Caso Tiziana Cantone. Dal Tribunale di Napoli un pericoloso precedente giudiziario

Il 3 novembre 2016, la seconda sezione civile del Tribunale di Napoli ha emanato una decisione relativa all’obbligo di Facebook di rimuovere contenuti (nello specifico, link a siti di terze parti pubblicati da utenti del social network) semplicemente su richiesta di un utente e senza aspettare l’ordine dell’autorità giudiziaria.

Il caso è relativo al suicidio di una donna  che, inizialmente, aveva inviato ai suoi partner i video dei loro incontri privati, per poi scoprire che questi video erano stati messi in rete e liberamente disponibili. Non riuscendo a reggere le conseguenze della diffusione non autorizzata di questi video, la donna poneva fine alla propria esistenza.

Pur premettendo i soliti paragrafi sull’assenza per i provider di obbligo preventivo di sorveglianza ai sensi del d.lgs. 70/2003 (che recepisce la direttiva e-commerce), in realtà il tribunale ha affermato l’esistenza di questo obbligo, creando un pericolosissimo precedente.

I principi di diritto enunciati dal tribunale di Napoli sono:

  • un fornitore di servizi di comunicazione elettronica deve rimuovere un contenuto a semplice richiesta di un utente, anche se la richiesta non ha un titolo giuridico (sentenza, ordine di sequestro, ecc.),
  • non c’è bisogno di attendere l’ordine di una “autorità competente”, così come definita dalla direttiva e-commerce,
  • l’ordine di rimozione non vale solo per la richiesta specifica, ma estende il suo vigore anche per il futuro, nel caso qualcuno dovesse nuovamente pubblicare il contenuto rimosso.

L’interpretazione del Tribunale di Napoli è forzata e sbagliata perché fa dire alla direttiva e-commerce esattamente il contrario di quello che il legislatore comunitario aveva inteso. La norma comunitaria stabilisce che:

  •   la decisione sull’esistenza di un diritto e sulla sua applicazione spettino solo alle autorità competenti (magistratura e, nei casi non riservati dalla legge alla magistratura, autorità indipendenti e amministrative). Non è possibile, in altri termini, che un fornitore di servizi di comunicazione elettronica sia, in un colpo solo, inquisitore, giudice e boia,
  • il divieto assoluto di monitoraggio preventivo è, appunto, assoluto, mentre la decisione del Tribunale di Napoli lo trasforma, di fatto, in un obbligo relativo introducendo un concetto che si potrebbe definire come “monitoraggio individuale”.

Siamo di fronte all’ennesima confessione di resa (o di disinteresse) di Stato e Magistratura verso gli illeciti online, che si traducono nello scaricare sui fornitori di servizi di comunicazione elettronica tutti gli obblighi (e le responsabilità) che spettano invece alle istituzioni pubbliche.

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