La prefazione di Spaghetti Hacker

Dedicata ai “libertari con il macbukpro”. Agli ultimi arrivati che fanno finta di esserlo stati, e a quelli che lo erano e fanno finta di non esserlo stati.

La rete non ha memoria. O, meglio, la memoria della rete è Google.

Se Google non trova più qualcosa, quel qualcosa scompare inesorabilmente dai ricordi delle persone. Un libro, al contrario, continua a esistere anche, soprattutto, fuori dalla rete.

Questa riflessione ci ha spinto a ripubblicare Spaghetti Hacker, messo fuori catalogo dal precedente editore dopo oltre dieci anni di onorata carriera. Pensiamo che questo libro non debba sparire dalla memoria. Ancora oggi, infatti, è l’unico a raccontare una parte importante della storia delle persone che hanno vissuto da protagonisti l’epopea dello sviluppo dell’informatica in Italia. Ed è l’unico che consente, alle nuove generazioni di Spaghetti Hacker di scoprire un passato che non sanno di avere.

Per molti, come i tanti amici della prima generazione ci hanno detto, riproporre questo libro nel 2011 è l’equivalente informatico di un concerto dei Pooh: un bello spettacolo per un pubblico cresciuto — e invecchiato — con le loro canzoni. Eppure non è così, perchè Spaghetti Hacker serve ancora a qualcosa e a qualcuno.

Serve a chi “c’era” allora, che ha vissuto un’epopea e si illude di viverla ancora.

Serve per ricordare da dove vengono quelli che, entrando nello “star system”, hanno tradito persone e idee per trenta denari (e a volte, anche per meno).

Serve, perchè ci siamo resi conto — improvvisamente — che la nostra generazione è oramai “storia”, e che chi è arrivato dopo si è trovato, per quanto paradossale possa sembrare, nella nostra stessa situazione: avere un passato, ma senza saperlo.

 

Serve, infine, per far capire alle persone “normali” che tutto quello che hanno oggi, dall’accesso a basso costo, ai social network, agli smartphone, alle aste on line, al peer to peer, non arriva soltanto dal mondo dell’industria… anzi.

Già che c’eravamo, abbiamo aggiunto nuove storie e approfondito qualche tema che nella prima edizione era rimasto sullo sfondo (come il Child8, l’Altair italiano, o la nascita di cloni Apple fabbricati in Italia senza che la casa di Cupertino potesse impedirlo, o ancora la straordinaria “visione” della Olivetti che anticipò di anni il movimento open source).

Riproporre questo libro, però, è utile soprattutto per “fare il punto” su cosa significa oggi — se significa ancora qualcosa — “essere hacker”.

Tredici anni fa nessuno sapeva esattamente di essere “qualcosa”, o meglio “qualcuno”.

Hacker? si, no, forse. Eravamo pieni di speranze e di fiducia nella nostra capacità di cambiare il mondo.

Oggi, dopo tredici anni, il mondo ha cambiato (tanti di) noi.

Oggi, un biglietto da visita con su scritto “hackerqualchecosa” — come il diciotto all’università e la sigaretta — non si nega a nessuno.

Gli hacker di una volta e quelli che oggi fanno finta di esserlo sono (ri)entrati nei ranghi.

Quelli più concreti sono diventati accademici, imprenditori e dirigenti d’azienda. Quelli meno capaci di “gestire l’immagine”, invece, fanno i sottoproletari della sicurezza. “Risorse” — risorse, non persone — che possono essere sacrificate senza troppi rimorsi quando, fidandosi della “parola” dei commerciali, fanno partire quel certo contratto di penetration-test non ancora firmato ma che “sostanzialmente” è come se lo fosse, per poi trovarsi denunciati e sull’orlo del licenziamento…

Qualcuno si è messo a fare lo spione, qualcun altro il criminale (ma forse non c’è poi tutta questa differenza). I più saggi si sono dedicati alla famiglia, allo studio e alla crescita personale, cercando di recuperare gli anni passati nelle vesti di Peter Pan.

E poi ci sono i cialtroni.

Quelli che hanno sfruttato ragazzini dotati tecnicamente ma del tutto immaturi. Incapaci di essere credibili dentro quei vestiti a tre pezzi con cravatta regimental, indispensabili per partecipare alla riunione, pardon, al meeting con il megacliente di turno. Mentre i cialtroni di cui sopra si preoccupavano solo di sgattaiolare furtivamente fra i corridoi dell’azienda per lasciare “regalini” su qualche scrivania e vendere di tutto senza nemmeno preoccuparsi di sapere cosa avessero effettivamente fra le mani. “Vai genio!”

In tutto questo caos, comunque, una cosa sola non è cambiata ma, anzi, è peggiorata: la (in)sensibilità della gente e delle istituzioni rispetto ai problemi provocati causati da (chi progetta e realizza) programmi e computer. Il grido di allarme sull’insicurezza dei sistemi che già più di vent’anni fa arrivava dal Chaos Computer Club nella forma di una clamorosa e innocua operazione dimostrativa di furto elettronico e che è stato amplificato anche dagli smanettoni italiani è caduto nel vuoto. E quando hanno provato a dire che il Re era nudo, sono stati ricompensati con minacce (mai messe in pratica, chissà perchè) di azioni legali e richieste di risarcimento miliardarie.

Progressivamente, come l’ultimo dei Jedi, gli hacker del passato sono scomparsi dalla percezione dei più. Resi invisibili dalle luci accecanti che promuovono l’ennesimo gadget tecnologico, coperte le loro comunicazioni dal rumore assordante di mandrie telematiche di utenti-buoi che vagano da questo a quel social network, gli hacker di un tempo e le nuove generazioni vivono nell’oblio dei più e nell’isolamento. Non è certo possibile dare loro torto, ma questa scelta rinforza ancora di più la necessità che di Spaghetti Hacker si trasmettano la mente e il cuore.

Ridare vita a questo libro, dunque, non è un’operazione nostalgia, ma un atto d’amore, con molta “nostalgia nel cuore”, per un periodo epico, irripetibile della vita nostra e di quella di tantissime persone, e che ha anche coinciso con i nostri vent’anni.

Ecco a voi, ancora una volta, gli Spaghetti Hacker.

Pescara, maggio 2011

Andrea Monti – Stefano Chiccarelli

 

 

 

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