Internet, le tariffe e il gioco delle tre carte

Computer Programming n.ro 60 del 01-03-97

di Andrea Monti

Riassunto delle puntate precedenti.

Il 28 febbraio scorso, un Decreto Ministeriale stabilisce delle agevolazioni tariffarie per gli utenti di Internet. Con un moto di (tardiva) apertura verso il mondo dell’utenza lo stesso Ministero, oramai a cose fatte, invita alcune associazioni telematiche e quelle che riuniscono gli operatori commerciali ad un tavolo comune per verificare la possibilità di aggiustamenti specie in rapporto ad alcune macroscopiche agevolazioni nei confronti di TELECOM ITALIA. Si, avete letto bene, alla fine del gioco chi avrebbe tratto i maggiori vantaggi dal provvedimento sarebbe stata proprio TELECOM che ad un costo risibile avrebbe ottenuto dati preziosissimi.

Come nelle migliori tradizioni giallistiche la soluzione del mistero arriverà alla fine, ma ahimè, non sarà affatto una sorpresa quanto piuttosto una conferma di cose che oramai sono state ripetute con tale frequenza da confondersi con il rumore della quotidianità.

Parole, parole, parole

Fiumi di parole si sono riversati in Largo di Brazza a Roma, sede di questi incontri e branchi di e-mail sono rimasti invischiati nella rete per affermare principi (non sempre nobilissimi a dire la verità), per dare visibilità a questa o a quella neonata associazione che finalmente assurge agli onori della cronaca (per sparire dopo qualche attimo su questioni ben più importanti). La sostanza è che le speranze sono state deluse. Non credevo che l’ottimismo che esprimevo appena un mese fa, nel numero 59 di CP sarebbe stato così bruscamente riportato ad un livello di scettico disinteresse.

Dove ci eravamo fermati?

L’ultima volta ho parlato di queste riunioni (i cui contenuti sono descritti in CP n. 59/97) in effetti qualche risultato sembravano averlo ottenuto. Fra fughe di notizie e interviste rilasciate più o meno casualmente bene o male si era arrivati ad una posizione comune e alla fine, il 24 aprile, il Ministero si assunse l’onere di congelare il provvedimento per novanta giorni, al fine di adottare almeno alcune delle modifiche suggerite dalle associazioni.

Tutti contenti e giulivi per il successo riportato gli esponenti dei vari gruppi si affrettano ad annunciare al mondo (della rete e non) il lieto evento. TELECOM tace, anzi – a dire il vero – non aveva proprio partecipato al tavolo, forse perché era impegnata sul fronte più interessante dell’autoregolamentazione di Internet.

Le cose si complicano

Passa un giorno, ne passano due, dal Ministero delle Poste non arriva nessun provvedimento formale che blocchi il decreto sulle tariffe e qualcuno (ALCEI) comincia a farsi qualche domanda, anche perché nel frattempo si era sparsa la notizia di un certo fax inviato a tutte le sedi TELECOM e datato 30 aprile, avente come oggetto: “commercializzazione dei pacchetti internet” con il quale si preparavano i vari uffici a ricevere le richieste degli utenti, individuando i canali di acquisizione delle richieste nei numeri 181,187,188,191 e fornendo persino i facsimile dei moduli necessari.

C’è qualcosa che non torna.

Ricapitoliamo:

1. il Ministero assume l’obbligo di sospendere il decreto per sottoporlo a revisione (e non ha nemmeno 10 anni di vita J);

2. non viene adottato nessun provvedimento formale per ufficializzare il tutto, a parte una circolare – si dice – giunta a conoscenza di TELECOM, il cui contenuto, nonostante le svariate richieste, non è dato di conoscere, che segnalerebbe lo stato di fatto;

3. TELECOM inizia puntuale la raccolta delle richieste di applicazione delle tariffe pur sapendo evidentemente che il decreto verrà sospeso;

4. di fatto, applicandosi la regola che per avere lo sconto bisogna fornire la copia del proprio contratto di accesso, è iniziata la mappatura sistematica dell’utenza internet. Se prima questa sarebbe costata alla compagnia almeno il minor introito sulle bollette, ora è quasi sicuramente gratuita, visto che le agevolazioni si applicano dal mese successivo della richiesta, data nella quale è ragionevole ipotizzare la sospensione del decreto.

Le possibilità sono due: o il decreto verrà ritirato, e allora non si capisce perché TELECOM abbia già iniziato ad applicarlo; oppure è vero il contrario, e allora tutte queste riunioni sono state, nella migliore delle ipotesi, una grande perdita di tempo.

Fantapolitica?

Probabilmente.

