Corte di giustizia UE – Sez.I, Sent. C-558/08

«Marchi – Pubblicità su Internet a partire da parole chiave (“keyword advertising”) – Direttiva 89/104/CEE – Artt. 5‑7 – Visualizzazione di annunci a partire da una parola chiave identica a un marchio – Visualizzazione di annunci a partire da parole chiave che riproducono un marchio con “piccoli errori” – Pubblicità per prodotti d’occasione – Prodotti fabbricati e messi in commercio dal titolare del marchio – Esaurimento del diritto conferito dal marchio – Apposizione di etichette recanti il nome del rivenditore e rimozione di quelle contenenti il marchio – Pubblicità, a partire da un marchio altrui, per prodotti d’occasione comprendenti, oltre a prodotti fabbricati dal titolare del marchio, prodotti di altra provenienza»

SENTENZA DELLA CORTE (Prima Sezione) 8 luglio 2010

Nel procedimento C‑558/08, avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dallo Hoge Raad der Nederlanden (Paesi Bassi) con decisione 12 dicembre 2008, pervenuta in cancelleria il 17 dicembre 2008,

nella causa Portakabin Ltd, Portakabin BV contro Primakabin BV,

LA CORTE (Prima Sezione),

composta dal sig. A. Tizzano, presidente di sezione,

dai sigg. E. Levits, A. Borg Barthet, M. Ilešič (relatore) e J.-J. Kasel, giudici,

avvocato generale: sig. N. Jääskinen

cancelliere: sig.ra C. Strömholm, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 26 novembre 2009,

considerate le osservazioni presentate:

– per la Portakabin Ltd e la Portakabin BV, dai sigg. N.W. Mulder e A. Tsoutsanis, advocaten;

– per la Primakabin BV, dai sigg. C. Gielen e M.G. Schrijvers, advocaten;

– per il governo francese, dalla sig.ra B. Beaupère‑Manokha, in qualità di agente;

– per il governo italiano, dalla sig.ra I. Bruni, in qualità di agente, assistita dal sig. L. Ventrella, avvocato dello Stato; – per il governo polacco, dalle sig.re A. Rutkowska e A. Kraińska, in qualità di agenti;

– per la Commissione delle Comunità europee, dai sigg. H. Krämer e W. Roels, in qualità di agenti,

vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione degli artt. 5‑7 della Prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi di impresa (GU 1989, L 40, pag. 1), come modificata dall’Accordo sullo Spazio economico europeo (SEE) del 2 maggio 1992 (GU 1994, L 1, pag. 3; in prosieguo: la «direttiva 89/104»).

2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia insorta tra la Portakabin Ltd e la Portakabin BV (in prosieguo, congiuntamente: la «Portakabin»), da un lato, e la Primakabin BV (in prosieguo: la «Primakabin»), dall’altro, e avente ad oggetto la visualizzazione su Internet di link promozionali a partire da parole chiave identiche o simili ad un marchio.

Contesto normativo

3 L’art. 5 della direttiva 89/104, intitolato «Diritti conferiti dal marchio di impresa», dispone quanto segue:

«1. Il marchio di impresa registrato conferisce al titolare un diritto esclusivo. II titolare ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio: a) un segno identico al marchio di impresa per prodotti o servizi identici a quelli per cui esso è stato registrato; b) un segno che, a motivo dell’identità o della somiglianza di detto segno col marchio di impresa e dell’identità o somiglianza dei prodotti o servizi contraddistinti dal marchio di impresa e dal segno, possa dare adito a un rischio di confusione per il pubblico, comportante anche un rischio di associazione tra il segno e il marchio di impresa. 2. Uno Stato membro può inoltre prevedere che il titolare abbia il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio un segno identico o simile al marchio di impresa per i prodotti o servizi che non sono simili a quelli per cui esso è stato registrato, se il marchio di impresa gode di notorietà nello Stato membro e se l’uso immotivato del segno consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio di impresa o reca pregiudizio agli stessi. 3. Si può in particolare vietare, se le condizioni menzionate al paragrafo 1 e 2 sono soddisfatte: a) di apporre il segno sui prodotti o sul loro condizionamento; b) di offrire i prodotti, di immetterli in commercio o di detenerli a tali fini, oppure di offrire o fornire servizi contraddistinti dal segno; c) di importare o esportare prodotti contraddistinti dal segno; d) di utilizzare il segno nella corrispondenza commerciale e nella pubblicità. (…) 5. I paragrafi da 1 a 4 non pregiudicano le disposizioni applicabili in uno Stato membro per la tutela contro l’uso di un segno fatto a fini diversi da quello di contraddistinguere i prodotti o servizi, quando l’uso di tale segno senza giusto motivo consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o della notorietà del marchio di impresa o reca pregiudizio agli stessi».

4 L’art. 6 della direttiva 89/104, intitolato «Limitazione degli effetti del marchio di impresa», così dispone:

«1. Il diritto conferito dal marchio di impresa non permette al titolare dello stesso di vietare ai terzi l’uso nel commercio: a) del loro nome e indirizzo; b) di indicazioni relative alla specie, alla qualità, alla quantità, alla destinazione, al valore, alla provenienza geografica, all’epoca di fabbricazione del prodotto o di prestazione del servizio o ad altre caratteristiche del prodotto o del servizio; c) del marchio di impresa se esso è necessario per contraddistinguere la destinazione di un prodotto o servizio, in particolare come accessori o pezzi di ricambio, purché l’uso sia conforme agli usi consueti di lealtà in campo industriale e commerciale. (…)».

