Cass. Sez. VI penale Sent. 433/02

REPUBBLICA ITALIANA
 
In nome del Popolo Italiano
 
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sezione Sesta Penale
 
Composta dai signori:
 
Dott. Luigi Sansone Presidente
1. Dott. Luciano Deriu Consigliere
2. Dott. Antonio S. Agrò Consigliere
3. Dott. Francesco Serpico Consigliere
4. Dott. Giovanni Conti Consigliere
 
ha pronunciato la seguente
 
SENTENZA
 
Sul ricorso proposto da
C. V., n. XXXX il XXXXXXXX
 
Avverso l’ordinanza in data 23-30 agosto 2001 del Tribunale di Roma
 
Visti gli atti, l’ordinanza denunziata e il ricorso;
Udita la relazione fatta dal Consigliere dott. Giovanni Conti;
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. Mario Fraticelli, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Udito per il ricorrente l’avv. Titta Madia, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
 
Fatto
 
Con ordinanza in data 23-30 agosto 2001, il Tribunale di Roma, adito ex articolo 309 c.p.p., riformava in parte, attraverso l’applicazione degli arresti domiciliari, l’ordinanza in data 6 agosto 2001 del Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale, con la quale era stata applicata a C. V., funzionario del Ministero dell’Economia, la misura della custodia cautelare in carcere in ordine ai reati di cui agli articoli 81 cpv., 110, 615-ter, commi primo, secondo n.2, e terzo, e 61 n.2 c.p. (capo 2: commesso in Roma dal 18 dicembre 2000 al febbraio 2001) e di cui agli articoli 110, 351 c.p. (capo 3: commesso in Roma in data successiva e prossima al 18 dicembre 2000).
Più dettagliatamente, al C. veniva contestato, quanto al capo 2, in concorso con S. P., tenente colonnello dei Carabinieri, L. D., brigadiere CC. del Nucleo Radiomobile di Roma, e C. R. A., maresciallo CC. del ROS, sezione Anticrimine di Roma, di essersi introdotto abusivamente nel sistema informatico della sezione ROS di Roma delegata allo svolgimento delle indagini nel procedimento numero 16236/99 e in varie banche-dati interforza; e quanto al capo 3, in concorso con i predetti soggetti, di avere sottratto la trascrizione del verbale di interrogatorio reso da D. F. A. nel procedimento numero XXXXX/99, cosa particolarmente custodita nella sezione ROS CC. di Roma, delegata allo svolgimento delle indagini e custode del documento.
Avverso la riferita ordinanza del Tribunale del Riesame di Roma ricorre per Cassazione il C., a mezzo dei difensori, che deducono:
1) Manifesta illogicità della motivazione in punto di sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, posto che il Tribunale, trascurando le puntuali deduzioni difensive, si è basato su una mera presunzione (l’interesse del C. a conoscere il contenuto dell’interrogatorio del D. F.) per desumerne una sua condotta di istigazione nei confronti di coloro che materialmente appresero copia della trascrizione del predetto atto difensivo; essendo invece da ritenere che il semplice movente costituisce un mero indizio, non idoneo a sorreggere una misura cautelare, in mancanza di altri elementi indiziari. In particolare il Tribunale ha trascurato di considerare che il C. poteva legittimamente ottenere copia delle trascrizioni dell’interrogatorio reso dal D. F.; che tale atto riguardava una moltitudine di persone potenzialmente interessate a ottenerne copia; che coloro che materialmente si procurarono abusivamente copia dell’interrogatorio non necessariamente erano stati istigati da chi aveva interessa a conoscerne il contenuto, potendo ben avere agito a sua insaputa, per compiacerlo o addirittura per scopo intimidatorio.
2) Erronea applicazione dell’articolo 351 c.p., atteso che l’acquisizione di una mera copia di un atto (nella specie, attraverso la stampa del relativo documento informatico) non determina la sottrazione o la dispersione di questo, che rimane comunque nella disponibilità del pubblico ufficio.
3) Mancanza di motivazione in ordine alle esigenze cautelari, essendosi omesso di esporre quali specifiche esigenze imponessero l’adozione della misura custodiale, sia pure nella forma domiciliare.
 
Diritto
 
Il primo motivo di ricorso, al limite dell’ammissibilità, appare infondato. Contrariamente a quanto dedotto, il Tribunale non ha tratto gli indizi di colpevolezza in ordine al reato di cui al capo 2 da mere presunzioni, avendo fondato il suo convincimento non solo sul movente rappresentato dall’evidente interesse dell’indagato a conoscere il contenuto dell’interrogatorio del D. F. ma sulle specifiche ed obiettive risultanze delle intercettazioni di comunicazioni intercorse tra il C., il S. e il D., in ordine alle quali il ricorrente non spende parola.
In ordine al terzo motivo di ricorso deve rilevarsi la sopravvenuta perdita di interesse, essendo stato nel frattempo il C. posto in libertà con successivo provvedimento.
E’ invece fondato il secondo motivo.
La fattispecie incriminatrice di cui all’articolo 351 c.p. prevede la condotta di chi “sottrae, sopprime, distrugge, disperde o deteriora corpi di reato, documenti ovvero un’altra cosa mobile particolarmente custodita in un pubblico ufficio, o presso un pubblico ufficiale o un impiegato che presti un pubblico servizio”.
Nel caso in esame è stato contestato al C. di avere in concorso con i coindagati, sottratto la trascrizione del verbale di interrogatorio reso da D. F. A. nel procedimento penale n. XXXXX/99, cosa particolarmente custodita nella sezione ROS dei CC. di Roma, delegata allo svolgimento delle indagini e custode del documento.
Tale condotta sarebbe stata realizzata attraverso l’ottenimento della stampa dell’atto predetto versato sull’archivio informatico del ROS.
Ora, benché la condotta presa in esame dalla norma incriminatrice non esclude che essa possa riguardare non solo l’originale di un atto, ma anche una copia di esso, che rilevi per la sua individualità (Cass., sez. VI, 16 marzo 1993, Chirico), il concetto stesso di sottrazione implica che una determinata res fuoriesca dalla sfera di disponibilità del legittimo detentore, che ne venga conseguentemente privato; il che nella specie non si è verificato, in quanto l’ufficio del ROS non è stato affatto privato dell’atto e nemmeno di una sua copia, trattandosi di una riproduzione su carta, teoricamente illimitata, di un file esistente su supporto informatico, rimasto intatto. In altri termini, la “copia” dell’atto non preesisteva fisicamente alla condotta di impossessamento, ma è stata ottenuta proprio tramite l’abusiva stampa del file, sicché non può dirsi che l’atto sia stato “sottratto” al pubblico ufficio, ferma restando la configurabilità del distinto reato di cui all’articolo 615-ter c.p.
 
L’ordinanza impugnata va pertanto annullata senza rinvio, limitatamente al reato di cui all’articolo 351 c.p., mentre il ricorso va rigettato nel resto.
 
P.Q.M.
 
Annulla senza rinvio l’impugnata ordinanza limitatamente al reato di cui all’articolo 351 c.p.
Rigetta nel resto il ricorso.
 
Così deciso addì 19 febbraio 2002.
 
Il Consigliere Estensore
 
Il Presidente
 
Depositato in Cancelleria VI Sezione Penale
Oggi, 27 agosto 2002

per gentile concessione di penale.it 
 

Possibly Related Posts: