DRM: il caso Sony fra diritto d’autore e tutela dei consumatori

di Andrea Monti – PC Professionale n. 178

I sistemi di controllo dei diritti non bloccano la pirateria ma puniscono chi acquista gli originali.

Il 30 settembre 2005 un produttore di antivirus ha rilevato in un Cd musicale dell’artista Van Zant , prodotto dalla Sony BMG Entertainment, la presenza di un software per il controllo dei diritti (sostanzialmente un “anticopia”) che ha le caratteristiche di un virus. Si installa “a tradimento”, all’insaputa di chi li acquista, non è facile da rimuovere, si annida invisibile nel Pc consentendo anche ad altri virus di fare danni. Quando il fatto è stato scoperto, la Sony BMG Entertainment ha rilasciato il 3 novembre una patch che (dice) “risolve il problema”.

Questa soluzione, però, non ha soddisfatto le associazioni per la difesa dei diritti civili. Prima in Italia (www.alcei.org/index.php/archives /105), e poi negli Stati Uniti (www.eff.org/news/archives/2005_11.php#004192) sono stati presentati esposti alla magistratura e azioni giudiziarie invocando “contro” la Sony proprio il rispetto di quella legge che le multinazionali dell’intrattenimento usano nelle loro azioni di lobby e comunicazione contro la duplicazione e distribuzione non autorizzate di opere protette dal diritto d’autore.

Dopo una (discutibile) presa di posizione di Thomas Hesse (President della global digital business division di Sony BMG) secondo cui “molta gente non sa nemmeno cosa sia un rootkit, quindi perché qualcuno dovrebbe preoccuparsene” la multinazionale ha risposto ufficialmente (www.eff.org/IP/DRM/Sony-BMG /sony_response.pdf) alle critiche della EFF americana, ammettendo sostanzialmente i problemi di sicurezza provocati dal loro sistema di DRM.
Viceversa, non risultano posizioni ufficiali sull’esposto presentato in Italia da ALCEI, se non una dichiarazione resa il 29 novembre 2005 a Milano nel corso della Digital Entertainment Conference 2005 da Andrea Rosi (Executive Director New Business Development di Sony BMG Music International) secondo la quale anche loro hanno appreso la notizia dai giornali, trattandosi di una vicenda gestita autonomamente oltreoceano (il testo della dichiarazione è disponibile sul Dvd che raccoglie gli interventi della due giorni milanese).

Quella che – inizialmente – sembrava una querelle limitata al (non tanto) ristretto ambito del copyright, però, si è subito trasformata in un serio problema di ben più ampia portata quando si è scoperto che il sistema di protezione adottato da Sony BMG indeboliva le difese dei PC sui quali si installava, consentendo a virus (che puntualmente sono stati sviluppati) di infettare le macchine degli utenti. La reazione dei produttori di antivirus e di Microsoft non si è fatta attendere: il sistema di DRM della Sony BMG è stato infatti qualificato come “malware” ed è quindi finito nella “blacklist” dei programmi soggetti a “bonifica”.

Il “caso Sony” non è importante in quanto tale – tutte le aziende, presto o tardi, commettono errori o “sviste” e la multinazionale dell’intrattenimento non è la prima né sarà l’ultima – diventa però critico se viene inquadrato nel più generale contesto del rapporto fra (giusta) necessità di tutela dei diritti di proprietà intellettuale e (sacrosanto) rispetto dei diritti degli utenti.

Detta in altri termini, c’è una differenza sostanziale fra “prevenzione” (legittima) e “attacco preventivo” (fatto inaccettabile, e sanzionato dalla legge anche penalmente, con l’art.392 del codice penale – esercizio arbitrario delle proprie ragioni). Da tempo i produttori di hardware (HP e Toshiba, fra gli altri), telefonia (SonyEricsson), software (per esempio Adobe) e ora di contenuti (Sony BMG) hanno cercato di “risolvere” il problema del “contrasto” alla riproduzione non autorizzata dei contenuti incorporando nei loro sistemi delle routine di software che impediscono determinate operazioni senza alcuna valutazione sulla legittimità delle stesse. Così, per esempio, è impossibile usare Photoshop o una copiatrice a colori Toshiba per digitalizzare banconote o documenti anche se siete soltanto un grafico e non un falsario.

Per inserire in un SonyEricsson V800 la vostra musica (sulla quale, quindi, avete tutti i diritti) dovete per forza utilizzare un sistema di DRM e per ascoltare un Cd audio dovete accettare che il vostro PC venga “indebolito”. Il tutto, si badi bene, senza la minima prova che stiate commettendo un qualche atto illecito. Criminali presunti, senza nemmeno la chanche della “prova contraria”.

Quello che è peggio, è che tecnicamente – come hanno spiegato chiaramente nel corso della Digital Entertainment Conference Danilo Bruschi (professore ordinario di sicurezza dei calcolatori alla Statale di Milano) e Corrado Giustozzi (giornalista scientifico ed esperto di sicurezza informatica) – i DRM non funzionano (perché possono essere sempre aggirati) e non consentono l’effettiva gestione dei diritti d’autore nel rispetto della legge, la quale prevede che, scaduti i termini di protezione legale, si possa liberamente riprodurre l’opera.

Questo non è consentito dai DRM che bloccano irreversibilmente la copia di un Cd, impedendo, alla scadenza dei diritti, il libero uso delle opere passate nel regime legale del “pubblico dominio”. “Gestione digitale dei diritti” sì, ma dei diritti di chi?

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