5 L’art. 7 della direttiva 89/104 nella sua formulazione originaria, rubricato «Esaurimento del diritto conferito dal marchio di impresa», era così formulato:

«1. Il diritto conferito dal marchio di impresa non permette al titolare dello stesso di vietare l’uso del marchio di impresa per prodotti immessi in commercio nella Comunità con detto marchio dal titolare stesso o con il suo consenso. 2. Il paragrafo 1 non si applica quando sussistono motivi legittimi perché il titolare si opponga all’ulteriore commercializzazione dei prodotti, in particolare quando lo stato dei prodotti è modificato o alterato dopo la loro immissione in commercio».

6 In conformità all’art. 65, n. 2, dell’Accordo sullo Spazio economico europeo del 2 maggio 1992, letto in combinato disposto con l’allegato XVII, punto 4, di tale accordo, l’originario testo dell’art. 7, n. 1, della direttiva 89/104 è stato modificato ai fini dell’accordo medesimo, di modo che l’espressione «nella Comunità» è stata sostituita dai termini «in una Parte contraente».

7 La direttiva 89/104 è stata abrogata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 22 ottobre 2008, 2008/95/CE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (versione codificata) (GU L 299, pag. 25), entrata in vigore il 28 novembre 2008. Tuttavia, in considerazione dell’epoca dei fatti, alla controversia di cui alla causa principale continua ad applicarsi la direttiva 89/104. Causa principale e questioni pregiudiziali Il servizio di posizionamento «AdWords»

8 Quando un utente di Internet effettua una ricerca a partire da una o più parole sul motore di ricerca Google, quest’ultimo visualizza i siti che meglio paiono corrispondere a tali parole in ordine di pertinenza decrescente. Si tratta dei risultati cosiddetti «naturali» della ricerca.

9 Inoltre, grazie al servizio di posizionamento a pagamento «AdWords» di Google qualsiasi operatore economico può, mediante la scelta di una o più parole chiave, far apparire un link promozionale che rinvia al proprio sito, qualora tale o tali parole coincidano con quella o quelle contenute nella richiesta rivolta da un utente di Internet al motore di ricerca. Tale link promozionale è visualizzato nella sezione «link sponsorizzati», che compare vuoi nella parte destra dello schermo, a destra dei risultati naturali, vuoi nella parte superiore dello schermo, al di sopra dei detti risultati.

10 Il predetto link promozionale è accompagnato da un breve messaggio commerciale. Nel complesso, il link e il messaggio compongono l’annuncio visualizzato nel suddetto spazio dedicato. L’utilizzazione di parole chiave nella causa principale

11 La Portakabin Ltd produce e fornisce edifici mobili ed è titolare del marchio Benelux PORTAKABIN, registrato per prodotti delle classi 6 (edifici, componenti e materiali da costruzione, in metallo) e 19 (edifici, componenti e materiali da costruzione, non in metallo), ai sensi dell’Accordo di Nizza del 15 giugno 1957, relativo alla classificazione internazionale dei prodotti e dei servizi ai fini della registrazione dei marchi, come riveduto e modificato.

12 La Portakabin BV è una controllata della Portakabin Ltd e si occupa della vendita dei prodotti del gruppo in virtù di una licenza di sfruttamento del marchio PORTAKABIN.

13 La Primakabin vende ed affitta edifici mobili nuovi e d’occasione. Oltre alla produzione e alla commercializzazione dei propri prefabbricati, quali ricoveri per cantieri o container ad uso ufficio, la Primakabin dedica una parte della sua attività alla locazione ed alla vendita di unità modulari di seconda mano, tra cui quelle prodotte dalla Portakabin.

14 La Primakabin non fa parte del gruppo Portakabin.

15 La Portakabin e la Primakabin offrono i loro prodotti in vendita sui rispettivi siti Internet.

16 La Primakabin ha scelto, nell’ambito del servizio di posizionamento AdWords, le parole chiave «portakabin», «portacabin», «portokabin» e «portocabin». Queste tre ultime varianti sono state selezionate per evitare che gli utenti di Internet, facendo una ricerca riguardo alle unità modulari fabbricate dalla Portakabin, manchino l’annuncio della Primakabin a causa di piccoli errori commessi nel digitare il termine «portakabin».

17 Inizialmente, il titolo dell’annuncio della Primakabin che compariva dopo aver digitato una delle parole suddette nel motore di ricerca era «unità modulari nuove e d’occasione». Successivamente tale titolo è stato modificato dalla Primakabin in «portakabin d’occasione».

18 Il 6 febbraio 2006 la Portakabin ha convenuto la Primakabin dinanzi al Voorzieningenrechter te Amsterdam (giudice dei provvedimenti d’urgenza di Amsterdam) affinché venisse ingiunto a quest’ultima, sotto pena di una sanzione pecuniaria coercitiva, di cessare qualsiasi utilizzo di segni corrispondenti al marchio PORTAKABIN, ivi incluse le parole chiave «portakabin», «portacabin», «portokabin» e «portocabin».

19 Con sentenza 9 marzo 2006, il Voorzieningenrechter te Amsterdam ha rigettato la domanda della Portakabin. Esso ha ritenuto che la Primakabin non utilizzasse la parola «portakabin» per contraddistinguere dei prodotti. Inoltre, la Primakabin non trarrebbe alcun vantaggio ingiustificato dall’utilizzo in questione. Tale impresa infatti utilizzerebbe la parola «portakabin» per indirizzare le persone interessate verso il suo sito, dove essa offre in vendita dei «portakabin d’occasione».

