Decreto Urbani: sul peer-to-peer ignoranza cieca e (in)giustizia sommaria

Linux & C n.39

di Andrea Monti

Il decreto-legge n.72/2004 (http://www.alcei.it/documenti/copyright/dlp2p0472.htm) voluto dal ministro dei beni culturali Giuliano Urbani è l’ultimo di una lunga serie di provvedimenti normativi destinati a incidere molto negativamente sul futuro dell’internet. Esso, infatti, protegge sfacciatamente una ristretta cerchia di imprese (quelle dell’audiovisivo) già ipertutelate da una legge, quella sul diritto d’autore, incivile e vessatoria. Nel contempo, criminalizzando senza distinzioni utenti e ISP, rende sempre più rischioso usare e offrire servizi internet.
Infine, come se tutto questo non bastasse, stravolge letteralmente i più elementari principi di garanzia nei procedimenti giudiziari.

Questi sono, in sintesi, i contenuti del decreto-legge:
• sanzione per gli utenti che hanno già pagato per godere del diritto alla copia privata,
• istituzione della responsabilità oggettiva per i provider e dell’obbligo di controllare e denunciare i propri utenti,
• attribuzione alla polizia politica (DIGOS) il compito di prevenire le violazioni sul diritto d’autore.

Dulcis in fundo, la versione del testo immediatamente precedente quella poi pubblicata in Gazzetta Ufficiale, stabiliva, per la prima volta, che un certo uso della crittografia era illegale “in sé” e introduceva un obbligo di conservazione del traffico internet che solo pochi mesi prima il governo aveva cercato (senza successo) di imporre con la L.45/04 (vedi http://www.alcei.it/documenti/dataret/dataretcom.htm) sostenendo che “sarebbe servito per combattere il terrorismo” .

Per capire quanto arbitrario e vessatorio sia il decreto Urbani basta considerare che la formulazione attuale della legge sul diritto d’autore (quella precedente la modifica Urbani) già consente la copia privata di un’opera protetta a fronte del pagamento preventivo di un equo compenso calcolato in percentuale sul prezzo dei supporti di memorizzazione (la famigerata “tassa” sui supporti). E per fare “ingoiare il rospo” a quella maggioranza di utenti che non scarica musichette dalla rete, si disse che questo “pagamento preventivo” era l’unico modo per contemperare la tutela degli interessi delle major e i diritti degli utenti.

Dopo di che, a sorpresa, ecco che il decreto Urbani, senza abolire la “tassa” sui supporti, dice che scaricare opere protette dalla rete è illegale. Quindi, da un lato afferma che la copia privata è legalizzata dal pagamento della “tassa” sui supporti, mentre dall’altro dice che se la copia privata è eseguita da remoto si commette un illecito. Una contraddizione ancora più evidente, se si considera che la legge non impone l’obbligo di essere titolare della “sorgente” dalla quale eseguire la copia (anche perché, altrimenti, sarebbe automaticamente vietato usare il video-registratore), nè la tecnologia per eseguire la copia. Limitandosi a imporre di realizzarla in proprio senza cederla a terzi.

A buttare benzina sul fuoco degli allarmi suscitati da questo decreto legge c’è anche l’attribuzione alla Direzione Centrale Polizia di Prevenzione del Ministero degli interni (che opera a livello locale tramite la DIGOS) di poteri di oscuramento e rimozione di contenuti prima ancora che un magistrato abbia potuto pronunciarsi sulla legittimità della misura. Attribuendo alle forze di polizia, di fatto, il potere di eseguire una condanna prima che sia stata pronunciata la sentenza.

A “chiudere il cerchio” ci pensa, infine quella parte del decreto Urbani che impone agli operatori un ambiguo “obbligo di segnalazione” degli utenti che violano la legge sul diritto d’autore, il quale si traduce, in realtà, in una vera e propria denuncia. Le violazioni sul diritto d’autore, infatti, sono perseguibili d’ufficio. Basta cioè che chiunque avvisi l’autorità giudiziaria o la polizia giudiziaria (di cui fa parte la DIGOS) che è stato commesso un illecito. Anche tramite una “semplice” segnalazione.

