
  1. Corretta e logica si presenta anche la motivazione per quanto riguarda l’imputazione di cui al capo I) che vede al centro dell’interesse la partita BOLOGNA – JUVENTUS del 12 dicembre 2004 vinta dal Juventus per 1 a 0 ed arbitrata da PIERI Tiziano (imputato poi assolto sia dall’imputazione di associazione per delinquere di cui al capo A) che dalle imputazioni di frode sportiva di cui ai capi D), I) ed A8) nell’ambito del procedimento definito con il rito abbreviato).
    1. Sono, ancora una volta, i ripetuti contatti sia prima che dopo la gara, anche a tarda notte, tra il MOGGI e l’arbitro (contatti poi riscontrati da una conversazione tra il designatore BERGAMO e la segretaria dell’AIA FAZI Maria Grazia) ad avere indotto la Corte di merito a ritenere provata la responsabilità del MOGGI individuato anche come l’autore dell’interessamento in favore dell’arbitro perché venisse espresso un giudizio tecnico favorevole sul suo conto attraverso la trasmissione sportiva specializzata “Il Processo del lunedì” condotta dal giornalista BISCARDI Aldo. In tal senso la Corte territoriale ha menzionato alcune conversazioni significative tra le quali una tra il MOGGI ed il commentatore televisivo ed ex arbitro BALDAS Fabio ed altra tra lo stesso BALDAS e il designatore PAIRETTO Pierluigi in cui il primo chiarisce al secondo la tecnica di applicazione della moviola per evitare di far risaltare i gravi errori commessi dall’arbitro in quella partita, a favore della JUVENTUS ed anche sottolineato i risultati negativi dell’osservatore LUCI Luciano sul conto dell’arbitro qualificati come ulteriormente dimostrativi dell’interesse del MOGGI verso il PIERI al momento della formazione delle griglie e dopo, per consentire al PIERI di proseguire senza intoppi la sua carriera arbitrale in vista del raggiungimento di ulteriori e più prestigiosi traguardi.
    2. La motivazione della Corte, sotto tale profilo si presenta immune da censure soprattutto per quanto riguarda la logicità del ragionamento, basato sul comune denominatore (valido anche per gli altri arbitri designati) di una designazione pilotata integrata da giudizi favorevoli in contrasto con una pluralità di elementi negativi che testimoniano il diretto interesse del MOGGI a condizionare l’operato degli arbitri impegnati in gare disputate dalla JUVENTUS a cui favore il MOGGI agiva con la complicità dei designatori arbitrali.
    3. Le censure mosse dalla difesa del ricorrente, oltre che caratterizzate da genericità nella misura in cui ripropongono argomenti già adeguatamente valutati dalla Corte di appello, in ogni caso non apportano alcun elemento di novità tale da scalfire la logicità del

ragionamento della Corte territoriale, sicchè i motivi addotti in riferimento a tale imputazione sono infondati.

  1. Le imputazioni sub O) e Z) possono essere trattate congiuntamente attenendo ai medesimi soggetti coinvolti (MOGGI e RACALBUTO).
    1. La Corte territoriale, anche in questo caso, ha valorizzato due elementi di significato univoco quali il possesso della scheda estera da parte del RACALBUTO ed i contatti frequenti intercorsi per via telefonica – senza però che ne siano stati conosciuti i contenuti a causa delle schede utilizzate – tra il MOGGI e il RACALBUTO sia dopo la designazione, sia a ridosso delle due gare interessate (CAGLIARI – JUVENTUS del 16 gennaio 2005 terminata con il punteggio di 1-1 e ROMA-JUVENTUS del 5.3.2005 terminata con il punteggio di 2-1 a favore della JUVENTUS). Oltre a tale dato anomalo, vengono giudicati sintomatici della responsabilità del MOGGI – per quanto rileva in questa sede – le sue coperture in favore dell’arbitro attraverso la trasmissione sportiva “Il Processo del Lunedì” onde assicuragli, grazie all’intervento del commentatore BALDAS, la carriera futura. Il collaudato sistema della formazione delle griglie per inserire arbitri “vicini” al MOGGI o da attrarre nella sua orbita in modo da garantire risultati favorevoli alla JUVENTUS, viene quindi ritenuto dalla Corte l’elemento qualificante della condotta fraudolenta che, in riferimento alle dette partite, vedrà – come si osserverà in prosieguo – confermata anche la responsabilità del RACALBUTO per le medesime imputazioni.
    2. Anche in questo caso, a fronte di un ragionamento svolto dalla Corte in maniera corretta e logica, la difesa del MOGGI ripropone temi già ampiamente sottoposti alla valutazione del giudice di appello, di guisa che, oltre a profilarsi generici, i motivi di ricorso risultano infondati in quanto non contenenti elementi di novità tali da intaccare il giudizio espresso dalla Corte di merito.
    3. Con riferimento alla imputazione di cui al capo Q) (gara JUVENTUS-UDINESE del 13 febbraio 2005 terminata con il punteggio di 2-1 a favore della JUVENTUS), la Corte territoriale ha posto in risalto quale primo elemento di sicura rilevanza penale i contatti tra il MOGGI ed il designatore PAIRETTO finalizzati alla formazione delle griglie e all’assegnazione della gara all’arbitro DE SANTIS Massimo: emerge, secondo il condivisibile giudizio espresso dalla Corte di Napoli, non solo l’interessamento del MOGGI attraverso i ripetuti contatti con i designatori, anche mediante le schede straniere pochi giorni prima della gara, affinchè venisse designato un arbitro a lui vicino (nel caso in esame il DE SANTIS), ma un atteggiamento di vero e proprio autoritarismo di tipo impositivo finalizzato a creare attorno a sé arbitri da potere controllare a piacimento in vista dell’ottenimento di vantaggi reciproci sia per il MOGGI (in termini di vantaggi in classifica per la JUVENTUS), sia per l’arbitro (in termini di carriera futura), sia per gli stessi designatori al fine di mantenere inalterato il loro potere in seno alla F.I.G.C. e dunque l’equilibrio del sistema.
    4. Sono proprio quei contatti indebiti e ripetuti tra il MOGGI, il PAIRETTO e il BERGAMO a ridosso della gara (i contatti risalgono in prevalenza a quattro-cinque giorni prima della partita) ed i commenti successivi espressi, more solito, nel corso della più volte ricordata trasmissione televisiva dal commentatore BALDAS sul conto dell’arbitro a costituire l’essenza del reato di frode sportiva: il ragionamento della Corte territoriale, al riguardo, si presenta scevro da illogicità manifeste e si basa su una ricostruzione giuridica della fattispecie di frode sportiva, contestata dalla difesa sul piano della configurabilità e dunque della inosservanza della legge penale, ma condivisa dal Collegio sulla base delle considerazione generali svolte a proposito di tale specifica figura di reato.
    5. Le censure sollevate non contengono elementi di novità tali da incrinare il ragionamento della Corte di merito, sicchè la conferma della statuizione di condanna a carico del MOGGI è ampiamente giustificata sia sul piano della logicità intrinseca che sul piano della ortodossia giuridica in riferimento alla qualificazione della fattispecie.
    6. Rimane da esaminare il capo di imputazione sub A10) per il quale il MOGGI era stato assolto in entrambi i gradi di giudizio e per il quale, tuttavia, era stato proposto appello ai soli effetti civili dalle parti civili BOLOGNA F.C. 1909 s.p.a.; BRESCIA CALCIO s.p.a; ATALANTA BERGAMASCA CALCIO s.p.a.
  2. La Corte di merito nell’esaminare la posizione del MOGGI a proposito di tale episodio non ha effettivamente preso posizione nei suoi confronti confermando invece le statuizioni di condanna per i coimputati DELLA VALLE Andrea, DELLA VALLE Diego, MENCUCCI Sandro, DE STANTIS Massimo e MAZZINI Innocenzo, sicchè in questa sede non può che farsi richiamo a quanto argomentato con riferimento ai detti imputati stante la sostanziale identità di posizione del MOGGI rispetto a costoro.
  3. Con il decimo motivo la difesa lamenta la inosservanza della legge processuale penale sub art. 129 cod. proc. sotto un duplice profilo: a) evidenza della prova della insussistenza del reato di frode in competizione sportiva per inconfigurabilità della fattispecie ed erroneo inquadramento di essa da parte della Corte territoriale nella ipotesi di delitto di attentato a consumazione anticipata; b) evidenza della prova della insussistenza del fatto in relazione alla decisione assunta dal giudice sportivo in sede disciplinare di proscioglimento dall’accusa di illecito sportivo ex art. 6 del C.G.S., in tutto sovrapponibile all’ipotesi delittuosa contemplata dall’art. 1 comma 1° seconda parte della L. 409/81.
    1. La censura – certamente assai articolata – non è comunque fondata – se non – come si è avuto modo di chiarire – limitatamente alle due condotte di frode sportiva sub B) ed M) e solo con riferimento al primo dei due profili prospettati dalla difesa.
    2. Con riguardo alle rimanenti condotte ed in riferimento a questo primo profilo, la decisione della Corte territoriale è coerente con il presupposto dalla quale è partita, secondo cui il delitto di frode in competizione sportiva si atteggia come delitto a forma libera di pura

condotta a consumazione anticipata: inquadrati in tale contesto, i singoli episodi di frode sportiva sono insuscettibili di una decisione immediata di proscioglimento legata alla peculiare natura giuridica della fattispecie, sicchè sotto tale aspetto il Collegio non può che fare richiamo a quanto già osservato a proposito del reato di cui all’art. 1 comma 1 della L. 401/89 ed al suo accostamento alla figura giuridica del delitto di attentato. Il che non toglie che al giudice era (ed è) riservato il potere-dovere di procedere ad un proscioglimento immediato nel merito laddove gli elementi probatori in atti potevano consentire di pervenire ictu oculi ad una decisione di insussistenza del fatto o di non attribuibilità di esso all’imputato, basata sulla valutazione dei dati probatori: fatto che – come si è visto in precedenza – si era già verificato in grado di appello per alcune imputazioni (per le quali è stata confermata la pronuncia assolutoria nel merito in primo grado) e che in questa sede si è verificato soltanto in riferimento alle imputazioni sub B) ed M).