20 La Portakabin ha proposto appello avverso tale sentenza dinanzi al Gerechtshof te Amsterdam. Con sentenza 14 dicembre 2006, tale giudice ha annullato la suddetta pronuncia ed ha vietato alla Primakabin di utilizzare una pubblicità contenente la frase «portakabin d’occasione», nonché, in caso di utilizzo della parola chiave «portakabin» e delle sue varianti, di creare un link diretto verso pagine del suo sito Internet diverse da quelle in cui vengono offerte in vendita unità modulari fabbricate dalla Portakabin.

21 Avendo il Gerechtshof te Amsterdam statuito che l’utilizzo della parola chiave «portakabin» e delle sue varianti non costituiva un uso per prodotti o servizi ai sensi della normativa di trasposizione dell’art. 5, n. 1, della direttiva 89/104, la Portakabin ha proposto un ricorso avverso la citata sentenza 14 dicembre 2006 dinanzi allo Hoge Raad der Nederlanden. Quest’ultimo ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1) a) – Qualora un imprenditore dedito al commercio di determinati beni o servizi (in prosieguo: l’“inserzionista”) si avvalga della possibilità di registrare presso il gestore di un motore di ricerca su Internet una [parola chiave] identica ad un marchio registrato da un altro soggetto (in prosieguo: il “titolare del marchio”) per prodotti o servizi simili, e tale parola chiave, senza che ciò sia visibile per l’utente del motore di ricerca, porti a far sì che questo utente che la digita trovi, nell’elenco dei risultati del gestore del motore di ricerca, un link verso il sito Internet dell’inserzionista – se tale comportamento configuri, da parte dell’inserzionista suddetto, un uso del marchio registrato ai sensi dell’art. 5, n. 1, parte iniziale e lett. a), della direttiva [89/104].

b) Se al riguardo vi sia differenza a seconda che il link compaia: – nell’elenco normale delle pagine trovate o – in una sezione di annunci designata come tale.

c) Se vi sia poi differenza a seconda che: – l’inserzionista offra effettivamente prodotti o servizi identici a quelli per i quali il marchio è registrato già nel messaggio contenente il link all’interno della pagina web del gestore del motore di ricerca, oppure – l’inserzionista offra effettivamente prodotti o servizi identici a quelli per i quali il marchio è registrato su una propria pagina web, a cui l’utente di Internet (…) può essere rinviato se “clicca” sul link nella pagina del gestore del motore di ricerca (“hyperlinking”).

2) Qualora e nei limiti in cui la prima questione vada risolta in senso affermativo, se il disposto dell’art. 6 della direttiva [89/104], e segnatamente il disposto del n. 1, lett. b) e c), di tale articolo, possa comportare che il titolare del marchio non può vietare l’uso contemplato nella prima questione e, in caso affermativo, quali siano i presupposti a tal fine necessari.

3) Ove la prima questione vada risolta in senso affermativo, se sia applicabile l’art. 7 della direttiva [89/104] qualora un’offerta dell’inserzionista, come quella di cui alla prima questione, sub a), si riferisca a prodotti che sono stati immessi in commercio nella Comunità con il marchio di cui alla prima questione dal titolare del marchio o con il suo consenso.

4) Se le soluzioni date alle questioni che precedono valgano anche per le parole chiave registrate dall’inserzionista, menzionate nella prima questione, in cui il marchio è deliberatamente riprodotto con piccoli errori, di modo che diventano più efficaci le possibilità di ricerca per il pubblico che utilizza Internet, ammettendo che sul sito Internet dell’inserzionista il marchio venga riportato correttamente.

5) Qualora e nei limiti in cui la soluzione alle questioni qui sopra formulate comporti che non si configura un uso del marchio ai sensi dell’art. 5, n. 1, della direttiva [89/104], se gli Stati membri, dinanzi all’uso di parole chiave come quelle in esame nella presente causa, siano senz’altro legittimati – ai sensi dell’art. 5, n. 5, della direttiva, in conformità delle loro norme vigenti sulla tutela contro l’uso di un segno a fini diversi da quello di contraddistinguere prodotti o servizi – ad offrire tutela contro un’utilizzazione senza valido motivo di quel segno, mediante la quale, a giudizio dei giudici di quei paesi, venga indebitamente sfruttato il carattere distintivo o la notorietà del marchio o venga ad essi arrecato pregiudizio, oppure se al riguardo per i giudici nazionali valgano limiti di diritto comunitario, che dipendono dalle soluzioni date alle questioni che precedono».

Sulle questioni pregiudiziali

22 Occorre anzitutto esaminare la prima, la quarta e la quinta questione, nella misura in cui esse riguardano il diritto del titolare di un marchio di vietare, a norma dell’art. 5 della direttiva 89/104, l’uso da parte di un inserzionista di un segno identico o simile a tale marchio quale parola chiave nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet.

La seconda e la terza questione, vertenti sugli artt. 6 e 7 della direttiva 89/104 e riguardanti alcune ipotesi eccezionali nelle quali il titolare del marchio non può esercitare il diritto riconosciuto dall’art. 5 di tale direttiva, verranno esaminate di seguito. Sulla prima, sulla quarta e sulla quinta questione, riguardanti l’art. 5 della direttiva 89/104 Sulla prima questione, sub a)

23 La causa principale riguarda l’utilizzo, come parole chiave nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet, di segni identici o simili ad un marchio, senza che il titolare di quest’ultimo abbia dato il proprio consenso a tale uso.

24 Con la sua prima questione, sub a), il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’art. 5, n. 1, della direttiva 89/104 debba essere interpretato nel senso che il titolare di un marchio ha il diritto di vietare che un terzo faccia apparire – a partire da una parola chiave identica a tale marchio, da lui scelta, senza il consenso del detto titolare, nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet – un annuncio per prodotti o servizi identici o simili a quelli per i quali il marchio suddetto è registrato.

