Cass. Sez. lavoro – Sent. 15534/12

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi sigg.ri Magistrati

Dott. Alessandro De Renzis, Presidente
Dott. Pietro Venuti, Consigliere
Dott. Gianfranco Bandini, Consigliere,
Dott. Giulio Maisano, Consigliere,
Dott. Giusepe De Marzo, Rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso 23560-2008 proposto da Tizio, elettivamente domiciliato in Roma, Via Simone de Saint Bon, 89 presso lo studio dell’avvocato Genovesi Federico che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati Perfigli Debora, Momigliano Paolo, giusta delega in atti; Ricorrente

contro

INPDAP – ISTITUTO NAZIONALE DI PREVIDENZA PER I DIPENDENTI DELL’AMMINISTRAZIONE PUBBLICA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, via Cesare Beccaria, 29 presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dall’avvocato Massafra Paola, giusta delega in atti, Controricorrente
avverso il decreto n. 714/2008 della Corte d’appello di Genova, depositata lì 08/08/2008 RGN 151/2007;

  • udita la relazione della causa svolta nella pubblica udeinza del 11/07/2012 dal Consigliere Dott. Giuseppe De Marzo,
  • udito l’avvocato Agostini Paola per delega Momigliano Paolo,
  • udito l’avvocata Cipriani Giuseppe per delega Massafra Paola,
  • udito il PM in persoa del Sostituto Procuratore Generale Dott. Giulio Romano che ha concluso per il rigetto del ricorso

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza depositata in data 8 agosto 2008, la Corte d’appello di Genova ha confermato la decisione di primo grado che aveva rigettato le domande proposte da Tizio nei confronti dell’Istituto Nazionale di Previdenza per i Dipendenti dell’Amministrazione Pubblica (d’ora innanzi INPDAP), al fine di ottenere la condanna dell’Istituto al pagamento dell’indennizzo o della retribuzione o alla restituzione del risultato utile ex art. 2041 cc, in relazione alla realizzazione dì un “software'” finalizzato alla gestione e liquidazione dell’indennità premio di servizio.
La Corte territoriale ha ritenuto che tra le parti fosse intervenuto un negozio giuridico con il quale Tizio aveva consentito l’uso gratuito del sistema informatico da parte dell’Istituto datore di lavoro e che ciò escludeva l’esistenza di un illecito.
Anche le restanti domande proposte da Tizio sono state ritenute infondate: quella basata anche sull’art. 2126 cc e 36 Cost, dal momento che non erano state provate differenze stipendiali tra l’originario profilo di Tizio e quello nel quale rientravano le mansioni di natura informatica alle quali il lavoratore era stato progressivamente addetto; quella proposta ex art. 2041 cc, dal momento che esisteva un titolo che giustificava l’utilizzo del software da parte dell’istituto.
Avverso tale sentenza Tizio ha proposto ricorso per cassazione affidato a sette motivi. L’INPDAP ha resistito con controricorso e ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c.

MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo, Tizio lamenta violazione e falsa applicazione degli artt 324, 329, II comma e 346 c.p.c, nonché dell’art. 2909 cc, dolendosi del fatto che la Corte territoriale abbia ritenuto passato in giudicato, per omessa impugnazione, il capo della sentenza di primo grado, con il quale il Tribunale di Genova aveva dichiarato il difetto di giurisdizione dell’autorità giurisdizionale ordinaria per le pretese economiche afferenti il periodo anteriore al 1° luglio 1998, nonostante che nell’atto di appello egli avesse specificamente contestato tale decisione, alla luce del carattere permanente dell’illecito dell’INPDAP.

2. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli art. 75. 83, 156 c.p.c, dell’art. 1418 cc. dell’art. 416 c.p.c e dell’art. 112 c.p.c, per non avere it Tribunale, prima, e la Corte territoriale, poi, esaminato le questioni pregiudiziali sollevate nella prima udienza di trattazione e poi confluite nella memoria autorizzata del 20 gennaio 2005 ossia: a) la questione della nullità della memoria di costituzione INPDAP, poiché depositata con mandato alle liti nullo; b) la questione, proposta in via subordinata, dell’intervenuta decadenza ex art. 416 c.p.c. dell’Istituto, che aveva provveduto a costituirsi successivamente con mandato valido, ma in epoca successiva alla prima udienza di trattazione.

3 Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli art. 69, comma 7° d. Igs. 165/2001 e 2043 cc, richiamando l’eccezione proposta dall’INPDAP e ribadendo la natura permanente dell’illecito dell’Istituto.

4. Con il quarto motivo, il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli art. 1, 6, 64 bis, 107, 109, 158 L. 633/1941, 2577 e 2581 cc, 23 comma 2° e/o 24 r.d. 1127/1939,1803, 768 cc. In particolare, il Tizio puntualizza: a) che il trasferimento dei diritti nascenti
dall’ideazione dell’opera dell’ingegno richiede la forma scritta: b) che un’eventuale dichiarazione scritta relativa alla consegna e/o trasferimento relativa ad una parte soltanto dei diritti non comporta il trasferimento dei diritti non richiamati o menzionati; c) che
i onerosità dello sfruttamento dell’opera era incompatibile con la conversione del titolo operata dalla Corte territoriale; d) che l’ideazione dell’opera era avvenuta nel corso di un rapporto di lavoro, ancorché l’attività di inventore non fosse ricompressa tra le mansioni per le quali era stato assunto: e) che, pertanto, trovano applicazione gli art. 23 e 24 r.d. 1127/1939; f) che tali norme, inderogabili, escludono la gratuita dello sfruttamento dell’invenzione da parte del datore di lavoro; g) che la causa liberale che caratterizza il comodato è incompatibile con l’obbligo legale, previsto dai citati art. 23 e 24 r.d. 1127/1939, di mettere l’invenzione a disposizione del datore di lavoro; h) che, qualora la fattispecie potesse essere qualificata come comodato, comunque tale negozio sarebbe nullo, da un lato, ”per carenza dell’incontro della manifestazione di volontà circa la gratuità del negozio, dall’altro per carenza della causa prevista dalla legge per il comodato gratuito; i) che, infatti, la missiva del ricorrente sul quale la Corte genovese aveva fondato ‘a propria decisione era un atto unilaterale, nel quale non era dato rinvenire la dichiarazione di rinuncia al compenso e/o all’equo premio.