  1. Diversi, invece, gli argomenti da sviluppare con riguardo al secondo tema introdotto dalla difesa, vale a dire il rapporto tra decisione sportiva e decisione penale, sul presupposto – inesatto per come si vedrà di qui a breve – di una sovrapponibilità delle due fattispecie rispettivamente esaminate dal giudice sportivo nella sede disciplinare e dal giudice penale nella sede propria.
    1. In sintesi la tesi difensiva è la seguente: stante il parallellismo tra la fattispecie di illecito sportivo come enunciata dall’art. 6 comma 1 del Codice di giustizia sportiva e la figura delittuosa di cui all’art. 1 comma 1 della L. 401/89, il giudice penale, nel valutare la fattispecie concreta sottoposta al suo esame, avente identico oggetto rispetto all’omologa figura delineata dall’ordinamento sportivo, deve usare quale parametro di riferimento per la valutazione della fattispecie i criteri tecnici propri dell’ordinamento sportivo, alla luce delle regole sportive.
    2. Corollario di tale impostazione il fatto che il principio di lealtà e correttezza delle competizioni sportive non trova specifica collocazione in norme (penali o civili) dell’ordinamento statuale e non è nemmeno tutelato costituzionalmente: peraltro, posto che la tutela del principio è riconosciuta statutariamente dal CONI (art. 2) e dalle Federazioni ad esso affiliate, questa va assicurata non per tutte le competizioni, ma soltanto per quelle che si disputano sotto l’egida delle singole Federazioni interessate.
    3. La difesa afferma ancora, del tutto correttamente, l’autonomia dell’ordinamento sportivo rispetto a quello ordinario, riscontrata da indici normativi (art. 2 della L. 280/03 che affidano agli organi della giustizia sportiva, in termini di esclusività, le decisioni di tipo tecnico e disciplinare ed al giudice ordinario quelle attinenti a diritti soggettivi ed interessi legittimi) e dalla stessa Corte Costituzionale (viene richiamata al riguardo la sentenza n. 49 dell’11 febbraio 2011 che ha indicato le linee di confine tra posizioni tutelabili in sede sportiva secondo i canoni di valutazione propri della giustizia “domestica” di settore e posizioni tutelabili dinnanzi al giudice statale, ribadendo l’autonomia tra i due ordinamenti).
    4. In forza di tali premesse la difesa richiama i contenuti degli artt. 1 comma 1 e 6 comma 1 del codice di giustizia sportiva, riguardanti, rispettivamente, i doveri generali del singolo tesserato il cui mancato rispetto ai principi di lealtà, correttezza e probità implica l’assoggettamento ad una sanzione specifica (prevista dall’art. 14 del Cod. Giustizia Sportiva diversamente modulata secondo la gravità della violazione e della condotta) e l’illecito sportivo (la cui commissione implica per gli autori del fatto l’assoggettamento ad una sanzione specifica prevista dal comma 5 dello stesso art. 6).
    5. Prosegue la difesa sottolineando che l’esegesi della norma sportiva di riferimento (art. 6 CGS citato) conduce ad una simmetria tra la fattispecie penale contemplata dal legislatore ordinario e quella contemplata dall’ordinamento sportivo il cui comune denominatore è rappresentato dal “compimento di atti diretti ad alterare lo svolgimento o il risultato di una gara”, simmetria dalla quale deriverebbe – in caso di svolgimento di giudizi paralleli in ambito disciplinare sportivo e penale – l’osservanza da parte del giudice statale degli esiti del giudizio disciplinare (caratterizzato, rispetto a quello penale, da tempi rapidi contingentati): con la ulteriore conseguenza che, in caso di proscioglimento del tesserato dall’addebito disciplinare di illecito sportivo ex art. 6 comma 1 CGS, tale decisione, in quanto fondata su parametri legati alle regole tecniche proprie dell’ordinamento sportivo che dovrebbero informare il giudice penale nel processo di valutazione dello stesso fatto, dovrebbe refluire inevitabilmente sull’esito del giudizio penale, con conseguente applicabilità in sede propria dell’art.129 cod. proc. pen. nella specie non osservato dalla Corte distrettuale in nome della dichiarata autonomia dell’ordinamento penale rispetto a quello sportivo.
    6. In concreto la difesa ricorda che il MOGGI, sottoposto al giudizio disciplinare per violazione dell’art. 1 comma 1 CGS e dell’art. 6 comma 1 stesso codice per quanto riguarda le singole alterazioni dei risultati delle gare oggetto di specifica contestazione anche in sede penale, è stato prosciolto dall’addebito più grave, riportando la sanzione della preclusione soltanto per la violazione delle norme deontologiche di lealtà, correttezza e probità indicate nell’art. 1 comma 1 CGS.
    7. La motivazione della Corte di merito, in quanto dissonante irragionevolmente dalla decisione sportiva che ne costituiva l’antecedente logico, viene quindi censurata sotto il duplice profilo della inosservanza della legge processuale penale (art. 129 cod. proc. pen.) e della manifesta illogicità.
    8. Tale tesi non può essere condivisa.
    9. Va subito chiarito che le formule contenute nell’art. 1 comma 1°, seconda parte, della

L. 401/89 e nell’art. 6 comma 1 del CGS impediscono di ritenere sussistente l’asserita perfetta sovrapponibilità tra le due norme: sovrapponibilità, nel caso di specie, esclusa per una ragione ulteriore derivante dal diverso e meno esteso materiale di prova acquisito nel processo disciplinare peraltro temporalmente sfalsato rispetto al procedimento penale.

    1. In aggiunta a tale assorbente considerazione, che trova la sua spiegazione nella cogente necessità del giudice sportivo di definire il giudizio disciplinare in tempi rapidissimi (il giudizio è stato definito davanti agli organi di giustizia federali il 27.10.2008, mentre il corrispondente giudizio ordinario di appello si è concluso il 18 dicembre 2013), non può nemmeno condividersi l’affermazione della difesa secondo la quale il giudice sportivo sarebbe stato più garantista rispetto a quello penale nella qualificazione della fattispecie, laddove ha ritenuto di confinare gli atti diretti ad alterare le gare nella categoria degli atti preparatori non punibili, sia- come già accennato – per l’incompletezza del complesso probatorio a disposizione del giudice sportivo, sia per il diverso parametro di valutazione seguito dal giudice penale rispetto a quello sportivo, ispirato, come ovvio, a regole proprie del diritto penale.
    2. Né potrebbe valere, come pure adombrato dalla difesa del ricorrente in altra parte del ricorso, il richiamo al decreto di archiviazione emesso dal G.I.P. del Tribunale di Torino in data in conformità alla richiesta di archiviazione formulata dal Procuratore della Repubblica presso quel Tribunale: i contenuti del decreto di archiviazione del G.I.P. torinese (attinenti a fatti temporalmente diversi – stagione sportiva 2003-2004) rientrano, infatti, nel novero di una interpretazione, pur se autorevole, non condivisa dalla Corte di Appello di Napoli anche in relazione alla diversità del materiale probatorio acquisito nel presente processo. Le considerazioni svolte in proposito da questo Collegio smentiscono quindi l’impostazione seguita da altra autorità giudiziaria, oltretutto maturata in un contesto diverso e che ha poi dato origine al conflitto di competenza risoltosi a favore della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli.
    3. Conclusivamente rileva il Collegio che stante la autonomia dei due ordinamenti e la diversità dei metri di valutazione adoperabili, rispettivamente, dal giudice sportivo e da quello penale, è corretta ed immune da vizi logici la decisione della Corte territoriale di uniformarsi a regole di valutazione proprie del diritto penale; così come, a maggior ragione, è logica la decisione di non pronunciare una sentenza immediata di proscioglimento sol perché il giudice sportivo aveva ritenuto di escludere gli addebiti disciplinari contestati ai sensi dell’art. 6 comma 1 del CGS, avendo la Corte esaminato il tema alla luce di un più ampio e diverso materiale probatorio.
    4. Senza dire poi che non è per nulla condivisibile l’affermazione della difesa secondo la quale il principio di lealtà e correttezza delle competizioni sportive non troverebbe specifica collocazione in norme (penali o civili) dell’ordinamento statuale: basta leggere la relazione al progetto di legge poi sfociato nella legge 401/89 per rendersi conto di quale fosse l’oggetto della tutela penale, oggetto, peraltro, confermato anche in progetti di legge successivi ancorchè non esitati in legge e, in ogni caso, ribadito in numerosi arresti giurisprudenziali (Sez. 3^, 25.2.2010 n. 12562, Preziosi e altri, Rv. 246595; Sez. 2^ 29.3.2007 n. 21324,

P.G. in proc. Giraudo, Rv. 237030).

