Il cambiamento climatico e i danni della complessità

Un post sulla scarsa qualità dell’informazione sulla questione climate change e sul fanatismo disinformato degli ennesimi “salvatori del mondo” mi ha suggerito una riflessione ulteriore sulla impossibilità di praticare il messaggio di Luigi Einaudi: “conoscere per deliberare.”

Il cambiamento climatico è un argomento estremamente complesso e per dire di capirci qualcosa non basta qualche slogan ripetuto fino allo sfinimento o un bailamme di striscioni, cori e minacce. Breve: quanti, fra i “protestanti” e i politici daltonici che vedono tutto in #228B22 sanno veramente di cosa stanno parlando?

La risposta è molto semplice: nessuno. Non loro, non io, non i “cittadini informati” o quelli che cercano di capire per conoscere e poi deliberare.

Il motivo è altrettanto semplice: non solo nessuno sa realmente qualcosa sul cambiamento climatico, ma anche legge, politica, nucleare, chimica, genetica, medicina, avionica, informatica – tanto per citarne alcuni – sono argomenti talmente complessi che è impossibile avere la capacità di padroneggiarli a un livello tale da poter adottare decisioni informate.

Ma allora, e veniamo al punto, che senso ha – se ha ancora senso – attribuire a una massa ignorante il potere di assumere decisioni cruciali per il futuro della società e del pianeta?

Non è una domanda nuova, perchè tanto per citare un esempio, già Platone con La Repubblica offriva la sua (non)democratica soluzione e nel corso dei secoli la pretesa di “saperne di più” della massa ignorante è stata alla base di regimi autoritari e teocratici.

A differenza del passato, però, se la massa ignorante – alla quale mi iscrivo convinto e per primo per quanto di non mia diretta competenza –  è consapevole di non poter decidere provoca paralisi, e se sceglie di decidere pensando erroneamente di essere in grado di farlo provoca danni su scala mondiale.

Edward Bernays, nel suo Propaganda, analizza la questione e offre una soluzione:

In teoria, ogni cittadino decide sulle questioni pubbliche e sui comportamenti privati. In pratica, se tutti gli uomini dovessero studiare da soli le astruse questioni politiche ed etiche realtive a ogni questione, si troverebbero nell’impossibilità di giungere ad una conclusione su qualsiasi cosa.

Abbiamo volontariamente accettato di lasciare che un governo invisibile filtri le informazioni e faccia sì che la varietà delle scelte sia ridotta a proporzioni pratiche.

Dai nostri leader e dai media che usano per raggiungere il pubblico, accettiamo prove e definizione dell’agenda delle questioni che riguardano le la vita pubblica; da qualche fonte etica, sia essa un religioso, un saggista , o semplicemente un’opinione prevalente, accettiamo un codice di condotta sociale standardizzato a cui ci conformiamo la maggior parte del tempo.

In teoria, tutti acquistano le merci migliori e più economiche che gli vengono offerte sul mercato. In pratica, se ognuno andasse in giro per i prezzi, e testando chimicamente prima dell’acquisto, le decine di saponi o tessuti o marche di pane che sono in vendita, la vita economica si bloccherebbe senza speranza. Per evitare tale confusione, la società accetta che la sua scelta si limiti a idee e oggetti portati alla sua attenzione attraverso la propaganda di ogni tipo.

Di conseguenza, c’è un continuo sforzo per catturare le nostre menti nell’interesse di qualche politica, merce o idea.

Potrebbe essere meglio avere, invece della propaganda e delle speciali suppliche, comitati di saggi che scelgono i nostri governanti, dettano la nostra condotta, privata e pubblica, e decidono i migliori tipi di vestiti da indossare e i migliori tipi di cibo da mangiare. Ma abbiamo scelto il metodo opposto, quello della libera concorrenza che dobbiamo far funzionare con una  ragionevole fluidità.

Per raggiungere questo obiettivo la società ha acconsentito a permettere che la libera concorrenza sia organizzata dalla leadership e dalla propaganda. Alcuni dei fenomeni di questo processo sono criticabili: la manipolazione delle notizie, il culto della personalità, e la generale confusorietà con la quale i politici,  i prodotti commerciali e le idee sociali sono portate alla coscienza delle masse. Gli strumenti attraverso i quali l’opinione pubblica è organizzata e orientata possono essere utilizzati in modo improprio. Ma tale organizzazione e focalizzazione sono necessarie per una vita ordinata.

Non sono certo di condividere la conclusione, ma non ho alternative da proporre.

 

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