25 Come risulta dalla decisione di rinvio, il detto giudice ha qualificato la parola chiave «portakabin» come identica al marchio PORTAKABIN. Inoltre, è pacifico che l’utilizzo di tale parola chiave da parte della Primakabin ha come scopo ed effetto di rendere possibile la visualizzazione di annunci per prodotti identici a quelli per i quali il marchio suddetto è registrato, vale a dire edifici mobili.

26 Pertanto, occorre esaminare la prima questione alla luce dell’art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104. Tale disposizione legittima il titolare del marchio a vietare l’uso da parte di terzi, senza il suo consenso, di un segno identico a tale marchio, qualora l’uso in questione abbia luogo nel commercio, venga effettuato per prodotti o servizi identici a quelli per i quali il marchio è registrato, e pregiudichi ovvero sia idoneo a pregiudicare le funzioni del marchio (v., segnatamente, sentenze 11 settembre 2007, causa C‑17/06, Céline, Racc. pag. I‑7041, punto 16, e 18 giugno 2009, causa C‑487/07, L’Oréal e a., Racc. pag. I‑5185, punto 58).

27 Come statuito dalla Corte ai punti 51 e 52 della sentenza 23 marzo 2010, cause riunite da C‑236/08 a C‑238/08, Google France e Google (non ancora pubblicata nella Raccolta), il segno scelto da un inserzionista come parola chiave nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet è lo strumento da lui utilizzato per rendere possibile la visualizzazione del proprio annuncio ed è dunque oggetto di un uso «nel commercio» ai sensi dell’art. 5, n. 1, della direttiva 89/104.

28 Si tratta inoltre di un uso per prodotti o servizi dell’inserzionista (sentenza Google France e Google, cit., punti 67‑69). Tale constatazione non viene infirmata dal fatto che, come evidenziato nelle osservazioni presentate alla Corte, il segno identico al marchio – nel caso di specie, il segno «portakabin» – viene utilizzato non soltanto per prodotti di seconda mano recanti tale marchio – ossia per la rivendita di unità modulari fabbricate dalla Portakabin – ma anche per prodotti di altri fabbricanti, come ad esempio, nella fattispecie, unità modulari fabbricate dalla Primakabin o da altri concorrenti della Portakabin. Proprio al contrario, l’utilizzo da parte di un inserzionista di un segno identico ad un marchio altrui al fine di proporre agli utenti di Internet un’alternativa rispetto all’offerta del titolare di tale marchio, costituisce un uso «per prodotti o servizi» ai sensi dell’art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104 (sentenza Google France e Google, cit., punti 70‑73).

29 Ciò detto, il titolare del marchio non può opporsi a tale uso del segno identico al suo marchio se esso non è idoneo a compromettere alcuna delle funzioni del marchio stesso (citate sentenze L’Oréal e a., punto 60, nonché Google France e Google, punto 76).

30 Fra tali funzioni del marchio rientrano non solo quella essenziale consistente nel garantire ai consumatori l’origine del prodotto o del servizio (in prosieguo: la «funzione di indicazione d’origine»), ma anche le altre sue funzioni, quali, segnatamente, quella di garantire la qualità del prodotto o del servizio in questione, o quelle di comunicazione, investimento o pubblicità (citate sentenze L’Oréal e a., punto 58, nonché Google France e Google, punto 77).

31 Per quanto attiene all’uso di segni identici a marchi come parole chiave nell’ambito di un servizio di posizionamento, la Corte ha statuito, al punto 81 della citata sentenza Google France e Google, che le funzioni che interessa esaminare sono quella di pubblicità e quella di indicazione d’origine.

32 Quanto alla funzione di pubblicità, la Corte ha constatato che l’uso di un segno identico ad un marchio altrui nell’ambito di un servizio di posizionamento come «AdWords» non è idoneo a compromettere tale funzione del marchio (sentenze Google France e Google, cit., punto 98, e 25 marzo 2010, causa C‑278/08, BergSpechte, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 33).

33 Siffatta conclusione si impone anche nel caso di specie, dal momento che la causa principale verte sulla scelta di parole chiave e sulla visualizzazione di annunci nell’ambito del medesimo servizio di posizionamento «AdWords».

34 Per quanto riguarda la funzione di indicazione d’origine, la Corte ha statuito che la questione se tale funzione subisca un pregiudizio allorché, a partire da una parola chiave identica ad un marchio, agli utenti di Internet viene mostrato l’annuncio di un terzo, dipende in particolare dal modo in cui tale annuncio è presentato. La funzione di indicazione d’origine del marchio risulta pregiudicata qualora l’annuncio non consenta o consenta soltanto difficilmente all’utente di Internet normalmente informato e ragionevolmente attento di sapere se i prodotti o i servizi a cui l’annuncio si riferisce provengano dal titolare del marchio o da un’impresa economicamente collegata a quest’ultimo ovvero, al contrario, da un terzo (citate sentenze Google France e Google, punti 83 e 84, e BergSpechte, punto 35).

35 A tale riguardo, la Corte ha altresì precisato che, qualora l’annuncio del terzo suggerisca l’esistenza di un collegamento economico tra tale terzo e il titolare del marchio, si dovrà concludere che sussiste un pregiudizio della funzione di indicazione d’origine. Allo stesso modo, anche quando l’annuncio, pur non suggerendo l’esistenza di un collegamento economico, rimanga talmente vago sull’origine dei prodotti o dei servizi in questione che un utente di Internet normalmente informato e ragionevolmente attento non sia in grado di sapere, sulla base del link promozionale e del messaggio commerciale che lo accompagna, se l’inserzionista è un terzo rispetto al titolare del marchio o, al contrario, è economicamente collegato a quest’ultimo, si dovrà concludere che sussiste un pregiudizio della suddetta funzione del marchio (citate sentenze Google France e Google, punti 89 e 90, e BergSpechte, punto 36).