  1. L’undicesimo motivo del ricorso attiene all’asserita inosservanza della norma processuale penale (art. 74 cod. proc. pen.) in punto di statuizioni civili risarcitorie confermate, sia pure parzialmente, dalla Corte territoriale sulla base di due presupposti rappresentati dalla accertata influenza delle condotte del MOGGI sulla regolarità del campionato di calcio 2004- 2005 e dalla prova del danno asseritamente subito dalle parti civili (in particolare F.I.G.C. e Ministero dell’Economia e Finanze).
    1. La censura non è fondata per le seguenti ragioni: la Corte di merito ha riconosciuto con giudizio incensurabile, perché privo di incongruità logiche, la sussistenza di una serie di condotte fraudolente da parte di determinati soggetti (per quanto qui rileva, il MOGGI) rivolte all’alterazione di alcune gare del campionato di calcio 2004-2005 attraverso il sistema della formazione delle griglie arbitrali di cui si è ampiamente trattato in altra parte della presente sentenza. E la decisione della Corte abbraccia anche la condotta associativa della quale il MOGGI è stato ritenuto colpevole sulla base delle considerazioni precedentemente esposte e condivise da questo Collegio.
    2. Detto questo, e passando all’argomento della inosservanza di legge processuale penale (art. 74 cod. proc. pen.) in relazione alle statuizioni risarcitorie pronunciate dalla Corte territoriale nei confronti delle costituite parti civili Ministero dell’Economia e Finanze AA.MM.SS.; Ministero per le Politiche Giovanili e F.I.G.C., ritenute illegittime per la mancata prova circa la sussistenza di un danno risarcibile, va fatto richiamo a quanto già osservato in sede di esame delle posizioni dei ricorrenti DELLA VALLE Andrea, DELLA VALLE Diego, MENCUCCI Sandro e A.C. FIORENTINA quale responsabile civile.
    3. Richiamate, in particolare, le condivisibili considerazioni della Corte di Appello sul tema specifico della natura giuridica del delitto di cui all’art. 1 della L. 401/89 e sulla individuazione del bene giuridico tutelato, nonché sul concetto di bene giuridico “ultraindividuale” cui è correlata la salvaguardia degli interessi patrimoniali (oltre che degli scommettitori e delle società che gestiscono le scommesse) dei soggetti deputati a gestire l’organizzazione e la programmazione delle manifestazioni sportive sul territorio nazionale, va ribadito in questa sede che correttamente le tre parti civili sono state riconosciute dalla Corte di Appello meritevoli di tutela risarcitoria, quale ristoro dei danni subiti in riferimento al grave pregiudizio alla loro immagine suscettibile di una valutazione non patrimoniale.
    4. E’ dunque priva di fondamento la censura della difesa nella parte in cui si sostiene l’inammissibilità di una condanna generica al risarcimento dei danni in carenza della prova circa gli elementi costitutivi dell’illecito così come va ritenuta infondata la tesi secondo la quale l’assenza – che non sarebbe stata colta dal giudice di appello – del nesso eziologico tra le condotte penalmente illecite ed il danno subito dalle singole parti osta alla condanna generica al risarcimento del danno.
    5. Come ha più volte ribadito la giurisprudenza di questa Suprema Corte “Ai fini della pronuncia di condanna generica al risarcimento dei danni in favore della parte civile non è necessario che il danneggiato provi la effettiva sussistenza dei danni ed il nesso di causalità tra questi e l’azione dell’autore dell’illecito, essendo sufficiente l’accertamento di un fatto potenzialmente produttivo di conseguenze dannose: la suddetta pronuncia infatti costituisce una mera “declaratoria juris” da cui esula ogni accertamento relativo sia alla misura sia alla stessa esistenza del danno, il quale è rimesso al giudice della liquidazione” (Sez. 6^ 26.4.1994 n. 9266 cit.).
    6. Tale regola mutuabile dalla giurisprudenza formatasi in sede civile (Sez. 3^ Civ. 8.11.1994 n. 9261, Rv. 488433) risulta riaffermata in altra decisione (già citata) secondo la quale la pronuncia di condanna generica risarcitoria contenuta nella sentenza penale non esige e non comporta alcuna indagine in ordine alla concreta esistenza di un danno risarcibile, richiedendosi soltanto l’accertamento della potenziale capacità lesiva del fatto dannoso e dell’esistenza – desumibile anche presuntivamente, con criterio di semplice probabilità – di un nesso di causalità tra questo ed il pregiudizio lamentato (il quale, per quanto specificamente interessa in questa sede può anche essere di natura esclusivamente non patrimoniale) (Sez. 5^ 23.4.2013 n. 45118, Di Fatta ed altri, Rv. 257551).
    7. Va, peraltro, ribadito che l’istituto della condanna generica al risarcimento del danno enunciata dall’art. 539 cod. proc. pen. trova applicazione in tutti quei casi nei quali le prove acquisite non consentono la liquidazione del danno: ciò, ovviamente obbliga il giudice civile chiamato a pronunciarsi sul risarcimento ad accertare l’entità del danno e determinarne l’ammontare liquidabile, salva restando, però la possibilità di esclusione della esistenza stessa di un danno collegato eziologicamente all’evento illecito: con la conseguenza che ogni ulteriore affermazione contenuta nella motivazione della sentenza penale inerente alla concreta sussistenza ed all’entità del danno non può assumere dignità di giudicato e non esonera il danneggiato dall’onere della prova della esistenza del nesso di causalità tra l’evento ed il danno in sede di giudizio civile di liquidazione del “quantum“. (Cass. civ. Sez. 3^ n. 24030/09 cit. Rv. 609978; idem 26.2.1998 n. 2127, Rv. 513087).
    8. La censura sollevata dal ricorrente è, pertanto, infondata in quanto la Corte di merito, in assenza di elementi atti ad individuare il danno patrimoniale risarcibile in relazione all’affermazione secondo la quale non sarebbe emersa la concreta alterazione dei dati del campionato di calcio 2004-2005 (così pag. 195 della sentenza impugnata), ha comunque individuato un danno non patrimoniale costituito dal pregiudizio all’immagine.
    9. Tale conclusione – riferita comunque alle parti civili cd. pubbliche ed istituzionali – non appare né illogica né giuridicamente inesatta, posto che la premessa dalla quale è partita è costituita dall’offesa al bene giuridico ultraindividuale di cui si è precedentemente detto, sicchè l’infelice espressione di “danno in re ipsa” usata dalla Corte va intesa come affermazione impropria.
    10. In ogni caso, però, va ribadito il concetto che in sede civile la prova del danno dovrà essere offerta dal soggetto leso, mentre in sede penale tale prova ed il rapporto di causalità, stante la statuizione risarcitoria in forma generica, non sono ancorati ad una preventiva dimostrazione in forza dell’orientamento giurisprudenziale sopra indicato.
  2. L’ultimo motivo prospettato dalla difesa attiene alla inosservanza della legge processuale penale (art. 268 comma 7 cod. proc. pen.) in relazione al contenuto dell’ordinanza pronunciata dalla Corte il 15 ottobre 2013 con la quale è stata rigettata la richiesta di ascolto in aula di alcune intercettazioni telefoniche, ritenendosi vulnerato il principio del contraddittorio nella misura in cui la Corte territoriale, nel respingere la richiesta difensiva, si è riservata di procedere all’eventuale ascolto di quelle conversazioni in camera dio consiglio.
    1. Anche tale censura non è fondata.
    2. E’ principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte Suprema quello secondo il quale “Il giudice (nella specie la Corte di appello) ha il potere di procedere all’ascolto diretto delle registrazioni delle conversazioni telefoniche intercettate, benché disponga agli atti della relativa trascrizione, senza che questa modalità di apprezzamento della prova documentale debba svolgersi nel contraddittorio”. (Sez. 2^ 19.12.2008, Di Lodovico, Rv. 242805; v. anche Sez. 1^ 24.4.2013 n. 22062, Rodà ed altro, Rv. 256080).
    3. E’ stato anche chiarito in più occasioni che è sempre consentito al giudice di procedere in camera di consiglio all’ascolto delle bobine (e, più generalmente, del supporto, analogico o digitale, recante la registrazione delle intercettazioni, debitamente acquisite e trascritte), pur a fronte di un provvedimento di rigetto dell’istanza della difesa avente ad oggetto la richiesta di ascolto in contraddittorio ed in pubblica udienza.
    4. Come correttamente evidenziato dalla Corte distrettuale nell’ordinanza censurata dal ricorrente, è da escludere che l’ascolto in aula delle conversazioni possa rientrare nel novero delle attività istruttorie dibattimentali, ovvero costituisca una ipotesi di parziale rinnovazione dell’istruzione (ed infatti la Corte territoriale ha escluso che si fosse in presenza di una ipotesi disciplinata dall’art. 603 cod. proc. pen.), in quanto l’ascolto delle registrazioni si colloca su un piano diverso rispetto a quello della vera e propria istruzione probatoria del giudizio, cioè della ammissione, della formazione e della assunzione della prova. Si tratta, infatti, di registrazioni di intercettazioni già acquisite al processo con l’osservanza delle forme e delle garanzie stabilite, con la conseguenza che la sede propria per ascoltarle è proprio la camera di consiglio, senza che la scelta compiuta dal giudice incida sulle garanzie del contraddittorio, assicurate, invece, a suo tempo proprio dal processo di acquisizione di quelle conversazioni e delle relative trascrizioni
    5. Ne consegue che l’operazione di ascolto delle registrazioni delle intercettazioni, così come avviene per la consultazione delle trascrizioni delle registrazioni foniche o per la visione di riprese audiovisive e, più in generale, per ogni “apprensione sensoriale di ogni altra prova

già assunta”. (così testualmente Sez. 1^ 22062/13 cit.) attiene alla sfera del concreto accesso del giudice alla prova che costituisce il tipico patrimonio cognitivo del giudizio.