Probabilmente questa macchinazione non era nemmeno preordinata, tutti erano in buona fede ed è solo colpa del destino cinico e baro, fatto sta’ che questa singolare congiuntura di eventi ha reso possibile una situazione a dir poco incresciosa. Non dirò tuttavia nulla circa le voci che sono girate su questa vicenda perché non essendo documentabili sarebbero degradate al rango di illazioni o meri pettegolezzi e ciò non è corretto nei confronti dei lettori.

E l’autoregolamentazione dove la mettiamo?

Ci sono due parole che veramente non sopporto: authority e autoregolamentazione.

Non ce la faccio più. Ogni volta che esce fuori un problema – l’ultimo è quello del lavoro – ecco che spuntano cric e croc. Provate a pensare quante authority ci sono in giro: Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, Garante per l’editoria e radiotelevisione, Garante per la protezione dei dati, Garante per le telecomunicazioni (ancora da istituire)… ma dico io i Ministeri e (eventualmente) i Tribunali che ci stanno a fare?

Di autoregolamentazione poi non ne parliamo, dappertutto si trovano inviti ad autoregolamentare la propria attività. La legge sui dati personali promuove la formazione di codici deontologici, gli ordini professionali hanno le proprie regole… evidentemente per mantenere il sistema in equilibrio termodinamico, ad ogni legge inutile che viene abrogata corrisponde un’autoregolamentazione altrettanto superflua.

Da un po’ di tempo ci si mette anche l’Unione Europea che probabilmente ha il merito di avere aperto le danze su questo motivetto. Convinta della necessità di affrontare e risolvere il problema dei contenuti illegali e pericolosi che circolano sulla rete, non ha trovato niente di meglio da fare che “aprire il dibattito” fra gli stati membri per arrivare all’emanazione di una serie di codici di autoregolamentazione.

L’invito è stato raccolto un po’ da tutti e per esempio in Francia è possibile trovare su web i testi delle varie proposte.

In Italia, manco a dirlo, le cose stanno procedendo invece con l’atmosfera che circonda il segreto di Stato.

Che vuol dire autoregolamentazione?

La risposta richiede una breve divagazione giuridica che consente di inquadrare correttamente il problema (e di rendersi conto della buona fede di quanto viene gabellato come interesse degli utenti).

Ai fini che qui rilevano è sufficiente classificare i tipi di responsabilità in:

· CIVILE (art.2043 e sgg. c.c.) che si caratterizza per imporre l’obbligo del risarcimento del danno ingiusto causato per dolo o colpa

· PENALE (art.27 c.II Cost.) che si caratterizza per la personalità cioè per il fatto che si risponde esclusivamente del reato proprio, antigiuridico e colpevole. In altri termini non è ammessa responsabilità penale per il fatto del terzo.

Ciò premesso , si può dire che Autodisciplina, o autoregolamentazione…, è l’espressione utilizzata per definire un fenomeno per il quale alcuni soggetti operanti nel medesimo settore di attività, accomunati da interessi ben precisi decidono di assoggettare i propri comportamenti a determinate regole di condotta. [1]

Sulla base della definizione appena formulata appare evidente che:

1. Un codice di autodisciplina non ha la forza di derogare alla legge o di regolare una situazione in modo diverso da quanto stabilito dalla legge.

2. Gli unici e soli destinatari sono gli operatori del settore i quali non possono andare ad incidere nella libertà di autodeterminazione dell’utente.

3. Gli utenti sono responsabili e soggetti solo ed unicamente di fronte alla legge.

4. L’autodisciplina non ha senso se non è previsto un organo di controllo con poteri sanzionatori in grado di garantire l’effettività della sanzione disciplinare prevista in astratto.

5. L’autodisciplina non è un modo per istituire cartelli più o meno palesi.

Autodisciplina e contenuti di Internet

Attualmente l’aspetto che più interessa l’Unione Europea è quello dei contenuti veicolati dalla rete.

Il problema fondamentale dell’autodisciplina in rapporto a questo tema, allora, è quello della definizione dei ruoli dei singoli operatori al fine di consentire a chi di dovere di individuare le responsabilità civili e penali; tenendo ben presente che in nessun caso è possibile stabilire con l’autoregolamentazione forme di responsabilità (specie penali) che non siano già previste dalla legge.

Quest’ultima precisazione può sembrare sciocca, ma a quanto pare viste le proposte che girano, è assolutamente necessaria. Per darvi un idea del livello al quale ci si sta muovendo, vi basti sapere che qualcuno ha pensato bene di scopiazzare la bozza di autoregolamentazione francese, facendola passare per approvata ed effettiva quando invece è fortemente contestata e ancora in alto mare, finchè qualcuno (ALCEI) non si è preoccupato di mandare una e-mail alla EFF transalpina per chiedere spiegazioni…

Ho la netta sensazione che sotto il cappello dell’autodisciplina si cerchi in realtà di far passare un mini riassetto del sistema delle telecomunicazioni, almeno per quanto riguarda la Rete.

