Bollino SIAE: per la Corte di cassazione è una tassa

di Andrea Monti – PC Professionale n. 240
Una importante sentenza analizza la natura giuridica del bollino SIAE, creando nuovi problemi agli operatori di ICT e multimedia

L’ordinanza n. 1780/11 emessa il 14 gennaio 2011 dalle sezioni unite civili della Corte di cassazione stabilisce un importante – ma discutibile – principio di diritto: il bollino SIAE (quello apposto obbligatoriamente sulle opere audiovisive e facoltativamente su libri e software) è una vera e propria “tassa”. Di conseguenza, le questioni relative al bollino sono di competenza del giudice tributario invece e non di quello ordinario.

Detta così, la cosa non sembra avere particolare importanza, visto che in definitiva all’utente finale interessa relativamente il cavillo legale su chi debba decidere in materia, considerando inoltre che la Corte di cassazione non ha fatto altro che confermare la percezione diffusa, appunto, che questo bollino sia ben assimilabile a un’imposizione fiscale, della quale condivide l’odiosità e l’arroganza.

Ma veniamo al punto. Per capire il ragionamento della Corte di cassazione è necessario ricordare, innanzi tutto, cosa siano la SIAE e il suo contrassegno. La SIAE è un ente che, per statuto, tutela i diritti degli autori e degli editori che decidono di associarsi. I soci della SIAE le danno il mandato a gestire i diritti d’autore e a tutelarli dagli abusi. Lo strumento principale con il quale la SIAE persegue i propri scopi è – appunto – il bollino. Un contrassegno che le opere da lei protette devono obbligatoriamente portare, a pena di denuncia anche penale. Il bollino non è obbligatorio per tutti i soci SIAE. I produttori di software, infatti, possono usarlo se lo desiderano, altrimenti possono farne a meno. Inoltre, tutti coloro – artisti e programmatori – che non fanno parte della SIAE e non vogliono farne parte, non possono essere obbligati ad usare il bollino. Se non altro, per la semplice ragione che dovrebbero pagarlo, ma non otterrebbero alcuna tutela non essendo iscritti alla SIAE. Con la conseguenza che i soldi andrebbero nelle tasche di un ristretto numero di soggetto (fate una ricerca online con le parole Report, RAI3 e SIAE). In realtà questa ultima conclusione non è esplicitamente scritta nella legge, ma si deduce interpretandola complessivamente. Ed è proprio sulla mancanza di chiarezza che si innesta la sentenza della Corte di cassazione.

Il ragionamento dei giudici parte da una famosa sentenza del 2007 con la quale la Corte di giustizia delle comunità europee aveva stabilito che la mancanza del bollino SIAE non poteva essere contestata ai soggetti privati in quanto l’Italia aveva omesso di informare la Commissione europea prima di emanare le norme in questione. In quella sentenza, la Corte di giustizia stabilisce che il bollino ha la natura di una norma tecnica relativa alla “etichettatura” dei prodotti ai fini di tutela del consumatore. Quello che, però, dimenticano di fare la Corte di giustizia nel 2007 e la Corte di cassazione nel 2011, è considerare che – come detto – la legge italiana può essere interpretata nel senso che abbiamo visto (devono applicare il bollino solo gli iscritti SIAE). E proprio questa dimenticanza produce l’effetto di consentire alla Cassazione di stabilire che il contrassegno ha una funzione

di autenticazione del prodotto ai fini della sua commercializzazione, in modo da garantire il consumatore, attraverso uno strumento di immediata verificabilità, che il prodotto acquistato è legittimo e non un c.d. “prodotto pirata”. Si tratta di una funzione eminentemente pubblica a vantaggio della collettività e non del richiedente che ne sopporta il costo: il che spiega l’obbligatorietà ex lege del contrassegno e la sanzione penale per l’ipotesi della mancata apposizione del medesimo sul prodotto.

Da questa premessa – errata – come abbiamo detto, deriva che si può applicare al contrassegno SIAE una sentenza della Corte costituzionale sui criteri di individuazione di ciò che è “tassa”, vale a dire: doverosità della prestazione e collegamento di questa alla pubblica spesa con riferimento a un presupposto economicamente rilevante”.

Sul primo elemento (doverosità della spesa), la Cassazione afferma che chi richiede il bollino non può non farlo, e paga un “diritto fisso” a prescindere da ciò che ottiene in cambio. Ma questo, come detto, non è totalmente vero.
Ma è sul secondo requisito (collegamento fra bollino e spesa pubblica) che il ragionamento della Corte di cassazione è insostenibile. Secondo la sentenza, il presupposto economicamente rilevante al quale deve essere collegata la specifica imposta (il bollino)

è costituito dalla legittima utilizzazione a fini di lucro e commercializzazione dei supporti che recano la fissazione delle opere dell’ingegno di carattere creativo. La spesa pubblica è quella necessaria per l’esercizio dell’attività di controllo sul commercio dei supporti in questione, in funzione di tutela della pubblica fede e come mezzo per combattere la pirateria nella riproduzione e utilizzazione delle opere dell’ingegno: tale attività è svolta per legge e in regime di monopolio dalla SIAE, la quale trae (anche) dalla riscossione della prestazione pecuniaria collegata al contrassegno i mezzi finanziari necessari per la tutela del consumatore e il contrasto alla pirateria.

Ma la Corte dimentica che la funzione primaria della SIAE (e del contrassegno) è tutelare gli interessi di chi le conferisce il mandato, cioè dei suoi soci. Non è corretto, quindi, affermare in senso assoluto che il bollino SIAE assolve a una funzione di garanzia collettiva dei consumatori, perché in realtà protegge solo una (ristretta) cerchia di soggetti. Per non parlare del fatto che è quantomeno curioso che una “tassa” finisca direttamente nelle tasche di cittadini privati (gli autori e gli editori associati SIAE) senza passare – almeno formalmente – dal Ministero delle finanze. In altri termini, se la Cassazione avesse ragione, saremmo di fronte a una tassa che invece di finire nelle casse dello Stato, finisce (pro quota) in quelle di privati cittadini e in quelle di un ente che li tutela.
Detto in altri termini, se sono un artista o un programmatore e non sono iscritto alla SIAE, questa non ha alcun dovere né potere di “proteggermi”, ma se è così, non posso essere obbligato a pagarle alcunché.
Siamo di fronte, dunque, a una decisione fortemente discutibile che, purtroppo, non sarà cambiata molto facilmente. La Corte di cassazione, infatti, ha deciso a “sezioni unite”, il che significa che il principio di diritto che ha enunciato potrà essere contestato da altre sentenze (se mai ce ne fossero) con estrema difficoltà.
Un altro passo indietro verso il libero mercato dei beni digitali.

Possibly Related Posts: