Contro i pirati

Associare “pirateria” e utilizzo non autorizzato di opere protette dal diritto d’autore – musica compresa – non è un’invenzione delle major dell’audiovisivo, ma risale ad almeno due secoli fa. Ma aveva – e ha – senso usare questa parola?
di Andrea Monti – Audioreview giugno 2017
Nel pamphelt Cenni sulla pirateria libraria pubblicato nel 1877, l’economista Melchiorre Gioia, lamentandosi dell’ennesimo stampa non autorizzata di un suo libro, scriveva:

L’Italia non manca di stampatori che farebbero l’aggressore sulle strade se ne avessero il coraggio; è il timore della forca, se non il sentimento del giusto che li ritiene dal prendervi di notte pel collo e dirvi: La borsa o la vita. In abili al mestiere dell’assassinio per tutt’altro motivo che per mancanza di volontà, essi esercitano l’industria del borsaiuolo e del ladro. Essi ristampano le altrui opere senza l’assenso degli autori; e, mentre il tagliaborse danneggia la sola persona del derubato, lo stampatore-ladro danneggia gli autori e il pubblico.

Cento anni prima, siamo nel 1770, un giovane Wolfgang Amedeus Mozart riuscì ad entrare nella Cappella Sistina dove era in esecuzione il Miserere di Gregorio Allegri e, contravvenendo al divieto di farne conoscere la partitura al di fuori delle mura vaticane pena la scomunica, lo imparò a memoria e lo trascrisse.

Queste due vicende sono ai due estremi del rapporto fra autore-opera, da un lato, e pubblico (in senso lato) dall’altro.

Melchiorre Gioia si lamenta – non diversamente da quello che fanno oggi i “difensori del copyright” – del danno economico provocato dalla Büchernachdruk (vedremo dopo cosa significa), mentre Mozart compie un atto di superiorità intellettuale nei confronti di chi vuole mantere segreto e riservato a pochi il sapere. E’ evidente che si tratta di azioni totalmente diverse perchè diverso è il fine per il quale sono state commesse.

Eppure, per la legge vigente oggi, sia lo stampatore ladro, sia il musicista geniale sarebbero colpevoli dello stesso atto illecito: avere riprodotto in modo non autorizzato – piratescamente – un’opera protetta dal diritto d’autore. Sia Mozart, sia lo stampatore dei “capolavori” di Gioia erano e sono dei “pirati”.

“Le parole sono importanti!” gridava un isterico Nanni Moretti alla giornalista che gli chiedeva del “trend negativo” e dunque vale la pena di chiedersi se sia veramente corretto tradurre Büchernachdruk con “pirateria libraria” – come fanno praticamente tutti – invece che con il suo significato letterale, cioè “ri-stampa” intesa come “stampa non autorizzata”. E se sia – ugualmente – qualificabile come “pirata” chi regala al mondo una musica destinata alle orecchie di pochi.

La differenza non è banale, perchè come rende evidente lo sfogo livoroso di Melchiorre Gioia, la “pirateria libraria” è associata al furto, all’assassinio e addirittura all’associazione per delinquere. Ma la “ri-stampa” (non solo di libri, ma anche – in senso lato, come nel caso di Mozart – di musica) non è sempre un atto dalle conseguenze negative e, in alcuni casi, può addirittura condurre a una maggiore diffusione delle espressioni artistiche anche fra chi non può permettersi di pagare il prezzo di (inutilmente) costose edizioni, o di chi non è “degno” di accedere ai luoghi dove sono eseguite certe musiche.

Dunque, se già nel 1785 Kant scriveva nel Gesammelte Schriften che l’editore non autorizzato si intrometteva illecitamente nel rapporto fra autore ed editore “vero” perché legato da un contratto e che, dunque, ciò doveva essere vietato, gli faceva eco Johann Reimarus che nella stessa epoca, e sempre in Germania si batteva per la diffusione della cultura proprio tramite le ri-stampe.

La tesi di Reimarus può essere sintetizzata in questi termini: consentire le ri-stampe (quelle che Gioia, Kant e i loro eredi ideologici moderni chiamerebbero “pirata”) è un modo per rompere i monopòli e consentire la massima diffusione della cultura.

Ma, attenzione, Reimarus non era un sostenitore della circolazione gratuita delle opere dell’ingegno. Al contrario, egli era ben consapevole del loro valore economico e del fatto che la vendita delle copie stampate produceva guadagni. Ma era altrettanto consapevole – e questa è la base del suo pensiero – che limitare il diritto di pubblicazione significava creare nicchie di privilegio e discriminazione dei “consumatori”. In altri termini, Reimarus sosteneva una sorta di modello iperliberista nel quale la pluralità delle edizioni di una stessa opera a cura di soggetti diversi avrebbe provocato il massimo abbassamento del prezzo.

E’ la stessa logica che sta alla base della guerra commerciale fra società di trasporto che si combattè in Inghilterra nei primi decenni del secolo scorso, quando i “pirati” della Cambrian Buses and Motor Coaches che cercavano di scalzare il monopolio London General Omnibus Company pubblicando manifesti che recitavano testualmente:

I pirati del mare pensano soltanto a loro stessi, i pirati sulla strada aiutano il pubblico!

E allora, se tanto mi da tanto, chi sono i veri pirati?

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