Non stupisce che questo provvedimento abbia provocato reazioni durissime da tutte le parti. E che il governo si sia affrettato a cercare un impossibile equilibrio, con dichiarazioni (tipo “tolleranza con i giovani, pugno di ferro con chi duplica a scopo di lucro”) che però hanno fatto imbestialire anche il “partito degli esclusi” dal bonus di iperprotezione (come i discografici). E in mezzo al marasma è rispuntata – da parte delle major – la richiesta di istituire, dopo quella sui supporti, l’ennesima “tassa preventiva”. Ma questa volta sull’abbonamento internet.
In tutto questo, dopo quella sulla data-retention, l’opposizione colleziona un’altra magra figura, “cantando vittoria” per le modifiche annunciate dal governo che alleggerirebbero le sanzioni per gli utenti. Non rendendosi conto che, in realtà, nulla è cambiato dal punto di vista sostanziale e che con il suo comportamento attribuisce una “patente di legittimità” a un testo di legge meritevole di ben altri “riconoscimenti”.

Nel frattempo, però, nessuno affronta le reali questioni formali e sostanziali poste dal decreto Urbani: l’inesistenza delle ragioni di necessità e urgenza che stanno alla base dell’emanazione di un decreto legge, il mancato rispetto della procedura stabilita dalla direttiva comunitaria 98/34 che impone la preventiva analisi da parte dell’Europa delle normative nazionali incidenti sui servizi della società dell’informazione , ma, soprattutto, l’inutilità dell’ennesimo provvedimento “contro” la rete.
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1 Veniva infatti sanzionato l’uso di tecnologie di cifratura per occultare gli scambi di opere protette.
2 Quest’ultima parte, come detto, non ha trovato spazio nel testo definitivo ma evidenzia molto chiaramente che tipo di “aria” tira nelle stanze del potere. Peraltro, nulla esclude che in sede di conversione queste norme non vengano riproposte.
3 Si legge in proposito in un comunicato diffuso dall’ALCEI: “Il terrorismo – non da oggi – è una minaccia grave e reale e va sicuramente accettato quanto consente di combatterlo nel modo più efficace. Ma non al prezzo di ledere indiscriminatamente il rispetto dei diritti fondamentali instaurando un sistema di schedatura preventiva di massa. Sistema, che, per di più, mette a rischio interi comparti economici del Paese, come banche, assicurazioni e, in generale, tutti quei settori che trattano informazioni personali.
Siamo, ancora una volta, di fronte all?ennesimo tentativo di imporre censura e repressione approfittando dei pretesti più vari (e drammatici, come in questo caso) per legittimare norme palesemente contrarie alla Costituzione.”. Vedi il Comunicato ALCEI – 23 dicembre 2003 La conservazione indiscriminata del traffico internet non serve ad arrestare i criminali e minaccia la libertà di imprese e cittadini.”. http://www.alcei.it/documenti/cs031223.htm.

4 In realtà quella sui supporti vergini non è una “tassa” in senso tecnico, perchè le somme non sono percepite dallo Stato ma da soggetti privati. Ma del concetto di “tassa” come prelievo iniqui e indiscriminato, il cosiddetto “equo compenso” possiede tutte le caratteristiche.b
5 In sintesi, l’utente che si procura opere protette (anche) tramite un network Peer-to-Peer non commette illecito penale, avendo pagato a monte i diritti d’autore. A differenza di chi mette a disposizione le opere senza averne diritto, che non può invocare alcuna giustificazione.
6 E, infatti, l’infrazione è già stata segnalata alla Commissione Europea che sta per aprire ufficialmente il procedimento.

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