Non mi stupirei se una eventuale codice si preoccupasse più di regolare l’attività degli utenti che quella degli ISP, del resto, basterà aspettare un po’ e vedremo se merito o no il premio “uccello del malaugurio 1997”.

Una proposta

Visto che l’Italia si sta scoprendo un Paese di legislatori (oltre che di allenatori di calcio) non mi sottraggo alla tendenza e quindi vi sottopongo alcune idee sui criteri potrebbero essere applicati ad Internet.

Partiamo dall’identificazione degli agenti, in linea di massima che operano sul mercato.

Si dividono in:

· Fornitori di connettività

· Fornitori di accesso e funzionalità collegate (e-mail, ftp, http, IRC ecc.)

· Fornitori di contenuti o di servizi a valore aggiunto (Testate telematiche, data-base, progetti di comunicazione ecc.)

In applicazione dei principi di cui sopra, ognuno di questi è responsabile di fronte alla legge per i contenuti illegali veicolati in rete nella misura in cui se ne dimostri un coinvolgimento diretto e volontario.

L’autodisciplina invece può solamente dettare delle procedure alle quali chi vuole si conforma, per una migliore prestazione del servizio.

In quest’ottica credo che no si possa prescindere dai seguenti elementi.

1. Identificazione dei soggetti che accedono alla rete (per consentire l’avvio del commercio in rete)

2. Dovere di tutela della riservatezza mediante il sistema dell’anonimato protetto (il solo a conoscere l’identità reale dell’utente è il fornitore di accesso, che la rivelerà solo all’Autorità Giudiziaria)

3. Obbligo deontologico per gli operatori di educare l’utente ad un uso responsabile delle risorse alle quali accede

4. Trasparenza assoluta nei comportamenti e nelle proposte degli operatori (in Francia tutte le proposte di autoregolamentazione – peraltro ancora in stato embrionale – sono liberamente accessibili su vari siti.

Ci sono tuttavia alcune situazioni (newsgroup ad esempio) che per la loro interinseca natura sfuggono alla rigida applicazione di questi principi ma ad impossibilia nemo tenetur. La scelta di chiudere questo o quel gruppo è fatto che riguarda il provider che però ha il dovere di avvisare l’utente della limitazione del servizio.

E’ bene precisare ancora una volta che tutto questo discorso non può e non deve riguardare direttamente l’utente. Se l’imprenditore ritiene di doversi struttrare in un certo modo bene, altrimenti non c’è autodisciplina che possa interferire direttamente con soggetti diversi.

Altro è il discorso dell’adozione dei principi dell’autoregolamentazione tramite i contratti. Bisognerà fare molta attenzione quindi, nel sottoscrivere un qualsiasi tipo di contratto (dall’accesso all’hosting) per capire esattamente cosa ci si sta obbligando a fare.

Quanto al discusso problema dell’adozione di criteri di rating delle pagine continuo – da solo – a strillare che non è una soluzione efficace.

Lo scopo sarebbe quello di proteggere un ipotetico minore brufoloso che appena si collega va alla ricerca di lussuria a poco prezzo… a parte il fatto che secondo me i minori in rete cercano i siti della Nintendo, se proprio vogliamo pensare ad un sistema non credo che PICS (questo è il nome dello standard) possa funzionare.

La situazione è questa: ogni utente dovrebbe classificare le proprie pagine secondo uno standard che consentirebbe ai browser di settare la visualizzazione delle stesse.

Perché sono scettico?

1. Voglio vedere quanti genitori riescono a lanciare Netscape, figuriamoci poi a modificarne le impostazioni. PICS è il modo in cui i bambini impediscono ai nonni di navigare J.

2. Per un notissimo meccanismo psicologico basta dire ad un ragazzino (e spesso non solo a lui) di non andare da qualche parte e lui puntualmente ci va. Il rating gli facilita la vita.

3. Se lo scopo è proteggersi dai contenuti dannosi, chiudere il web non aiuta perché IRC, newsgroup e compagnia bella continuano a funzionare.

4. Accentuare la funzione del rating significa ingenerare nei genitori la falsa sensazione che non ci siano problemi, abbandonando ancora di più il minore a se stesso.

5. Sono curioso di sapere come sarà possibile conciliare quello che la cultura araba considera osceno con ciò che è ritenuto tale in Svezia…

Il punto è, ancora una volta, che i problemi degli uomini li risolvono gli uomini e non i programmi (a parte Bill Gates, al quale il software ha sicuramente fatto molto beneJ). Se la Rete è pericolosa, allora i minori non vanno lasciati da soli.

Abbandonereste un bambino sull’autostrada?

[1] AA VV Pubblicità: permessi e divieti nei Paesi CEE MILANO, 1992 p.37

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