    1. Ritiene il Collegio di aderire a questa impostazione che rende condivisibile e nient’affatto inosservante di norme giuridiche (il comma 7 dell’art. 268 codice di rito, e men che meno il successivo comma 8) la decisione assunta dalla Corte di merito, la quale, oltre ad uniformarsi ai detti canoni interpretativi, ha evidenziato come già le trascrizioni delle conversazioni il cui ascolto era stato sollecitato fossero a disposizione delle parti.
    2. Né può ipotizzarsi una lesione del diritto alla prova nei confronti dell’imputato, posto che l’accesso alla prova era stato assicurato dalla presenza delle trascrizioni, mentre l’ascolto diretto rientrava nel metodo di selezione della valutazione delle prove che appartiene al patrimonio esclusivo del giudice.
    3. Il relativo motivo va, conseguentemente, ritenuto infondato.
    4. Sulla base di tali considerazioni il ricorso del MOGGI, non manifestamente infondato, va rigettato – ferma restando la sua responsabilità ai soli fini civili – in riferimento ai reati di cui ai capi G), I), O), Q), Z) ed A5) per il quali è stata dichiarata la improcedibilità per maturata prescrizione, rimanendo salvi gli effetti civili in relazione alla accertata responsabilità dell’imputato così come per il capo A 10).
    5. Quanto, poi, al capo A), l’elemento tempo – come mestamente segnalato dal Procuratore generale all’inizio della sua requisitoria – determina l’annullamento della sentenza senza rinvio per prescrizione del reato maturata in data 11 marzo 2014 (per effetto della ricordata sospensione della prescrizione per giorni undici in grado di appello), successivamente, quindi alla pronuncia della sentenza di secondo grado.
    6. Valgono, in proposito, le considerazioni già espresse a proposito del MAZZINI ribadendosi il principio di diritto ripetutamente elaborato dalla giurisprudenza di questa Corte Suprema secondo il quale in caso di maturazione del termine prescrizionale dopo la sentenza di appello, in tanto è possibile provvedere alla declaratoria di estinzione del reato in quanto il ricorso non risulti manifestamente infondato: è, infatti, solo l’inammissibilità del ricorso dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi, a precludere la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen., non potendosi considerare formato un valido rapporto di impugnazione (Sez. 2^ 8.5.2013 n. 28848, Ciaffoni, Rv. 256463; Sez. 4^ 20.1.2004 n. 18641, Tricomi, Rv. 228349; S.U. 22.11.2000 n. 32, De Luca, Rv. 217266).

RESPONSABILE CIVILE A.C. FIORENTINA s.p.a.

  1. Con riferimento al ricorso proposto dal Responsabile civile A.C. FIORENTINA s.p.a., il Collegio osserva quanto segue, premettendo, in via generale, che i motivi del ricorso sono sostanzialmente comuni a quelli dei ricorsi proposti nell’interesse di DELLA VALLE Andrea, DELLA VALLE Diego e MENCUCCI Sandro.
    1. Con il primo motivo la difesa lamenta in relazione ai reati sub A5) e A10) ascritti a DELLA VALLE Diego, DELLA VALLE Andrea e MENCUCCI Sandro per i quali è stata dichiarata l’estinzione per prescrizione dei reati con contestuale conferma delle statuizioni civili a loro carico, la inosservanza della legge processuale per violazione dell’art. 129 cod. proc. pen. Si lamenta, in particolare, l’inosservanza ed erronea applicazione della norme penali processuali (artt. 129 comma 2 e 578 cod. proc. pen.) per avere il giudice di appello valutato superficialmente le risultanze probatorie, inquadrando erroneamente le fattispecie delittuose.
    2. La censura non è fondata, richiamandosi al riguardo quanto già rilevato dal Collegio in ordine al corretto inquadramento della fattispecie di frode in competizione sportiva effettuato dalla Corte di merito. Peraltro non è condivisibile la censura di superficialità ed approssimazione con la quale la difesa ritiene che tale operazione di verifica della esatta natura del reato di frode sportiva sia stata compiuta dalla Corte in modo raffazzonato, rilevandosi, di contro, che le argomentazioni della Corte territoriale sono state particolarmente puntuali ed approfondite sul punto.
  2. Con il secondo motivo viene denunciata la violazione di legge relativamente agli artt. 190 e 495 comma 1, 603 cod. proc. pen. per avere la Corte di merito omesso di effettuare una valutazione preventiva della richiesta di rinnovazione dibattimentale nel contraddittorio con le parti, avendo riservato la decisione su tale richiesta alla pronuncia definitiva e non con ordinanza dibattimentale.
    1. Anche questo motivo è infondato per le medesime ragioni già esposte in occasione dell’esame dei ricorsi proposti nell’interesse di DELLA VALLE Andrea, DELLA VALLE Diego e MENCUCCI Sandro.
  3. Infondato, del pari, il terzo motivo con il quale viene dedotta l’inosservanza ed erronea applicazione della legge penale (art. 1 della L. 401/89) e degli artt. 43, 49 comma 2°, 56, 115 commi 1° e 3° cod. pen.), in quanto la Corte territoriale, discostandosi dalle argomentazioni svolte dal Tribunale, ha erroneamente inquadrato la fattispecie della frode sportiva non già nella ipotesi di reato di condotta caratterizzato dalla commissione di atti fraudolenti (oltretutto insussistenti), ma nella ipotesi di reato di attentato con anticipazione della soglia di punibilità ai

c.d. “atti preparatori” costituiti dai contatti tra dirigenti di società e vertici federali e/o arbitrali, ex sé penalmente irrilevanti.

  1. Come è parimenti infondato, per le stesse ragioni a suo tempo esposte in occasione dell’esame dei ricorsi DELLA VALLE e MENCUCCI, il motivo con il quale viene dedotto il vizio di motivazione nel suo triplice aspetto di contraddittorietà, manifesta illogicità e travisamento

della prova, per avere la Corte valutato in modo irragionevole i contatti tra i dirigenti della FIORENTINA e i vertici della F.I.G.C. e dell’A.I.A. Si osserva come già in precedenza evidenziato che tali rapporti sono stati dalla Corte di Napoli giudicati – a ragione – anomali, nonostante la difesa li abbia prospettati come finalizzati ad ottenere un risultato lecito, ovverossia una attenzione da parte degli arbitri verso la FIORENTINA tartassata nel corso del campionato da ripetute decisioni arbitrali ritenute ingiuste, che ne avevano pregiudicato la posizione in classifica. Si è in precedenza rilevato come tale prospettazione collida con i contenuti delle conversazioni intercettate nei riguardi del MAZZINI.

    1. Anche l’ulteriore censura di omessa valutazione dell’elemento soggettivo del reato non ha alcun serio fondamento avendo la Corte di merito chiarito quale fosse, in realtà il vero intento dei DELLA VALLE e del MENCUCCI di piegarsi al cd. sistema MOGGI su consiglio del MAZZINI e dunque la consapevolezza che tali avvicinamenti dovessero preludere ad una manipolazione delle gare in cui sarebbe stata impegnata la FIORENTINA o di gare che in qualche modo avrebbero potuto avere refluenze positive per la sua classifica grazie alla designazione di arbitri amici orbitanti nel giro di MOGGI Luciano (come l’arbitro DE SANTIS). Nell’ambito del detto motivo viene anche dedotto il difetto assoluto di motivazione in ordine alla individuazione delle condotte specifiche attribuite ai ricorrenti sia con riferimento ai detti incontri di calcio che all’incontro di calcio LECCE-PARMA del 29 maggio 2005 disputatosi in contemporanea con l’incontro FIORENTINA-BRESCIA, vinto dalla squadra viola, sia con riferimento ai contatti intercorsi tra i ricorrenti DELLA VALLE Diego, DELLA VALLE Andrea e MENCUCCI Sandro e i vertici federali e dell’AIA, comunque avvenuto dopo la disputa di uno dei due incontri (CHIEVO-FIORENTINA, vionto dalla squadra viola con il punteggio di 1-0).
  1. Con il quarto motivo viene lamentata la inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 2043 cod. civ., 40 e 41 cod. pen. per avere la Corte distrettuale erroneamente ritenuto la sussistenza di un illecito civile senza alcuna motivazione in ordine agli elementi costitutivi di tale illecito ed in particolare, in ordine al nesso di causalità tra le condotte degli imputati DELLA VALLE e MENCUCCI e il danno arrecato alle parti civili risarcite. Il motivo è infondato in quanto la Corte di Napoli ha adeguatamente spiegato – come già precisato in occasione dell’esame dei ricorsi DELLA VALLE e MENCUCCI il nesso eziologico tra le condotte fraudolente ed il danno subito dalle parti civili costituite.
  2. Con il quinto motivo, collegato al precedente, si lamenta l’inosservanza degli artt. 2056 e 2059 cod. civ. per avere, oltretutto immotivamente, la Corte distrettuale ritenuto – limitatamente alle parti civili F.I.G.C. e Ministero dell’Economia e Finanze – la sussistenza di un danno non patrimoniale risarcibile, ancora una volta, omettendo di motivare in ordine al nesso eziologico tra le condotte degli imputati e l’evento danno. Il motivo è infondato richiamandosi, al riguardo quanto già osservato in tema di non necessità per la parte civile che assume di essere stata danneggiata di fornire nell’ambito del processo penale la prova del danno in caso di condanna generica al risarcimento disposta dal giudice penale.
  3. L’ultimo motivo, dedicato alla inosservanza delle disposizioni civilistiche di cui all’art. 1175 cod. civ. in relazione all’art. 360 n. 3), 4) e 5) cod. proc. civ. per avere il giudice distrettuale mancato di osservare il divieto per la F.I.G.C. di richiedere il risarcimento per fatti illeciti che la stessa Federazione avrebbe dovuto istituzionalmente prevenire e reprimere, così incorrendo nel divieto del principio nemo potest contra factum proprium venire, fissato dall’art. 1175 cod. civ. (cd. regola dell’autoresponsabilità), non è fondato richiamandosi, al riguardo, le osservazioni svolte in precedenza in sede di esame dei ricorsi DELLA VALLE e MENCUCCI.

LE PARTI CIVILI

  1. Come premessa di ordine generale osserva il Collegio che le questioni che formano oggetto dei ricorsi delle parti civili possono essere trattate per gruppi omogenei in relazione alla identità di alcuni temi prospettati.
    1. Si tratta di questioni che specificamente attengono alla revoca delle statuizioni risarcitorie nei confronti di alcune parti civili (in particolare la Federconsumatori Campania, il Brescia Calcio Spa, la Curatela Fallimento Vittoria 2000 Srl, il Bologna Football Club 1909 Spa, l’Atalanta Bergamasca Calcio Spa e l’U.S. Lecce Spa.
    2. Prima di affrontare tale tema che per la comunanza di argomenti consente la trattazione unitaria dei ricorsi proposti dalle dette parti civili Brescia Calcio Spa, Bologna Football Club 1909 Spa; Curatela Fallimento Vittoria 2000 s.r.l.; Atalanta Bergamasca Calcio Spa e U.S. Lecce Spa), occorre far cenno di un’altra questione – pur essa avente caratteristiche comuni quanto alla parte argomentativa – riguardante la pronuncia di due distinte ordinanze da parte della Corte territoriale dopo la lettura del dispositivo della sentenza emessa in data 18 dicembre 2013: si tratta, in particolare, di un’ordinanza “correttiva” del dispositivo del 20 dicembre 20143 e di altra ordinanza correttiva della precedente, emessa in data 19 marzo 2014.
    3. Orbene tali ordinanze hanno formato oggetto di un separato ed articolato motivo di ricorso proposto, in particolare, dalle parti civili Brescia Calcio Spa, Curatela Fallimento Vittoria 2000 Srl, Bologna Football Club 1909 Spa ed Atalanta Bergamasca Calcio Spa.
    4. Ritiene il Collegio di dover affrontare per prima tale questione in ordine alla quale si ritiene utile riepilogare i momenti storici che hanno caratterizzato tale anomala vicenda e i contenuti delle relative ordinanze pronunciate dalla Corte di merito.
    5. Il punto di partenza è rappresentato Iniziando dal testo del dispositivo letto all’udienza del 17 dicembre 2013, nel quale la Corte territoriale in parziale riforma della sentenza emessa in data 8.11.2011 dal Tribunale di Napoli appellata (anche) dalle Parti civili Federazione Italiana Giuoco Calcio, U.S. Lecce Spa, Brescia Calcio Spa, Curatela Sport

Salernitana Spa, Bologna Football Club 1909 Spa, Curatela Fallimento Victoria 2000 Spa: a) dichiarava inammissibile l’appello proposto dalla curatela del Fallimento Victoria 2000 Spa per difetto di legittimazione; b) condannava in solido – per quanto qui di interesse – gli imputati appellanti BERTINI, DATTILO, DE SANTIS, DELLA VALLE Andrea, DELLA VALLE Diego, FOTI,

LOTITO, Mazzini, Mencucci Moggi, Pairetto e Racalbuto al pagamento delle spese di costituzione in favore delle Parti civili Ministero dell’Economia e delle Finanze-Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato e del Ministero per le Politiche Giovanili e Sportive e FIGC in grado di appello; c) condannava il predetto in solido con il già condannato Titomanlio Stefano al risarcimento del danno in favore della parte civile Fallimento Salernitana Sport Spa, da liquidarsi in separata sede, nonché il solo Mazzei al pagamento delle spese di costituzione sostenute dalla suddetta Parte civile nel primo grado di giudizio, ed i suddetti imputati al pagamento in solido delle ulteriori spese di costituzione della Parte civile Fallimento Salernitana Sport Spa nel secondo grado di giudizio; d) rigettava le richieste delle altre parti civili, con conferma nel resto della sentenza appellata.

