Un estratto da Codici Nascosti

Ho scritto Segreti, spie, codici cifrati – insieme a Corrado Giustozzi ed Enrico Zimuel – quasi venti anni fa e, ora che il libro è fuori catalogo, avevo pensato di pubblicarlo nuovamente, magari con qualche piccolo aggiornamento.

In realtà, come sempre succede in questi casi, il libro si è impadronito dell’autore e ha preso una forma diversa e autonoma rispetto al progetto originario.

Quello che segue è un estratto dal capitolo 2 di Codici Nascosti, un libriccino, un pamphlet sulla crittografia che riparte da dove si era fermato il suo predecessore.

Parla di esperti di crittografia, ma se lo si riferisce a quelli di GDPR “funziona” lo stesso…

Capitolo 2 – Il Massimo Esperto

La politica e il diritto condividono una caratteristica del tutto particolare che li differenzia da qualsiasi altra branca delle pratiche sociali: sono trasversalmente pervasive. In altri termini, si sovrappongono – meglio, condizionano – il funzionamento di tutte le altre attività dell’essere umano.

La Scienza, in quanto tale, non ha certo bisogno di Pandette e interrogazioni parlamentari per generare conoscenza. Ma in termini concreti è impensabile che qualsiasi ricerca possa prescindere da un intervento politico e, a valle, normativo. Ci si aspetterebbe dunque, che chi ha in mano le leve del potere le usi applicando il principio “conoscere per deliberare”, adottando posizioni politiche tradotte in norme giuridiche sulla base di una comprensione chiara delle componenti tecniche (cioè extra politiche ed extra giuridiche).

Sulla carta, il processo decisionale funziona esattamente in questo modo.

Ciascun parlamentare riceve dal suo staff un rapporto introduttivo sul tema da discutere, vengono organizzati dibatti pubblici o consultazioni dirette con rappresentanti dell’industria e dell’accademia e poi in aula e nelle commissioni si discute dell’indirizzo strategico da tradurre in leggi dello Stato.

Dunque, il processo decisionale appare estremamente efficiente e privo di sostanziali difetti, ma quando arrivano i risultati, molto spesso – quasi sempre – ci si domanda come sia stato possibile produrre una legge, ancor prima che ingiusta, semplicemente sbagliata nei suoi presupposti tecnici.

Le cause efficienti sono – evidentemente – parecchie ma si possono ridurre essenzialmente a una causa prima: prevalenza di una particolare lobby sulle altre che si occupano della stessa materia. Ma – corruzione e interessi privati a parte – come è possibile che ai politici giungano messaggi sbagliati o peggio strumentalizzati?

Il punto è che molto raramente un politico ha conoscenze dirette del tema di cui si sta occupando. E se pure “capisce” di appalti pubblici, non è detto che abbia analoga competenza in materia di istruzione, bilancio, difesa e via discorrendo.

Ecco, dunque, che entra in gioco “il massimo esperto”.

Quando un argomento è molto complesso è, paradossalmente, più facile parlarne al di fuori dei circoli degli addetti ai lavori non sapendone nulla. Non è necessario documentarsi in modo approfondito, e nemmeno capire esattamente quale sia il dibattito relativo alla materia di cui ci si deve (dis)occupare. Con altissima probabilità, infatti, l’uditorio ne sa meno dell’oratore perchè gli esperti non partecipano a eventi divulgativi, e chi partecipa a un evento divulgativo ha ben poca dimestichezza con l’argomento.

Il risultato è che praticamente chiunque si può autonominare “esperto” di qualche cosa e poi, se ha una appena decente capacità di “intrufolo”, cominciare a imperversare in convegni “di genere” – ma rigorosamente generalisti – nei quali dopo qualche tempo verrà accreditato da tutti come “il massimo esperto”.

La nomination è ulteriormente accelerata se “il massimo esperto” riesce ad agganciare qualche giornalista-freelance (nome elegante che indica il sottoproletariato dell’informazione, costretto a lavorare a prezzi da fame anche per testate di gran nome) che lo trasforma in opinionista quattro stagioni.

Il risultato è che si propagano idee e concetti, nella migliore delle ipotesi, imprecisi e nella peggiore marchianamente sbagliati. E quando qualcuno, timidamente, fa notare che le cose non stanno come “il massimo esperto di …” ha detto, viene immediatamente ridotto al silenzio, reo di lesa maestà.

Nel caso specifico della crittografia applicata, quello della firma digitale è l’ambito in cui “il massimo esperto” ha prodotto i danni più evidenti, anche se non sono mancati casi meno eclatanti (ma ugualmente gravi) che hanno riguardato la messa in pericolo dei diritti civili, a partire dall’equivoco semantico frutto di evidente malafede intellettuale del trattare la crittografia come se fosse un’arma.

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