36 Spetta al giudice nazionale valutare, alla luce di tali elementi, se le circostanze di fatto della causa principale siano caratterizzate da un pregiudizio, o da un rischio di pregiudizio, per la funzione di indicazione d’origine. Sulla prima questione, sub b)

37 Con la sua prima questione, sub b), il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la tutela conferita da un marchio al suo titolare possa avere portata differente a seconda che l’annuncio di un terzo, visualizzato a partire da una parola chiave identica al detto marchio nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet, compaia o no in una sezione di annunci designata come tale.

38 È pacifico che la controversia di cui alla causa principale verte esclusivamente sull’uso di parole chiave nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet comportante la visualizzazione di annunci nella sezione «link sponsorizzati» del motore di ricerca gestito dal fornitore di tale servizio. In tale contesto, un’analisi della tutela conferita dal marchio al suo titolare in caso di visualizzazione di annunci di terzi al di fuori della sezione «link sponsorizzati» non sarebbe di alcuna utilità per la soluzione della controversia suddetta (v., per analogia, sentenze 15 giugno 2006, causa C‑466/04, Acereda Herrera, Racc. pag. I‑5341, punto 48, e 15 aprile 2010, causa C‑215/08, E. Friz, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 22).

39 Non è pertanto necessario risolvere la prima questione, sub b).

Sulla prima questione, sub c)

40 Con la sua prima questione, sub c), il giudice del rinvio chiede in quale misura occorra – per stabilire se l’inserzionista faccia del segno identico al marchio un uso che il titolare di quest’ultimo ha diritto di vietare – distinguere la situazione in cui i prodotti o i servizi contemplati dall’annuncio vengono effettivamente offerti in vendita nell’annuncio stesso, così come mostrato dal fornitore del servizio di posizionamento, da quella in cui tale offerta di vendita compare unicamente sul sito dell’inserzionista cui l’utente di Internet viene rinviato se clicca sul link promozionale.

41 Come si è rilevato ai punti 9 e 10 della presente sentenza, l’uso di un segno come parola chiave nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet determina la visualizzazione di un annuncio consistente, da un lato, in un link che, una volta che l’utente di Internet abbia deciso di cliccarvi sopra, indirizza questi verso il sito dell’inserzionista, e, dall’altro, in un messaggio commerciale.

42 Il link e il messaggio commerciale suddetti sono concisi e, di regola, non consentono all’inserzionista di formulare offerte precise di vendita o di fornire un quadro d’insieme esaustivo dei tipi di prodotti o di servizi da esso commercializzati. Tuttavia, tale circostanza non incide minimamente sul fatto che l’inserzionista che abbia scelto come parola chiave un segno identico ad un marchio altrui mira a ottenere che gli utenti di Internet, digitando tale parola quale termine di ricerca, clicchino sul suo link promozionale per conoscere le sue offerte di vendita. Pertanto, si verifica un uso del segno suddetto «per prodotti o servizi», ai sensi dell’art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104 (v. sentenza Google France e Google, cit., punti 67‑73).

43 Ne consegue che non è pertinente verificare se i prodotti o i servizi contemplati dall’annuncio siano effettivamente offerti in vendita nell’ambito del testo di tale annuncio, così come mostrato dal fornitore del servizio di posizionamento, oppure tale offerta venga fatta soltanto sul sito dell’inserzionista cui l’utente di Internet viene rinviato se clicca sul link promozionale.

44 Una simile verifica non è necessaria, in linea di principio, neppure là dove si tratta di stabilire se l’uso come parola chiave del segno identico al marchio sia idoneo a pregiudicare le funzioni del marchio stesso, e in particolare la sua funzione di indicazione d’origine. Come ricordato ai punti 34‑36 della presente sentenza, spetta al giudice nazionale valutare, tenuto conto della presentazione complessiva dell’annuncio, se quest’ultimo consenta o no all’utente di Internet normalmente informato e ragionevolmente attento di sapere se l’inserzionista è un terzo rispetto al titolare del marchio o se è invece economicamente collegato a quest’ultimo. La presenza o meno, nell’ambito dell’annuncio, di un’effettiva offerta di vendita dei prodotti e dei servizi in questione non è, di regola, un elemento decisivo ai fini di tale valutazione. Sulla quarta questione

45 Con la sua quarta questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se il titolare di un marchio sia legittimato – alle medesime condizioni applicabili in caso di uso da parte di un terzo di una parola chiave identica al marchio – a vietare ad un terzo di far uso di parole chiave che riproducono il marchio con «piccoli errori».

46 Tale questione si pone a motivo del fatto che, come illustrato al punto 16 della presente sentenza, la Primakabin ha scelto non soltanto la parola chiave «portakabin», ma anche le parole chiave «portacabin», «portokabin» e «portocabin».

47 A questo proposito, occorre ricordare che un segno è identico ad un marchio quando riproduce, senza modifiche né aggiunte, tutti gli elementi che costituiscono il marchio stesso, o quando, considerato complessivamente, contiene differenze talmente insignificanti da poter passare inosservate agli occhi di un consumatore medio (sentenze 20 marzo 2003, causa C‑291/00, LTJ Diffusion, Racc. pag. I‑2799, punto 54, e BergSpechte, cit., punto 25).

