La Scienza non è democratica, medicina compresa

Sostiene Luca Fazzi, professore ordinario di sociologia dell’università di Trento che la scienza è democratica e sulla base di questo assunto deduce che

la cosiddetta “scienza medica” con la sua mole di dati statistici e epidemiologici non è l’unica fonte di legittimazione di un dibattito democratico.

Il prof. Fazzi cita a sostegno di questa conclusione qualche esempio di frode scientifica, di manipolazione politica di definizioni mediche e delle affermazioni come

Ricordare per esempio che il morbillo è una malattia che causa ancora decine di migliaia di morti all’anno solo tra i bambini del mondo nei paesi in cui è assente un sistema sanitario decente e le condizioni di indigenza spaventose è un atto che osta al principio dell’interrogazione e dell’argomentazione su cui si fonda un dibattito veramente democratico? Sostenere che il calo del tasso di mortalità della pertosse da 42,5 casi per 100.000 nel 1890 a 0 casi nel 2016 è dovuto forse più al generale miglioramento delle condizioni di vita che non ai vaccini è populismo?

Il ragionamento non convince: anche se è intuitivo pensare che il miglioramento delle condizioni ambientali incida positivamente sulla sopravvivenza delle popolazioni, questo non consente di affermare che la medicina non abbia avuto un ruolo essenziale nel combattere malattie e pestilenze.

Ma credo che la posizione del prof. Fazzi sia viziata, a un livello più generale, da una confusione di piani.

La scienza in quanto tale – e le discipline che, come la medicina, ne fanno uso – non è certamente democratica. La velocità della luce – come disse con brillante causticità Piero Angela – non si decide per alzata di mano e l’unico “giudice” del lavoro di uno scienziato è l’esperimento che assevera o sconfessa una teoria. E su questo c’è poco da discutere.

Poi, ed è un piano separato, c’è l’interazione fra i risultati scientifici e le varie manifestazioni – a volte stupide e ignoranti, quando non criminali – del comportamento umano.

Contestare la validità di un dato scientifico con argomenti che di scientifico nulla hanno è metodologicamente sbagliato, mentre è più che accettabile avere opinioni diverse sulle scelte politiche relative all’applicazione dei risultati in questione.

Un politico – magari per ingraziarsi la piazza – può sostenere contro l’evidenza scientifica che non sia necessario vaccinare un bambino, e può anche legiferare eliminando l’obbligo della profilassi. Ma deve avere l’onestà intellettuale di riconoscere che della scienza “se ne frega”, invece di cercare a tutti i costi di trovare una giustificazione “scientifica” per una scelta che non lo è.

E non ci sarebbe nulla di male in un governo della superstizione: il passato remoto e recente – per non dire dell’oggi – è pieno di regimi basati su superstizioni di vario genere. L’importante è dirlo chiaramente: “signori, le nostre decisioni sono assunte sulla base dell’oroscopo, dei fondi di caffè e, per buona misura, dell’I-Ching”. Poi, ciascuno trae le proprie conclusioni.

E’ un altro paio di maniche, poi, il fatto che ci siano studi taroccati o in malafede e altre forme di scientific misconduct, oltre a un atteggiamento irresponsabile e superficiale dei mezzi di informazione che spacciano per certo quello che è soltanto un’ipotesi, o non capiscono che uno studio su quaranta persone non ha alcun valore statistico e non serve nemmeno a stabilire una correlazione attiene all’ignoranza di chi si professa “professionista dell’informazione”, ma evidentemente senza titolo.

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