5. Con il quinto motivo, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli art. 1803, 2099. 2126 cc, 36 Cost, 1418 e/o 1419. 2° comma, cc, per avere la Corte territoriale trascurato di considerare che, per effetto dell’attività svolta al di fuori dell’orario a dell’ambito lavorativo, le sue mansioni si erano modificate nel corso del rapporto sotto il profilo quantitativo e qualitativo, con la conseguenza che la retribuzione corrisposta non poteva essere considerata satisfattiva. Inoltre, la Corte avrebbe omesso di considerare gli art. 32 e 37 del CCNL del 6 luglio 1995 e l’art. 13 CCNL del 16 febbraio 1999 ed allegato A. Il ricorrente si duole ancora dell’affermazione della Corte territoriale, secondo la quale egli non avrebbe dedotto né provato differenze stipendiali tra il profilo di appartenenza (I profilo) e quello cui di fatto le mansioni svolte erano riconducibili (III profilo: funzionario informatico), dal momento che egli aveva reiteratamente richiesto l’espletamento di una consulenza tecnica.

6. Con il sesto motivo, il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli art. 2730, 2731. 2735 ce, 116 cpc 2697 e 2698 cc, 421 c.p.c., per avere la Corte territoriale trascurato il valore confessorio dei documenti prodotti, ossia la lettera di trasmissione del 4 maggio 2006 a firma della dirigente, dott. Caio, e la lettera trasmessa dalla direzione generale alle direzione centrale del personale in data 29 marzo 2006.

7. Con il settimo motivo, il ricorrente lamenta omessa e/o insufficiente e/o contraddittoria motivazione, per non avere la Corte territoriale argomentato alcunché in relazione alle domande di contenuto economico, ulteriori rispetto a quella risarcitoria.

8. Per ragioni di ordine logico, va esaminato preliminarmente il secondo motivo, che e inammissibile perché, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, il ricorrente non ha dedotto in quale luogo dell’atto di appello avrebbe riproposto le relative eccezioni.

9. I motivi quarto e quinto, che, per ragioni di connessione, possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati.
9.1. Va premesso che, in sede di legittimità, la critica dell’esegesi effettuata dal giudice di mento può essere prospettata solo sotto il profilo della mancata osservanza dei criteri legali di ermeneutica contrattuale o della insufficienza o contraddittorietà della motivazione, mentre la mera contrapposizione fra l’interpretazione proposta dal ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata non rileva ai fini dell’annullamento di quest’ultima.
Ciò posto, si rileva che le censure del ricorrente ruotano attorno a norme non applicabili nel caso di specie, dal momento che, venendo in questione la realizzazione di un ‘software”, ossia un programma per elaboratore (art. 1 L. 22 aprile 1941, n. 633), la tutela speciale del lavoratore riposa sull’art. 12 bis della medesima L. n. 633/1941, che presuppone la creazione dell’opera da parte del lavoratore dipendente nell’esecuzione delle sue mansioni o su istruzioni impartite dallo stesso datore di lavoro.
Nessuna delle due ipotesi ricorre nel caso di specie, essendo stato accertato dai giudici di mento ed essendo stato riconosciuto anche dal ricorrente che egli realizzò il “software “”al di fuori dell’orario e dell’ambito lavorativo”.
Ne discende che, non sussistendo alcun obbligo legale di consegna del programma al datore di lavoro, viene meno la censura rivolta alla ricostruzione ermeneutica operata dalla Corte territoriale, secondo cui il Tizio concesse all’Istituto il diritto di utilizzazione gratuita
dell’opera.
In generale, in difetto di una norma speciale, deve escludersi che sussista una disciplina inderogabile a tutela del lavoratore che risulterebbe violata da un accordo con il quale il creatore di un programma per elaboratore ne consente l’utilizzo al proprio datore di lavoro.

10. Il sesto motivo è inammissibile, per violazione del principio di autosufficienza del ricorso, dal momento che non è indicato in modo diretto il contenuto dei due documenti ai quali il ricorrente attribuisce un’efficacia confessoria che la Corte territoriale non avrebbe valutato.

11. Il settimo motivo, prima ancora che infondato, dal momento che la Corte territoriale ha dato conto delle ragioni per le quali ha respinto le restanti domande di contenuto economico, è inammissibile, poiché difetta assolutamente il momento di sintesi richiesto dall’art 366 bis c.p.c, applicabile ratione temporis dal momento che la sentenza impugnata è stata depositata in data 8 agosto 2008.

12. Il rigetto dei motivi sopra considerati rende superfluo, per evidenti ragioni logiche, l’esame dei motivi primo e terzo, i quali muovono dal presupposto della fondatezza della domanda, della quale mirano a far retroagire nel tempo gli effetti.

13. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di egittimità liquidate in euro 40.00 per esborsi ed euro 3.000,00 per onorari, cui devono aggiungersi rimborso spese generali, iva e cap come per legge.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 11 luglio 2012

Il Consigliere Estensore
Dott. Giuseppe De Marzo
Il Presidente Dott. Alessandro De Renzis

Depositato in cancelleria il 17 settembre 2012

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