48 Nel caso di parole chiave che riproducono un marchio con piccoli errori, è pacifico che esse non riproducono tutti gli elementi che costituiscono il marchio. Ciò nonostante, si potrebbe ritenere che esse contengano differenze talmente insignificanti da poter passare inosservate agli occhi di un consumatore medio, ai sensi della giurisprudenza citata al punto precedente della presente sentenza. Spetta al giudice nazionale valutare, alla luce degli elementi di cui dispone, se i segni suddetti debbano essere qualificati in tal senso.

49 Nel caso in cui il detto giudice concludesse per l’assenza di identità tra il marchio e le parole chiave che riproducono il medesimo con piccoli errori, ad esso incomberebbe ancora di verificare se tali parole chiave siano simili al marchio in questione, ai sensi dell’art. 5, n. 1, lett. b), della direttiva 89/104.

50 In quest’ultimo caso, in cui il terzo fa uso di un segno simile ad un marchio per prodotti o servizi identici a quelli per i quali tale marchio è registrato, il titolare di quest’ultimo può opporsi all’uso del segno suddetto solo ove esista un rischio di confusione (citate sentenze Google France e Google, punto 78, e BergSpechte, punto 22).

51 Un rischio di confusione si configura qualora il pubblico possa credere che i prodotti o i servizi di cui trattasi provengano dalla stessa impresa o, eventualmente, da imprese economicamente collegate (v., in particolare, sentenze 22 giugno 1999, causa C‑342/97, Lloyd Schuhfabrik Meyer, Racc. pag. I‑3819, punto 17; 6 ottobre 2005, causa C‑120/04, Medion, Racc. pag. I‑8551, punto 26, nonché 10 aprile 2008, causa C‑102/07, adidas e adidas Benelux, Racc. pag. I‑2439, punto 28).

52 Ne consegue che, in caso di applicabilità della norma enunciata all’art. 5, n. 1, lett. b), della direttiva 89/104, spetterà al giudice nazionale concludere che esiste un rischio di confusione allorché, partendo da una parola chiave simile ad un marchio, agli utenti di Internet viene mostrato un annuncio di un terzo che non consente o consente soltanto difficilmente all’utente di Internet normalmente informato e ragionevolmente attento di sapere se i prodotti o i servizi a cui l’annuncio si riferisce provengano dal titolare del marchio o da un’impresa economicamente collegata a quest’ultimo ovvero, al contrario, da un terzo (sentenza BergSpechte, cit., punto 39).

53 Sono applicabili, per analogia, le precisazioni rammentate al punto 35 della presente sentenza.

54 Alla luce di quanto precede, occorre risolvere la prima e la quarta questione dichiarando che l’art. 5, n. 1, della direttiva 89/104 deve essere interpretato nel senso che il titolare di un marchio ha il diritto di vietare che un inserzionista faccia – a partire da una parola chiave identica o simile a tale marchio, da lui scelta, senza il consenso del detto titolare, nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet – pubblicità per prodotti o servizi identici a quelli per i quali il marchio in questione è registrato, qualora tale pubblicità non consenta o consenta soltanto difficilmente all’utente medio di Internet di sapere se i prodotti o i servizi cui si riferisce l’annuncio provengano dal titolare del marchio o da un’impresa economicamente collegata a quest’ultimo ovvero, al contrario, da un terzo. Sulla quinta questione

55 La quinta questione è stata sollevata per il solo caso in cui la Corte statuisca che l’uso da parte di un inserzionista di un segno identico o simile ad un marchio altrui come parola chiave nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet non può costituire un uso ai sensi dell’art. 5, n. 1, della direttiva 89/104. Pertanto, alla luce delle risposte fornite alla prima e alla quarta questione, non è necessario risolvere tale quinta questione. Sulla seconda questione, relativa all’art. 6 della direttiva 89/104

56 Con la sua seconda questione, il giudice del rinvio chiede se un inserzionista possa avvalersi della deroga prevista all’art. 6 della direttiva 89/104, e segnatamente al n. 1, lett. b) e c), di tale articolo, al fine di utilizzare, quale parola chiave nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet, un segno identico o simile a un marchio, malgrado che ciò configuri un uso ai sensi dell’art. 5 della medesima direttiva.

57 Attraverso una limitazione degli effetti dei diritti di cui il titolare di un marchio gode ai sensi dell’art. 5 della direttiva 89/104, l’art. 6, n. 1, di quest’ultima mira a conciliare gli interessi fondamentali della tutela dei diritti di marchio con quelli della libera circolazione delle merci e della libera prestazione dei servizi nel mercato comune (sentenze 23 febbraio 1999, causa C‑63/97, BMW, Racc. pag. I‑905, punto 62; 17 marzo 2005, causa C‑228/03, Gillette Company e Gillette Group Finland, Racc. pag. I‑2337, punto 29, nonché adidas e adidas Benelux, cit., punto 45).

58 In particolare, il citato art. 6, n. 1, stabilisce che il titolare di un marchio non può vietare ai terzi l’uso nel commercio: «a) del loro nome e indirizzo»; «b) di indicazioni relative alla specie, alla qualità, alla quantità, alla destinazione, al valore, alla provenienza geografica, all’epoca di fabbricazione del prodotto o di prestazione del servizio o ad altre caratteristiche del prodotto o del servizio», oppure «c) del marchio stesso, se esso è necessario per contraddistinguere la destinazione di un prodotto o servizio, in particolare come accessori o pezzi di ricambio». La disposizione di cui sopra precisa però che la regola da essa enunciata vale soltanto a condizione che l’utilizzo da parte dei terzi «sia conforme agli usi consueti di lealtà in campo industriale e commerciale».

59 Poiché è incontestato che l’art. 6, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104 non presenta alcuna rilevanza ai fini della soluzione della causa principale, occorre anzitutto esaminare se possa trovare applicazione la norma di cui all’art. 6, n. 1, lett. b), della medesima direttiva.

