Il disegno di legge sul diritto d’autore S1496: una vergogna istituzionale

Interlex n.140

di Andrea Monti

il disegno di legge S1496 sulla riforma della legge sul diritto d’autore, licenziato dal Senato lo scorso 21 giugno, riesce nella difficile impresa di peggiorare il testo approvato l’anno scorso dalla Camera con il numero C4953.
Già nella precedente versione erano contenute proposte da far letteralmente drizzare i capelli, come quella dell’istituzione di un vero e proprio regime di “pentitismo”, volto per di più non ad ottenere condanne penali ma semplici sequestri, cioè misure cautelari temporanee, a prescindere poi dall’esito del dibattimento.
O come la vanificazione dell’orientamento giurisprudenziale manifestatosi prima nella sentenza della Pretura di Cagliari del 3/12/96 e confermato – quanto al fatto commesso dai privati – da quella del Tribunale di Torino emessa il 13/7/2000, da realizzarsi sostituendo nell’art. 171 bis della legge sul diritto d’autore lo “scopo di lucro” con quello di “profitto”.

O ancora con l’inaccettabile anticipazione della soglia di punibilità alla mera costruzione o progettazione di sistemi crittanalitici per i servizi ad accesso condizionato (PAY-TV) o di sistemi di sprotezione di software, e ciò a prescindere dal fine dell’agente.
Con questo stabilendo di fatto un vero e proprio monopolio scientifico su alcuni settori importanti della ricerca. In altri termini, il dolo richiesto dalla norma è veramente troppo generico, ricalcando l’equivoco che già si pose in materia di diffusione di virus con l’articolo 615 quinquies del codice penale che, a meno di un sottile lavorio ermeneutico sullo scivoloso terreno dell’antigiuridicità, punirebbe anche lo studioso di sicurezza che per ragioni di lavoro o di formazioni detiene una “coltura digitale” di agenti patogeni.

Per non parlare della “legalizzazione” della barbara prassi del sequestro di computer quando (vedi da ultima l’ordinanza 7/2/2000 del Tribunale di Torino) finalmente la giurisprudenza comincia a recepire i contenuti della raccomandazione R/95/13 sulla necessità, nelle indagini penali, di distinguere il contenuto rilevante ai fini dell’istruttoria (dati) dal contenente il computer).
Inquietante.

Eppure tutto questo non era sufficiente: nella nuova release del disegno di legge si propone la creazione di una schedatura presso le Questure di chi “lavora” con le opere protette, l’indiscriminata applicazione del “bollino” SIAE anche a chi non è iscritto a questa società, trasformando per di più questo bollino in una specie di “marchio di qualità”, e una inaccettabile disparità di trattamento, per cui mentre l’uso personale di opere cinematografiche e musicali non sarebbe reato (art.171 ter. È punito, se il fatto è commesso per uso non personale, con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da cinque a trenta milioni di lire chiunque a fini di lucro…), la stessa cosa non vale per software e database.

Incomprensibilmente, poi, la (emananda) legge attribuisce ad una già oberata e latitante Autorità per le comunicazioni (vedi la soap opera 103/95) ulteriori competenze e funzioni di controllo e istituisce, in seno alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, un comitato per la tutela della proprietà intellettuale con vaghe quanto inquietanti poteri.
A parte facili battute sul continuo degrado della qualità dei testi normativi, è evidente che la legge in questione non è stata concepita sulla base del diritto ma delle pressioni di potenti gruppi che considerano il diritto d’autore come “cosa loro”, solo che il loro l’intervento è stato talmente massiccio e scoordinato da avere prodotto un testo al cui confronto l’Ulisse di Joyce sembra un teorema di geometria analitica.

Ancora una volta – se questo testo dovesse diventare legge – non resta che sperare nella giurisprudenza.

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