Miti e leggende sui brevetti software – Parte I

Linux&C n. 54
di Cristian Miceli (trad. e adattamento di Andrea Monti – per gentile concessione di ICTLEX BRIEFS
Questo articolo analizza alcuni luoghi comuni sulla brevettabilità del software che si sono generate attorno alla proposta di direttiva 2002/0047/COD sulla brevettabilità delle Computer Implemented Invention (CII) alla luce del contrasto fra Parlamento europeo e Commissione europea, e in rapporto alle attività dell’Ufficio europeo dei brevetti (European Patent Office – EPO).

Mito 1: è solo una legge che armonizza quelle esistenti
Il Consiglio europeo per la concorrenza, la Commissione europea e il Consiglio dei ministri hanno “disinteressatament”e proposto una direttiva che, nelle sue svariate bozze, non faceva altro e nulla più che codificare e unificare le nostre attuali leggi in materia di brevetti nell’area delle computer-related-invention, senza, nel contempo, estendere l’oggetto della brevettabilità. Questa è veramente una bella favola. Su quale base costoro sostengono così vigorosamente che la Direttiva CII non stava cercando di cambiare la legge (cioè di estendere la brevettabilità) e che i gli hippy capelloni dell’open source sono in errore? Per dirla chiaramente, perchè la Commissione e il Consiglio dei ministri ci hanno detto che era così. In altre parole, le esternazioni di queste istituzioni devono essere considerate divinamente ispirate, contro le eresie della comunità open source. Se i testi delle varie bozze erano così chiari, perché il Parlamento europeo propose modifiche sostanziali in sede di prima lettura? Perchè il Legal Affairs Committee del Parlamento europeo (JURI) fece di tutto per far ripartire il processo legislativo? E perché, infine, una direttiva è stata rigettata per la prima volta nella storia europea, in sede di seconda lettura?

Mito 2: il software in quanto tale era già brevettabile
I brevetti per le “invenzioni software” sono stati concessi già da molti anni da parte dell’EPO, quindi devono essere validi e facenti parte della “legge in vigore” che la Commissione sta soltanto cercando di unificare e codificare. Quando un illecito viene impunemente commesso senza essere sanzionato, è comprensibile che molti possano inconsapevolmente considerarlo legittimo. I sostenitori della brevettabilità delle invenzioni software non hanno mai dubitato di questa possibilità, considerandola già garantita dalla legge vigente. E’ a questo punto che le obiezioni al Mito 1 cominciano a produrre risultati, perché i brevetti concessi dall’EPO non sono legali e quindi non costituiscono “legge vigente”. Nella causa Patent Applications GB 0226884.3 e 0419317.3 by CFPH L.L.C. [2005] EWHC 1589 (Pat), (“CFPH”), la High Court inglese ha confermato quello che molti di noi dicevano da qualche tempo: che la legge vigente lascia spazi di manovra validi anche per i programmi – che non sono bloccati dalla Convenzione sul brevetto europeo (European Patent Commission – EPC). Alcuni dicono che abbiamo disperatamente bisogno di chiarire la legge e rendere l’industria IT consapevole della possibilità di brevettare invenzioni che coinvolgono software senza che la presenza di software sia di ostacolo. Se questo fosse stato l’unico obiettivo della Direttiva CII, sarei stato il primo a fare pressioni per adottarla, perché non avrebbe fatto altro che confermare lo spirito dell’EPC. Ma la Direttiva CII si è spinta oltre, fino a legittimare l’antidemocratica concessione dei brevetti software da parte dell’EPO e le decisioni del Board of Appeals dell’EPO (BA), decisioni “ispirate” dai grandi nomi dell’industria software (per la maggioranza non europei). Il punto è che l’EPO e il BA sono organi amministrativi, responsabili di applicare la EPC e non di modificarla. Come si legge chiaramente nella decisione CFPH l’EPO non è dotato di uno staff di esperti economisti che sono competenti a decidere se la brevettabilità dei metodi commerciali o dei programmi sarebbe cosa buona per un paese e anche se così fosse, spetterebbe comunque al nostro Parlamento decidere. Questo commento vale per tutti gli uffici brevetti nazionali e anche per il BA che, per quanto possa sembrare una “entità giudiziaria” non ha giurisdizione sulle aree di diritto sostanziale, essendo un organo di impugnazione per questioni tecniche. Per questo motivo la CFPH ha confermato che la giurisprudenza del BA non ha funzione prescrittiva e non può modificare la legge esistente (non con metodi legittimi, perlomeno).

Mito 3: sono solo un branco di hippy
Gli unici – dicono i sostenitori della Direttiva CII – a opporsi alla brevettabilità sono i gruppi open source e i singoli programmatori. Questo è un mito molto importante per i lobbisti del brevetto perché serve a far credere che il problema riguardi il contrasto fra software proprietario e software libero nemico della proprietà intellettuale. Ma la verità è molto diversa. I brevetti software non discriminano fra settore proprietario e settore open source, ma fanno male a entrambi. Perché gli effetti della brevettabilità del software in quanto tale si estendono ai mattoni che compongono i programmi. E rappresentano quindi una enorme barriera di ingresso per chi scrive software, e in particolare per le PMI.

Mito 4: Le PMI vogliono i brevetti software
Sostenere questa affermazione era di vitale importanza per quelli che, direttamente o indirettamente, parteggiavano per la brevettabilità del software. Il perché è facilmente spiegato: prima e durante il dibattito, è stato quasi universalmente documentato che i brevetti software sono dannosi per le PMI. In secondo luogo – cosa meno risaputa – non sono Microsoft, IBM ecc. a rappresentare la chiave per l’accesso al mercato europeo. Ma sono le migliaia di PMI dell’informatica che costituiscono il fulcro dell’innovazione in Europa. E questa non è una mia conclusione, ma appartiene (come si legge nel rapporto Support To The Participation Of SMEs In The Sixth Framework Programme) a coloro che, all’interno della UE, sono responsabili di guidare l’innovazione nel settore high-tech.

Fine della prima parte

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