    1. L’ordinanza emessa de plano ai sensi dell’art. 130 cod. proc. pen. in data 20 dicembre 2013 disponeva la correzione del dispositivo emesso in data 17.12.2013 con l’aggiunta dopo la frase “rigetta le richieste delle altre parti civili” della ulteriore espressione: “revocando le statuizioni civili di primo grado tranne che per il Ministero dell’Economia e delle Finanze Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato e del Ministero per le Politiche Giovanili e Sportive, la F.I.G.C. e Fallimento Salernitana Sport s.p.a.”.
    2. Tale ordinanza veniva impugnata per ritenuta abnormità.
    3. Due giorni dopo il deposito delle motivazioni della sentenza del 17 dicembre 2013, la Corte territoriale – stavolta con l’osservanza delle disposizioni di cui all’art. 127 cod. proc. pen. – disponeva, ancora una volta, la correzione del dispositivo della sentenza de qua sostituendo la frase “Rigetta le richieste delle altre Parti Civili”, con l’espressione “Revoca le statuizioni delle altre parti civili e rigetta le ulteriori richieste”.
    4. Va anche dato atto che successivamente al deposito di tale ordinanza, la parte civile Curatela Fallimento Victoria 2000 s.r.l. in liquidazione ha avanzato una ulteriore istanza di correzione dell’errore materiale del dispositivo della sentenza nella parte in cui è stato dichiarato inammissibile l’appello proposto dalla Curatela del fallimento Victoria 2000 s.r.l. per difetto di legittimazione a fronte di quanto contenuto nella parte motiva (pag. 199) nella quale era stato chiarito, con riferimento alla parte civile suddetta, “la cui istanza erroneamente è stata indicata come inammissibile attesa invece la sua legittimazione a costituirsi quale socio della società Bologna s.p.a.”.
    5. A tale istanza ha fatto seguito l’impugnazione della sentenza in sede di legittimità il cui primo motivo è, appunto, costituito dal vizio di motivazione per manifesta contraddittorietà tra dispositivo e motivazione.
  1. Riassunta in questi termini la vicenda relativa alle ordinanze pronunciate in due distinte occasioni dalla Corte territoriale dopo la lettura del dispositivo e dopo il deposito della motivazione della sentenza, il Collegio osserva quanto segue.
    1. Per meglio comprendere la portata del provvedimento di revoca parziale delle statuizioni risarcitorie come poi emendato dalla Corte territoriale, va ricordato che con la sentenza del Tribunale – per la parte relativa alle pronunce risarcitorie – gli imputati BERTINI, DATTILO, DE SANTIS, MAZZINI, PAIRETTO e RACALBUTO erano stati condannati al risarcimento danni in favore delle parti civili Ministero dell’Economia e finanze AA.MM.SS.; Ministero per le Politiche Giovanili e sportive; Atalanta Bergamasca Calcio, Bologna Football club (appellante), Fallimento Vittoria (appellante), Federconsumatori Campania, FIGC (appellante), US Lecce (appellante); gli imputati DELLA VALLE Andrea, DELLA VALLE Diego MENCUCCI e MOGGI erano stati condannati al risarcimento danni in favore delle parti civili suddette nonché del Brescia Calcio (appellante); l’imputato LOTITO era stato condannato al risarcimento danni in favore delle parti civili Ministero dell’Economia e delle Finanze- AA.MM.SS., Ministero per le Politiche Giovanili e Sportive, Brescia Calcio (appellante), Atalanta Bergamasca Calcio, Federconsumatori Campania, FIGC (appellante) e infine l’imputato FOTI era stato condannato al risarcimento danni in favore delle parti civili Ministero delle’Economia e delle Finanze-AA.MM.SS., Ministero per le Politiche Giovanili e Sportive, Atalanta Bergamasca Calcio, Federconsumatori Campania, FIGC (appellante).
    2. Le questioni insorte per effetto di tali provvedimenti, il primo dei quali sicuramente censurabile per quanto a breve si dirà, rilevano con riguardo alle posizioni dei ricorrenti DE SANCTIS, DELLA VALLE Andrea, DELLA VALLE Diego, MENCUCCI, FOTI, LOTITO, MAZZINI, MOGGI, PAIRETTO e RECALBUTO, posto che occorre verificare la correttezza anche della motivazione della sentenza nella parte in cui sono state revocate alcune statuizioni risarcitorie non solo in riferimento alle posizioni dei ricorrenti DE SANCTIS, MAZZINI, MOGGI e PAIRETTO, condannati dalla Corte di Appello, ma anche in riferimento alle posizioni degli altri ricorrenti sopra menzionati per i quali vi è stata pronunciata declaratoria di improcedibilità per prescrizione.
    3. Tanto precisato, va detto che la prima delle due ordinanze non è affetta da abnormità come, invece, sostenuto dalle difese delle parti civili BRESCIA Calcio s.p.a.; BOLOGNA FOOTBAL CLUB 1909 s.p.a; FALLIMENTO VICTORIA 2000 s.r.l. ATALANTA BERGAMASCA CALCIO e U.S. LECCE s.p.a., bensì risulta affetta da nullità di ordine generale, come più volte precisato dalla giurisprudenza di questa Suprema Corte che, in caso di mancato rispetto della procedura di cui all’art. 127 cod., proc. pen., per la correzione dell’errore materiale di un provvedimento giurisdizionale, ha affermato che l’adozione “de plano“, senza previa fissazione dell’udienza camerale ex art. 127 cod. proc. pen. e senza preventivo avviso alle parti implica una nullità di ordine generale ex art. 178 cod. proc. pen. (Sez. 3^ 3.12.2008 n. 1460, Sanna, Rv. 242270; Sez. 1^ 9.1.2013 n. 1674, Ioculano, Rv. 254230).
    4. Quanto, poi, al profilo contenutistico del provvedimento di cui sopra la prospettata abnormità non sussiste in relazione a quanto successivamente disposto dalla Corte di merito con la seconda ordinanza emessa nel rispetto della procedura prevista dall’art. 127 cod. proc. pen. nella quale è stato chiaramente precisato che non vi era alcuna difformità tra il dispositivo e la parte motiva come poteva desumersi agevolmente dalla lettura della motivazione della sentenza nella parte relativa alla revoca delle statuizioni civili.
    5. Con riferimento, invece, alla seconda ordinanza, escluso che possa parlarsi di abnormità sia in riferimento alla correttezza della procedura seguita, sia in riferimento all’aspetto contenutistico, può tutt’al più parlarsi di una illegittimità formale priva però di specifiche conseguenze in relazione a quanto si rileverà in appresso.
    6. Ritiene infatti il Collegio assorbente il motivo di ricorso, certamente fondato prospettato dalle parti civili Brescia Calcio Spa, Curatela Fallimento Victoria 2000 Srl, Bologna Football Club 1909 Spa, Atalanta Bergamasca Calcio Spa e U.S. Lecce Spa. relativamente a quella parte della motivazione con la quale è stata disposta la revoca (parziale) delle statuizioni civili nei confronti delle dette parti.
    7. Il ragionamento seguito dalla Corte di merito per pervenire a tali conclusioni può così sintetizzarsi.
    8. Muovendo da due premesse di fondo riguardanti, in particolar modo, la natura giuridica del delitto di associazione per delinquere inteso come delitto contro l’ordine pubblico e del delitto di frode in competizione sportiva, inteso come delitto di attentato a consumazione anticipata il cui bene protetto dalla norma è quello della lealtà e correttezza delle competizioni sportive in generale, di valenza ultraindividuale che abbraccia in sé la diffusività delle lesione del bene che colpisce la collettività nella sua interezza, rappresentata, per quanto qui rileva, da enti a carattere governativo o anche da enti all’uopo delegati alle funzioni di programmazione e gestione del settore sportivo, la Corte ha ritenuto risarcibile il danno patito dal Ministero dell’Economia e delle Finanze AA.MM.SS.; dal Ministero per le Politiche Giovanili e Sportive e dalla F.I.G.C.
    9. Di converso per le altre parti civili ritualmente costituite non essendo emersa la prova del rapporto causale tra la condotta fraudolenta e la perdita della gara da parte del soggetto (squadra) che assumeva di essere stato danneggiato secondo un criterio della causalità materiale (nesso causale che la Corte di merito ha rinvenuto soltanto per l’episodio di cui al capo A7) riguardante la parte civile fallimento SALERNITANA SPORT s.p.a.), la Corte ha ritenuto di escludere una possibilità risarcitoria.
    10. La Corte territoriale ha sottolineato come non fosse emersa la piena prova dell’ avvenuta alterazione del Campionato di calcio 2004-2005 e della retrocessione delle squadre del Brescia dell’Atalanta e del Bologna come conseguenza della supposta ma insussistente

alterazione, non risultando nemmeno alterazioni del risultato finale della partite riguardanti dette compagini

    1. Ha anche escluso che potesse parlarsi di danno patrimoniale – inteso anche come danno da immagine per le società di calcio ovvero come “danno per la propria immagine imprenditoriale” avente valenza patrimoniale – o anche come danno morale non risultando una turbativa della gara il cui risultato non fosse da mettersi in stretta correlazione con l’attività “fraudolenta”.
    2. Ed ha, infine, escluso che potesse versarsi in una ipotesi di danno da perdita di chance per le squadre del Lecce, del Brescia, della Atalanta o del Bologna (le ultime tre retrocesse in serie B al termine del campionato 2004-2005), ravvisabile – secondo le prospettazioni delle parti civili interessate – nel venir meno di una possibilità per tali squadre di non retrocedere nella serie inferiore o di avere una posizione di non bassa classifica in serie A e ciò a causa di altre partite contrassegnate da attività fraudolente, precisando che il concetto di “perdita di chance” in ambito civilistico deve interessare direttamente il soggetto che si sente defraudato di una possibilità di un giudizio (rectius valutazione) imparziale a prescindere dall’esito dello stesso e che dall’esame degli atti non emergeva alcun danno diretto per le squadre di calcio suddette, mancando la prova dell’alterazione del risultato di gara ai loro danni e in ogni caso la prova di una alterazione dell’intero campionato di calcio 2004/2005, prova che non è mai stata individuata dal dibattimento.
  1. Le argomentazioni della Corte territoriale non possono essere condivise non solo e non tanto per le numerose imprecisioni che le caratterizzano (una per tutte, il danno all’immagine qualificato come danno patrimoniale, confondendo la tradizionale distinzione tra il danno patrimoniale, nella duplice accezione di lucro cessante e danno emergente, ed il danno non patrimoniale propriamente detto che abbraccia eterogenee categorie di danno suscettibili di una valutazione economica ma legate a ben altri presupposti individuato nelle tradizionali figure di danno morale, danno biologico e danno esistenziale poi travolte dalla nota sentenza delle S.U. civili n. 26972 dell’11 novembre 2008 e dalla giurisprudenza successiva), quanto per una inesatto inquadramento dell’istituto dell’illecito civile nel processo penale e del correlato aspetto del risarcimento del danno in tale sede.
    1. E’ noto come l’azione civile introdotta nel processo penale possegga una diversa struttura rispetto all’azione civile esercitata in sede civile e segua le regole stabilite per il processo penale.
    2. La giurisprudenza di legittimità, ha affermato il principio secondo cui “ai fini della pronuncia di condanna generica al risarcimento dei danni in favore della P.C. non è necessario che il danneggiato provi la effettiva sussistenza dei danni ed il nesso di causalità tra questi e l’azione dell’autore dell’illecito, essendo sufficiente l’accertamento di un fatto potenzialmente produttivo di conseguenze dannose, costituendo tale pronuncia una mera declaratoria juris

dalla quale esula ogni accertamento relativo sia alla misura sia alla stessa esistenza del danno, il quale è rimesso al giudice della liquidazione” (oltre alla giurisprudenza già segnalata v. Sez. 6^ 29.3.2005 n. 12199, Molisso, Rv. 231044).

