Nessun compenso al dipendente che “regala” il software al datore di lavoro

Per la Cassazione, il dipendente che fa usare liberamente all’azienda il software da lui realizzato al di fuori dell’orario e dell’ambito lavorativo non ha diritto a un compenso
di Andrea Monti – PC Professionale n. 260

La sentenza 15534/2012 della Corte di cassazione – sezione lavoro affronta il tema delicato dei diritti del dipendente-sviluppatore che concede l’uso al datore di lavoro del software che ha creato e stabilisce che “In generale, in difetto di una norma speciale, deve escludersi che sussista una disciplina inderogabile a tutela del lavoratore che risulterebbe violata da un accordo con il quale il creatore di un programma per elaboratore ne consente l’utilizzo al proprio datore di lavoro.”
Il caso ha riguardato un dipendente INPDAD che, sebbene non assunto con mansioni di tipo “informatico”, aveva sviluppato un software per il calcolo di indennità di servizio e dunque di interesse diretto per l’ente presso il quale lavorava. L’ente in questione aveva cominciato ad utilizzare il software senza formalizzare il rapporto con l’autore anche sotto il profilo del pagamento di una licenza.

La tesi del dipendente era, in sintesi, che avendo sviluppato il software nell’ambito del rapporto di lavoro, aveva l’obbligo di consegnarlo al datore e che dunque il datore avrebbe dovuto corrispondergli quantomeno un indennizzo per l’uso del programma.

In realtà, scrive la Cassazione, le cose non stanno in questi termini. Innanzi tutto – si legge nella sentenza – non è vero che il programma fosse stato sviluppato in ambito lavorativo. E’ stato lo stesso dipendente ad affermare di avere lavorato del tutto al di fuori dell’ambito lavorativo e quindi, concludono i giudici, non si applica la normativa speciale prevista dalla legge sul diritto d’autore, cioè l’art. 12 bis della L. 633/41. Questo articolo stabilisce che “Salvo patto contrario, il datore di lavoro è titolare del diritto esclusivo di utilizzazione economica del programma per elaboratore o della banca di dati creati dal lavoratore dipendente nell’esecuzione delle sue mansioni o su istruzioni impartite dallo stesso datore di lavoro.” Dunque lo schema di attribuzione dei diritti di proprietà intellettuale sul software sviluppato da un dipendente prevede il necessario e alternativo verificarsi di due condizioni: la prima è che la creazione del programma avvenga nell’ambito delle mansioni attribuite al dipendente, e la seconda che ciò accada per disposizione del datore di lavoro. Quindi, per fare un esempio storico, se AT&T fosse stata italiana, questa sarebbe la norma che le avrebbe automaticamente attribuito la proprietà di UNIX, considerato che Thompson e Ritchie svilupparono il sistema operativo nell’ambito dei loro compiti lavorativi, anche senza un ordine specifico dell’azienda.

Il fatto, tornando al punto, che il software fosse “nato” al di fuori del rapporto di lavoro fa venir meno, secondo la Cassazione, anche il diritto del dipendente ad ottenere un indennizzo. Il distinguo giuridico che i giudici compiono sull’operato del lavoratore è sottile ma chiaro: egli ha realizzato un software di interesse per il datore di lavoro, ma non per ordine del datore stesso o nell’ambito dei suoi compiti. In altri termini, è come se si fosse portato da casa un computer più efficiente per lavorare meglio. Ma questo non implica automaticamente che il datore di lavoro debba assumersi dei costi ulteriori per la scelta autonoma e unilaterale del dipendente.

E allora, conclude la Corte di cassazione, a parte i diritti espressamente attribuiti al dipendente anche dalla legge sul diritto d’autore, non esistono degli obblighi automatici sulla base dei quali un datore di lavoro avrebbe dovuto indennizzare il dipendente.
Sarebbe stato un altro discorso se i rapporti fra le parti fossero stati regolati da una licenza che avrebbe dovuto e potuto regolare anche gli aspetti economici. In questo caso, infatti, il diritto a essere pagato per l’utilizzo del software sarebbe stato fuori discussione.

Questa sentenza è importante perché fornisce delle linee-guida (una volta tanto) abbastanza chiare per evitare l’insorgere di contenziosi in ambito lavorativo specie in un momento in cui l’evoluzione degli strumenti di programmazione e dei software di produttività consente anche ai non “smanettoni” di creare applicazioni, macro, template e quant’altro che rientrano nell’ambito della legge sulla tutela del software.

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