Questione autovetture inquinanti. Ancora una prova di scarso rigore dei media

Prosegue, ancora con l’analisi di un articolo sul caso FCA-emissioni inquinanti, lo studio empirico che sto conducendo sul tema bufale online, fake e leggende urbane e sulla presunta “superiorità” dei media “professionali” rispetto ai post di singoli individui.

Nello specifico, mi occupo di questo articolo de Il Fatto Quotidiano dal titolo Dieselgate, tutti i buchi nel rapporto del ministero di Delrio: per le auto Fiat test a domicilio e dati mancanti.

Come sarà chiaro alla fine della lettura di questo post, l’articolo interpreta i fatti in modo impreciso, dimostrando scarso rigore logico  (dote fondamentale, quando si devono trarre conclusioni su questioni tecniche e scientifiche) e dunque fornisce una informazione distorta.

Luigi Franco (autore del pezzo) scrive:

Da tempo le istituzioni internazionali sanno che in condizioni reali di guida le emissioni dei veicoli, comprese quelle degli ossidi di azoto (NOx), sono maggiori di quelle rilevate in fase di test. Un problema che in Europa dipende da un regolamento sulle omologazioni che non viene più aggiornato dal 2007.

Correttamente, dunque, il giornalista evidenzia che le norme per le omologazioni sono vecchie e (anche se non lo dice espressamente) non idonee a regolare la gestione delle emissioni inquinanti.

A questo punto sarebbe stato lecito aspettarsi un’analisi delle regole in questione e l’indicazione dei punti che necessitano un aggiornamento. E invece no, perché l’articolo prosegue dando voce alle critiche del presidente di un’associazione ambientalista a proposito dei test commissionati all’indomani dello scandalo Volkswagen dal Ministero delle infrastruttre all’Istituto motori del CNR. In particolare, viene riportata una dichiarazione secondo la quale

anziché i controlli a campione sul parco circolante, le auto testate sono nuove e messe a disposizione dalle stesse case automobilistiche. “E quindi – fa notare Gerometta – non possono dare alcuna garanzia di rappresentatività dei veicoli dello stesso modello realmente in circolazione”.

E’ un’affermazione che dal punto di vista del metodo è priva di senso. Utilizzare per i test dei veicoli non nuovi è il modo migliore per fornire risultati inattendibili perché mancano la possibilità di conoscere l’effettivo stato di manutenzione del mezzo, le effettive condizioni di utilizzo o, tanto per dirne ancora una, la presenza o meno di componenti alterati o non originali.

Ciononostante, parlando dei risultati in condizioni reali, Franco scrive:

E i risultati dei test, in particolare per le vetture Fca, sono tutt’altro che esaltanti. Come già emerso nelle prove condotte negli altri Paesi, le soglie limite di emissioni vengono rispettate da tutti i marchi nelle condizioni di prova valide per ottenere l’omologazione europea (ciclo di test Nedc), mentre nelle prove, sia in laboratorio che su strada, che simulano i comportamenti delle auto in condizioni normali di guida, gli sforamenti sono generalizzati. Con le Fca a fare peggio delle altre

Ma in tutto l’articolo manca l’unica domanda che Franco dovrebbe farsi, dato che in apertura dichiara che il problema sta nella vecchiezza delle norme sulle omologazioni: se le vettura FCA non hanno “defeat device” e rispettano i parametri giuridici fissati dalle omologazioni, perché dovrebbero essere penalizzate dai test di utilizzo in condizioni reali?

In altri termini: possiamo anche essere d’accordo – in astratto – sul fatto che una vettura possa avere prestazioni diverse in ambiente controllato e su strada. Ma le regole europee utilizzano i test NEDC come parametro legalmente valido, e  se si ritiene che quel parametro sia non più efficace, che si cambino le regole e si diano ai costruttori i tempi necessari per adeguare progetti e vetture.

E allora, per venire al dunque, l’articolo di Franco si riduce a criticare FCA perchè rispetta regole insufficienti a tutelare l’ambiente: ma allora il problema sono le regole, e non FCA.

Un lettore attento potrebbe, certamente, arrivare a questa conclusione ma l’articolo non la evidenzia in modo chiaro e alla fine lascia più confusione (o più errate certezze) di quelle che si avevano prima di leggerlo.

Il punto di tutto questo discorso è che, certamente, non possiamo chiedere a chi pubblica qualcosa sul proprio profilo Facebook di essere un Richard Feynman, ma abbiamo il diritto di pretendere che chi “fa” informazione professionale sia sempre, assolutamente, rigoroso nei processi logici e nella verifica delle fonti, per arginare la piena di approssimazione, pseudoscienza e fanatismo che invade la rete.

 

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