Caso Stasi e test DNA su oggetti abbandonati. Quarto Grado e il Garante dei dati personali dicono una cosa (quantomeno) imprecisa

Un’altra puntata nel mondo dell’informazione professionale e delle informazioni mal trasmesse, gestite dallo stesso mondo che se la prende con i “dilettanti dell’informazione. Questa volta, lo spunto di riflessione è fornito da una puntata della trasmissione Quarto Grado che si è occupata del tentativo della difesa di Alberto Stasi di far riaprire le indagini sull’omicidio di Chiara Poggi per il quale Stasi è stato condannato.

Il Garante dei dati personali Soro è stato intervistato da un redattore dalla trasmissione Quarto Grado sulla legittimità dei test genetici “all’insaputa”. Il riferimento è il test eseguito su una bottiglietta di acqua buttata via da una persona e su una tazzina di caffè “usata” , recuperati da un investigatore privato che stava eseguendo indagini difensive.

Prima di analizzare la risposta, partiamo dalla domanda del giornalista (formulata al minuto 2,28:25) che chiede testualmente

Nell’ambito di un’indagine difensiva è lecito prelevare il DNA a una persona senza che questa ne sia informata e soprattutto senza che questa sia indagata?

Rispetto al caso concreto (raccolta di una bottiglia dalla spazzatura e di una tazzina e di un cucchiaino lasciati sul bancone di un bar) la domanda è sbagliata perchè lascia intendere che qualcuno abbia eseguito un prelievo fisico sulla persona (ad esempio, staccandogli un capello o prelevando in altro modo un campione biologico).

A domanda mal posta, risposta sbagliata. Il Garante, infatti, risponde che è possibile in nome del diritto di difesa. Ma evidentemente non può riferirsi al prelievo diretto sulla persona perchè prelevare un campione direttamente su un soggetto contro la sua volontà o all’insaputa sarebbe un atto di violenza inaccettabile e sanzionato come reato. Dunque, in una ipotetica partita di “briscola genetica”, mentre il giornalista “gioca coppe” il Garante risponde   “bastoni”.  perché il problema non è – come dice Soro – l’esecuzione di un test genetico senza il consenso dell’interessato, ma l’appropriazione di un oggetto appartenente a una persona  (o a un terzo) a fini di indagine

La domanda corretta sarebbe stata: sono atti di indagine leciti quelli che si traducono nel prendere oggetti abbandonati o nel farsi consegnare da terzi degli oggetti al fine di eseguire test genetici (o di acquisire altri elementi probatori)?

Anche in questo caso, la risposta sarebbe positiva non per quello che dice il Garante, ma per le ragioni che ho spiegato in un articolo scritto per PC Professionale e che si sintetizzano in due concetti:  quando buttiamo qualcosa rinunciamo alla proprietà su quell’oggetto e ai dati che contiene, è obbligo giuridico di chi gestisce i propri dati (anche del privato) adottare adeguate misure per evitare che terzi ne possano prendere conoscenza. Dunque la “violazione della privacy” non c’entra assolutamente nulla con il caso del quale stiamo parlando.

L’aspetto interessante di questa vicenda è che il tema in sé (acquisizione di oggetti abbandonati) non è particolarmente complesso o innovativo nell’ambito della procedura penale. Ma quando l’oggetto in questione è associato alla scienza – al DNA, per quanto ci riguarda in questa sede – allora scatta il riflesso condizionato del pensare di essere di fronte a qualcosa di nuovo e mai visto prima.

Come sempre, la coda agita il cane e concentrandosi – per ignoranza o superficialità – su questioni tecniche poco rilevanti si perde di vista l’importanza di leggere le norme. Se i redattori di Quarto Grado e il Garante lo avessero fatto, il pubblico avrebbe avuto un’informazione precisa, chiara e – soprattutto – utile per formarsi un’opinione meditata.

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