60 A questo proposito occorre rilevare, così come evidenziato dalla Commissione delle Comunità europee, che, di regola, l’uso di un segno identico o simile ad un marchio altrui come parola chiave nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet non mira a fornire un’indicazione relativa ad una delle caratteristiche dei prodotti o servizi offerti dal terzo che effettua tale uso e, dunque, non ricade sotto l’art. 6, n. 1, lett. b), della direttiva 89/104.

61 Tuttavia, la conclusione opposta può imporsi in circostanze particolari, le quali devono essere valutate dal giudice nazionale. Spetta dunque al giudice del rinvio verificare, sulla base di un esame completo della fattispecie sottoposta alla sua cognizione, se la Primakabin, mediante l’utilizzo da essa effettuato dei segni identici o simili al marchio PORTAKABIN come parole chiave, abbia fatto uso di indicazioni a carattere descrittivo ai sensi della citata disposizione della direttiva 89/104. Nell’ambito di tale valutazione, il giudice del rinvio dovrà tener conto del fatto che, secondo le informazioni fornite dalla Primakabin in occasione dell’udienza dinanzi alla Corte, il termine «portakabin» non è stato utilizzato come denominazione generica.

62 Per quanto riguarda poi l’ipotesi contemplata dall’art. 6, n. 1, lett. c), della direttiva 89/104, vale a dire quella di un uso del marchio «necessario per contraddistinguere la destinazione di un prodotto o servizio, in particolare come accessori o pezzi di ricambio», nella maggior parte delle osservazioni presentate alla Corte si è sostenuto che è improbabile che l’utilizzo da parte della Primakabin dei segni identici o simili al marchio PORTAKABIN possa essere qualificato in tal modo. Nondimeno, poiché il contesto giuridico e fattuale viene determinato dal giudice del rinvio e quest’ultimo non esclude la sussistenza, nella causa principale, dell’ipotesi contemplata dalla citata disposizione della direttiva 89/104, occorre fornire alcune indicazioni al riguardo.

63 Come la Corte ha già precisato, la destinazione di prodotti «come accessori o pezzi di ricambio» è stata indicata dal legislatore a puro titolo di esempio, trattandosi di una situazione usuale nella quale è necessario utilizzare un marchio per indicare la destinazione di un prodotto. L’applicazione dell’art. 6, n. 1, lett. c), della direttiva 89/104 non è dunque limitata a tale situazione (sentenza Gillette Company e Gillette Group Finland, cit., punto 32).

64 Tuttavia, le situazioni ricadenti nella sfera di applicazione del citato art. 6, n. 1, lett. c), devono restare limitate a quelle corrispondenti alla finalità di tale disposizione. Orbene, come giustamente osservato dalla Portakabin e dalla Commissione, la finalità dell’art. 6, n. 1, lett. c), della direttiva 89/104 è di permettere ai fornitori di prodotti o servizi aventi carattere complementare rispetto ai prodotti o servizi offerti dal titolare di un marchio, di utilizzare tale marchio al fine di informare il pubblico sul nesso utilitaristico esistente tra i loro prodotti o servizi e quelli del suddetto titolare (v., in tal senso, sentenza Gillette Company e Gillette Group Finland, cit., punti 33 e 34).

65 Spetta al giudice del rinvio esaminare se l’uso del segno identico al marchio PORTAKABIN da parte della Primakabin rientri o no, per quanto riguarda i prodotti offerti da quest’ultima agli utenti di Internet, nell’ipotesi contemplata dal citato art. 6, n. 1, lett. c), come qui sopra descritta.

66 Nel caso in cui il giudice del rinvio concludesse che nella causa principale si configura uno degli utilizzi contemplati dall’art. 6, n. 1, lett. b) o c), della direttiva 89/104, spetterebbe ad esso verificare, da ultimo, se sia soddisfatta la condizione secondo cui tale utilizzo deve essere fatto in modo conforme agli usi consueti di lealtà in campo industriale e commerciale.

67 Tale condizione costituisce l’espressione di un obbligo di lealtà nei confronti dei legittimi interessi del titolare di un marchio. La verifica relativa al soddisfacimento di tale condizione deve essere compiuta, in particolare, tenendo conto della misura in cui l’uso effettuato dal terzo induce il pubblico interessato, o per lo meno una parte significativa di esso, ad istituire un collegamento tra i prodotti del terzo e quelli del titolare del marchio o di un soggetto legittimato ad utilizzare tale marchio, e considerando entro quali limiti il terzo avrebbe dovuto esserne consapevole (sentenze 16 novembre 2004, causa C‑245/02, Anheuser‑Busch, Racc. pag. I‑10989, punti 82 e 83, e Céline, cit., punti 33 e 34).

68 Orbene, come ricordato nella risposta alla prima e alla quarta questione pregiudiziale, l’uso da parte di un inserzionista di un segno identico o simile ad un marchio nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet ricade sotto l’art. 5, n. 1, della direttiva 89/104 qualora venga fatto in maniera tale per cui l’utente di Internet normalmente informato e ragionevolmente attento non sia in grado o sia soltanto difficilmente in grado di sapere se i prodotti o i servizi a cui l’annuncio si riferisce provengano dal titolare del marchio o da un’impresa economicamente collegata a quest’ultimo ovvero, al contrario, da un terzo.

69 Risulta pertanto che le circostanze nelle quali il titolare di un marchio ha diritto, a norma dell’art. 5, n. 1, della direttiva 89/104, di vietare l’uso, da parte di un inserzionista, di un segno identico o simile al marchio suddetto come parola chiave possono agevolmente corrispondere – tenuto conto della giurisprudenza citata al punto 67 della presente sentenza – ad una situazione nella quale l’inserzionista non può affermare di agire in conformità agli usi consueti di lealtà in campo industriale e commerciale e non può dunque invocare utilmente la deroga stabilita dall’art. 6, n. 1, della citata direttiva.