    1. Ancora, da parte della Corte territoriale è stata riconosciuta la prova dell’avvenuta commissione non solo del reato di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di frodi sportive, ma anche la commissione di numerosi reati-scopo di tale natura, tutti aggravati dal comma 3 dell’art. 1 L. 401/89.
    2. La sussistenza del reato produce quale conseguenza inevitabile l’insorgenza di un danno anche di tipo potenziale che, in quanto conseguenza dell’accertamento dell’illecito penale, non può non essere – quantomeno – una forma di danno non patrimoniale (art. 2059 cod. civ.), salvo il potere da parte del giudice civile di accertare con compiutezza di elementi la sussistenza del danno, di valutarne la tipologia e determinarne l’ammontare, seguendo, ovviamente, le regole probatorie civilistiche la sua quantificazione.
    3. È solo in quella sede, pertanto, che tutte le parti potranno liberamente svolgere le proprie argomentazioni, precisare il rispettivo petitum e chiedere l’ammissione delle prove, necessarie in relazione ai delimitati profili di danno richiesto, secondo i principi dispositivi propri del giudizio civile.
    4. Non meno censurabile poi l’affermazione, in sé contraddittoria oltre che assertiva, della mancata prova di un’alterazione del campionato di calcio 2004-2005, soprattutto se si ponga mente ai risultati – questi sì da tenere presenti – verificatisi all’indomani dei procedimenti disciplinari sportivi avviati proprio sulla base dei fatti oggetto del presente processo e sfociati in decisioni severissime che hanno scompaginato l’assetto di quel campionato e del campionato successivo con rilevanti penalizzazioni di alcune squadre (MILAN, LAZIO, FIORENTINA) sia per il campionato 2004-2005 sia da scontare nel campionato successivo e con la retrocessione in serie B con penalizzazione di altre squadre ancor più blasonate e revoca dello scudetto 2004-2005 conquistato sul campo (JUVENTUS).
    5. La decisione della Corte è, quindi, riduttiva nella analisi di un fenomeno di illiceità generale e diffusa che ovviamente ha generato, come conseguenze a cascata, danni di gravissima entità non solo all’immagine ma anche alle casse di quelle società costrette a retrocedere per un effetto indotto determinato dall’alterazione di numerose partite del campionato che hanno alla fine creato una classifica del tutto fittizia.
    6. Peraltro non può non rilevarsi che tutte le parti civili le cui statuizioni risarcitorie sono state revocate, avevano ottenuto in primo grado il diritto al risarcimento del danno in conseguenza delle statuizioni di condanna nei confronti dei soggetti ritenuti penalmente responsabili in coerenza con le previsioni normative di cui all’art. 185 cod. pen. che obbligano l’autore del reato a risarcire il danno. Ed in effetti il processo ha fornito spunti concreti in ordine al verificarsi di danni anche nei confronti di soggetti diversi da quelli cd. “istituzionali”,

per effetto di reati potenzialmente produttivi di danno, come correttamente aveva argomentato il Tribunale.

  1. Il Collegio dissente anche dalla decisione della Corte nella parte relativa alla inconfigurabilità del danno da perdita di chance il cui concetto è stato affermato in termini imprecisi quanto apodittici.
    1. Secondo la giurisprudenza di questa Corte Suprema Il danno patrimoniale di tal fatta va inteso come danno futuro, consistente non già nella perdita di un vantaggio economico, ma della mera possibilità di conseguirlo, secondo una valutazione da formularsi “ex ante” e da ricondursi, “diacronicamente, al momento in cui il comportamento illecito ha inciso su tale possibilità in termini di conseguenza dannosa potenziale”. (Sez. 3^ Civ. 12.2.2015 n. 2737; idem, 17.4.2008 n. 10111, Rv. 602739). Resta ovviamente inteso che l’accertamento e la liquidazione della perdita di chance, da effettuarsi necessariamente in via equitativa, sono demandati alla valutazione del giudice di merito officiato di verificare l’esistenza del danno e la sua quantificazione sulla base delle prove dedotte dalle parti nella sede propria.
    2. Stante – come testè chiarito – la non necessità della prova del nesso eziologico tra condotta e danno, affermare tout court l’impossibilità di una perdita da chance per la mancata prova del danno in sede penale è frutto di una inesatta valutazione dei principi generali in tema di illecito civile nel giudizio penale, essendo evidente che di fronte ad una prospettazione che indicava nella retrocessione in serie B (e conseguente svalutazione del parco giocatori e dei diritti televisivi) ovvero nel conseguimento di una classifica asfittica anziché una classifica rapportata alle reali capacità di una determinata squadra senza condizionamenti derivanti da fattori esterni, era già stata prospettata una ipotesi concreta di danno futuro da verificare nella sua effettiva consistenza in sede civile: la Corte di Appello avrebbe dovuto limitarsi a rimettere le parti davanti al giudice civile per la valutazione dei danni, della loro sussistenza in rapporto alle azioni che li avrebbero causati e della loro quantificazione.
    3. Sulla base di tali considerazioni, le quali evidenziano non solo la contraddittorietà ma anche la manifesta illogicità e nel contempo la violazione delle regole che presiedono all’accertamento del danno in sede penale, si impone quindi ai sensi dell’art. 622 cod. proc. pen. l’annullamento della sentenza impugnata nei confronti delle parti civili BRESCIA CALCIO s.p.a.; ATALANTA BERGAMASCA Calcio s.p.a.; BOLOGNA FOOTBALL CLUB 1909 s.p.a.; CURATELA FALLIMENTO VICTORIA 2000 s.r.l. in liquidazione; U.S. LECCE s.p.a., con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello anche in ordine alla liquidazione delle spese del presente grado di giudizio.
    4. In particolare tale statuizione vale anche in relazione al ricorso proposto dalla Curatela fallimentare Victoria 2000 s.r.l. in liquidazione essendo dirimente il rilievo del contrasto tra dispositivo in cui si dichiara l’inammissibilità dell’appello proposto dal Fallimento Vittoria per carenza di legittimazione e il contenuto motivazionale che, invece, riconosce tale

legittimazione e, per l’effetto, l’ammissibilità dell’appello.

    1. A ben vedere trattasi di un contrasto meramente apparente in presenza del quale, come precisato dalla giurisprudenza di questa Corte Suprema, il carattere unitario della sentenza, in conformità al quale dispositivo e motivazione, quali sue parti, si integrano naturalmente a vicenda, non sempre determina l’applicazione del principio generale della prevalenza del primo in funzione della sua natura di immediata espressione della volontà decisoria del giudice. Ne deriva che “laddove nel dispositivo ricorra un errore materiale obiettivamente riconoscibile, il contrasto con la motivazione è soltanto apparente, con la conseguenza che è consentito fare riferimento a quest’ultima per determinare l’effettiva portata del dispositivo, individuare l’errore che lo affligge ed eliminarne gli effetti, giacché essa, permettendo di ricostruire chiaramente ed inequivocabilmente la volontà del giudice, conserva la sua funzione di spiegazione e chiarimento delle ragioni fondanti la decisione.” (Sez. F. 9.9.2014 n. 47576, Savini, Rv. 261402).
  1. A diversa conclusione deve pervenirsi con riferimento al ricorso proposto dalla Associazione Federconsumatori della Campania, le cui statuizioni civili di tipo risarcitorio sono state revocate dalla Corte territoriale.
    1. Va premesso che l’associazione in parola non si è mai costituita parte civile limitandosi ad esercitare un intervento ad adiuvandum rispetto alla curatela fallimentare della Salernitana nei confronti degli imputati TITOMANLIO Stefano e MAZZEI Gennaro (il primo condannato in primo grado e in appello prosciolto per prescrizione, il secondo assolto in primo grado e in appello prosciolto per prescrizione).
    2. La ricorrente si duole del fatto che in sede di conferma delle statuizioni risarcitorie in favore della Curatela Fallimentare Salernitana Sport s.p.a., la Corte distrettuale avrebbe pretermesso ogni pronuncia in favore dell’interventore adesivo.
    3. Il motivo nei termini in cui è stato prospettato è palesemente destituito di fondamento
    4. Il richiamo alle azioni risarcitorie di tipo collettivo esperibili da parte delle Associazioni dei Consumatori non è pertinente, così come non lo è pertinente il richiamo giurisprudenziale di cui alla sentenza della 3^ Sezione civile 18.8.2011 n. 17351 la quale riconosce la possibilità per le associazioni di consumatori di agire a tutela degli interessi collettivi di determinate categorie di soggetti e indica le condizioni per la legittimazione ad agire di tali associazioni: ciò però significa che laddove le associazioni dei consumatori dovessero agire in sede penale per il risarcimento occorre sempre la costituzione di parte civile.
    5. Va, invece, sottolineato che questa stessa Sezione con sentenza del 9 luglio 2009, nell’annullare l’ordinanza con la quale il Tribunale di Napoli nel corso del giudizio di primo grado aveva estromesso le parti civili nell’ambito del presente processo, ha chiarito che

soltanto l’Associazione Federconsumatori Campania non era costituita parte civile.

    1. Ciò doverosamente precisato, si osserva che nel giudizio penale, in cui non sono conosciute forme di litisconsorzio o di intervento ad adiuvandum proprie del giudizio civile, non esistono strumenti alternativi rispetto alla costituzione di parte civile per attuare il proprio diritto di intervento. Ne consegue che pur dovendosi dare atto che nella sentenza impugnata manchi sul punto un’espressa statuizione la stessa posizione assunta dall’associazione in termini di intervento adesivo, la rende priva d’ogni legittimazione processuale specifica sicchè il suo ricorso va dichiarato inammissibile.
    2. Segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè al versamento in favore della Cassa delle Ammende – trovandosi la stessa in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – della somma, che si ritiene congrua, di € 1.000,00 (mille/00).
  1. Vanno, infine, confermate le statuizioni civili in favore del Ministero dell’Economia e Finanze – Amministrazione Autonoma Monopoli di Stato; Ministero delle Politiche Giovanili e per le Attività Sportive; Federazione Italiana Giuoco Calcio e Curatela Fallimento Salernitana Sport

s.p.a. in relazione a quanto sin qui osservato in ordine alle responsabilità degli imputati per i reati loro ascritti ancorchè estinti per prescrizione.

  1. Con riferimento al ricorso proposto dalla parte civile BRESCIA CALCIO s.p.a. in relazione all’ordinanza del 15 ottobre 2013 ed alla sentenza della Corte di Napoli con la quale è stato dichiarato inammissibile l’appello incidentale proposto dalla detta parte civile nei confronti del responsabile civile SS. LAZIO, osserva il Collegio che il ricorso in parte qua è infondato.
    1. Trattandosi di vizio di natura processuale è consentito a questa Corte di esaminare gli atti del procedimento dai quali risulta pacificamente che la parte civile BRESCIA CALCIO

s.p.a. aveva inizialmente formulato la chiamata in causa della SS. LAZIO quale responsabile civile che veniva regolarmente ammessa dal Tribunale il quale con proprio decreto del 19 dicembre 2008 aveva disposto la citazione del responsabile civile per l’udienza del 20 gennaio 2009.

    1. In effetti l’atto veniva notificato da parte del BRESCIA CALCIO s.p.a. senza il rispetto dei termini per comparire sicchè la SS. LAZIO non si costituiva in giudizio. La parte civile, che avrebbe dovuto richiedere un nuovo termine per notificare la citazione non vi provvedeva, né lo ha fatto successivamente; ciò nonostante il Tribunale condannava anche la SS. LAZIO nella veste di responsabile civile nei confronti del BRESCIA CALCIO s.p.a..
    2. Contro tale decisione veniva proposto appello dalla SS. LAZIO, con il quale veniva dedotta la mancata notifica del decreto di citazione e della domanda della parte civile con conseguente violazione del principio del contraddittorio.
    3. La Corte territoriale, prima con ordinanza del 15 ottobre 2013 riconosciuto l’esistenza del vizio e successivamente con la sentenza ha dichiarato l’inammissibilità dell’appello incidentale della parte civile annullando in parte qua la decisione di condanna del Tribunale.
    4. Tanto precisato, i motivi addotti a sostegno del ricorro sono infondati in quanto, stante la mancata richiesta nel corso del giudizio di primo grado della autorizzazione alla rinnovazione della notifica senza che la parte civile vi provvedesse successivamente, la domanda iniziale doveva considerarsi inammissibile.
    5. Ma vi è di più: non solo la parte civile ha errato nei tempi di notifica del decreto di citazione del responsabile civile, non rispettando i termini di comparizione; ma pur avendo avuto l’opportunità di rinnovare la citazione, non vi ha provveduto, né lo ha fatto quando questa Corte Suprema con la ricordata sentenza del 9 luglio 2009 aveva annullato la decisione del Tribunale che aveva estromesso le parti civili .
    6. In conclusione l’intero primo grado del giudizio si è svolto in palese violazione delle regole del contraddittorio, né questo può dirsi sanato per effetto della conoscenza da parte del Presidente della SS. LAZIO s.p.a. imputato nel presente processo, del rinvio dell’udienza dal 20 gennaio 2009 (data fissata inizialmente dal Tribunale) al 24 marzo successivo non potendo coincidere la persona fisica del Presidente della società con la persona giuridica costituita dalla stessa società.
    7. Ne consegue la correttezza della decisione della Corte di Napoli in punto di declaratoria della inammissibilità dell’appello incidentale, non senza rilevare che i motivi di ricorso ricalcano gli errori irrimediabili commessi nella prima fase del giudizio.
    8. Conseguentemente il ricorso della parte civile BRESCIA CALCIO riguardante il responsabile civile SS. LAZIO deve essere rigettato.
  1. Va poi ribadita l’esclusione del responsabile civile JUVENTUS s.p.a. come già disposta dalla Corte territoriale in riferimento agli appelli proposti dal BRESCIA CALCIO s.p.a. e dall’U.S. LECCE per intervenuta rinuncia, con la precisazione che in questa sede la difesa della JUVENTUS s.p.a. si è limitata a depositare brevi note di udienza insistendo per la conferma di dette statuizioni non formanti oggetto di ricorso.
  2. La F.I.G.C. ha contestato con il primo motivo il mancato riconoscimento della provvisionale, rilevando un vizio di motivazione per illogicità: il motivo è infondato in quanto la Corte di merito ha sul punto argomentato con motivazione logicamente plausibile e giuridicamente corretta, evidenziando la carenza dei presupposti legittimanti tale richiesta; né sono consentite in questa sede rivalutazioni concernenti i presupposti in fatto della decisione impugnata.
    1. E’ invece fondato il secondo motivo del ricorso proposto dalla stessa F.I.G.C. nella

parte in cui viene censurata la mancata pronuncia sul motivo di appello con il quale la detta parte civile aveva lamentato il criterio di quantificazione delle spese di lite.

    1. Vale, al riguardo, il principio in base al quale in tema di liquidazione delle spese in favore della parte civile, compete al giudice, pur nell’ambito di una valutazione discrezionale, il dovere di fornire adeguata giustificazione della determinazione delle stesse e della relativa congruità in funzione del numero e dell’importanza delle questioni, nonché della tipologia ed entità delle prestazioni difensive, tenuto conto dei limiti minimi e massimi fissati dalla tariffa forense (in tal senso v. Sez. 1^, 5.6.2012 n. 27629, Cicilano e altri, Rv. 253385; idem 7.5.2008 n. 2808, Grillo e altro, Rv. 240421). Poiché tale profilo era stato prospettato con un specifico motivo di appello la Corte di merito si sarebbe dovuta espressamente pronunciare. Ne consegue l’annullamento con rinvio in punto di quantificazione delle spese di lite con rinvio al Giudice civile competente per valore in grado di appello. Nel resto il ricorso va rigettato.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di BERTINI Paolo e DATTILO Antonio in ordine ai reati agli stessi rispettivamente ascritti ai capi A), M) e B) perché il fatto non sussiste e, per l’effetto. revoca le relative statuizioni civili.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di MOGGI Luciano in ordine ai reati di cui ai capi B) ed M) perché il fatto non sussiste e, per l’effetto revoca le relative statuizioni civili. Annulla senza rinvio la sentenza medesima in ordine al reato di cui al capo A), perché estinto per prescrizione. Annulla la predetta sentenza relativamente alle statuizioni risarcitorie connesse al reato di cui al capo F) e rinvia al Giudice civile competente per valore in grado di appello anche in ordine alla liquidazione delle spese di questo grado di giudizio. Rigetta nel resto il ricorso.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di MAZZEI Gennaro limitatamente alle statuizioni civili che elimina. Rigetta nel resto il ricorso dello stesso MAZZEI.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di MAZZINI Innocenzo limitatamente al reato di cui al capo A) come riqualificato in appello perché estinto per prescrizione. Rigetta il ricorso nel resto e dichiara manifestamente infondata la dedotta questione di legittimità costituzionale.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di PAIRETTO Pierluigi limitatamente al reato di cui al capo A) come riqualificato in appello perché estinto per prescrizione. Annulla la predetta sentenza relativamente alle statuizioni risarcitorie connesse al reato di cui al capo F) e rinvia al Giudice civile competente per valore in grado di appello anche in ordine alla liquidazione delle spese di questo grado di giudizio. Rigetta nel resto il ricorso.

Rigetta i ricorsi di DE SANTIS Massimo, DELLA VALLE Andrea, DELLA VALLE Diego, FOTI Pasquale, LOTITO Claudio, MENCUCCI Sandro e RACALBUTO Salvatore nonché il ricorso del

responsabile civile AC Associazione Calcio Firenze Fiorentina S.p.a. e condanna detti ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Conferma le statuizioni civili in favore del Ministero dell’Economia e Finanze Amministrazione Autonoma Monopoli di Stato; Ministero delle Politiche Giovanili e per le Attività Sportive; Federazione Italiana Giuoco Calcio; Curatela Fallimento Salernitana Sport s.p.a.

Condanna MAZZEI Gennaro alla rifusione delle spese del grado sostenute dalla parte civile Curatela Fallimento Salernitana Sport s.p.a. che liquida in € 3.000,00 (tremila/00) oltre spese generali ed accessori di legge.

Annulla la sentenza impugnata nei confronti delle parti civili Brescia Calcio s.p.a.; Atalanta Bergamasca Calcio s.p.a.; Bologna Football Club 1909 s.p.a.; Victoria 2000 s.r.l.; U.S. Lecce

s.p.a. e rinvia al Giudice civile competente per valore in grado di appello anche in ordine alla liquidazione delle spese di questo grado di giudizio.

Annulla la sentenza impugnata nei confronti della parte civile Federazione Italiana Giuoco Calcio limitatamente alla quantificazione delle spese di lite, con rinvio al Giudice civile competente per valore in grado di appello.

Dichiara inammissibile il ricorso della Associazione Federconsumatori Campania che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.000,00 (mille/00) in favore della Cassa delle Ammende.

Rigetta il ricorso della parte civile Brescia Calcio s.p.a. limitatamente all’ordinanza pronunciata il 15 ottobre 2013 relativa alla responsabilità civile della SS. Lazio s.p.a.

Così deciso in Roma il 24 marzo 2015

Il Consigliere estensore Il Presidente

Renato Grillo Aldo Fiale

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