70 A questo proposito occorre considerare, da un lato, che una delle caratteristiche della situazione contemplata al punto 68 della presente sentenza consiste proprio nel fatto che l’annuncio è idoneo ad indurre almeno una parte significativa del pubblico interessato ad istituire un collegamento tra i prodotti o servizi oggetto dell’annuncio e quelli del titolare del marchio o dei soggetti autorizzati ad utilizzare il marchio stesso e, dall’altro lato, che, nel caso in cui il giudice nazionale constati che l’annuncio non consente o consente soltanto difficilmente all’utente medio di Internet di sapere se i prodotti o i servizi oggetto dell’annuncio provengano dal titolare del marchio o da un terzo, è poco probabile che l’inserzionista possa seriamente affermare di non essere stato consapevole dell’ambiguità in tal modo creata dal suo annuncio. È infatti proprio l’inserzionista il soggetto che, nell’ambito della sua strategia promozionale e con piena conoscenza del settore economico in cui opera, ha scelto una parola chiave corrispondente ad un marchio altrui e che, da solo o con l’assistenza del fornitore del servizio di posizionamento, ha redatto l’annuncio e dunque deciso la presentazione del medesimo.

71 Alla luce di tali elementi, occorre concludere che, nella situazione descritta ai punti 54 e 68 della presente sentenza, l’inserzionista non può, in linea di principio, affermare di aver agito conformemente agli usi consueti di lealtà in campo industriale e commerciale. Spetta tuttavia al giudice nazionale procedere ad una valutazione complessiva di tutte le circostanze pertinenti al fine di verificare l’eventuale sussistenza di elementi che giustifichino un’opposta conclusione (v., in tal senso, sentenze 7 gennaio 2004, causa C‑100/02, Gerolsteiner Brunnen, Racc. pag. I‑691, punto 26, nonché Anheuser-Busch, cit., punto 84 e giurisprudenza ivi citata).

72 Alla luce dell’insieme delle considerazioni che precedono, occorre risolvere la seconda questione dichiarando che l’art. 6 della direttiva 89/104 deve essere interpretato nel senso che, quando l’uso, da parte di inserzionisti, di segni identici o simili a marchi come parole chiave nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet sia suscettibile di divieto ai sensi dell’art. 5 della medesima direttiva, tali inserzionisti non possono, di regola, avvalersi della deroga stabilita dall’art. 6, n. 1, di questa direttiva per sottrarsi al divieto stesso. Spetta tuttavia al giudice nazionale verificare, alla luce delle circostanze proprie del caso di specie, se effettivamente non sussista alcun utilizzo dei segni in questione ai sensi del menzionato art. 6, n. 1, il quale possa ritenersi effettuato in conformità agli usi consueti di lealtà in campo industriale e commerciale. Sulla terza questione, relativa all’art. 7 della direttiva 89/104

73 Con la sua terza questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se un inserzionista possa, in circostanze quali quelle della causa principale, avvalersi della deroga prevista dall’art. 7 della direttiva 89/104 per utilizzare un segno identico o simile ad un marchio come parola chiave nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet, quand’anche si tratti di un uso ricadente sotto l’art. 5 della citata direttiva.

74 L’art. 7 della direttiva 89/104 introduce una deroga al diritto esclusivo del titolare del marchio sancito dall’art. 5 della medesima direttiva, in quanto prevede che il diritto di costui di vietare ai terzi l’uso del suo marchio si esaurisca in riferimento ai prodotti che siano stati immessi in commercio nel SEE con tale marchio da lui stesso o con il suo consenso, salvo che sussistano motivi legittimi tali da giustificare la sua opposizione all’ulteriore commercializzazione dei detti prodotti (v., in particolare, sentenze BMW, cit., punto 29; 20 novembre 2001, cause riunite da C‑414/99 a C‑416/99, Zino Davidoff e Levi Strauss, Racc. pag. I‑8691, punto 40, nonché 23 aprile 2009, causa C‑59/08, Copad, Racc. pag. I‑3421, punto 41).

75 Anzitutto, come risulta dalla decisione di rinvio, la pubblicità realizzata dalla Primakabin con l’aiuto delle parole chiave identiche o simili al marchio della Portakabin riguarda in larga misura la rivendita di edifici mobili d’occasione, inizialmente fabbricati da quest’ultima società. È altresì pacifico che tali prodotti sono stati immessi in commercio nel SEE dalla Portakabin, con il marchio PORTAKABIN.

76 Inoltre, non si può negare che la rivendita da parte di un terzo di prodotti d’occasione, inizialmente immessi in commercio dal titolare del marchio o da un soggetto da lui autorizzato con tale marchio, costituisce un’«ulteriore commercializzazione dei prodotti» ai sensi dell’art. 7 della direttiva 89/104 e che, pertanto, l’uso del marchio suddetto ai fini di questa rivendita può essere vietato dal titolare soltanto quando «motivi legittimi» nel senso di cui al n. 2 del citato art. 7 giustifichino la sua opposizione alla commercializzazione in questione (v., per analogia, sentenza BMW, cit., punto 50).

77 Infine, secondo una giurisprudenza costante, quando prodotti contrassegnati da un marchio siano stati immessi in commercio nel SEE dal titolare del marchio stesso o con il suo consenso, un rivenditore, oltre alla facoltà di rivendere tali prodotti, ha anche quella di usare il marchio per annunciare al pubblico la loro ulteriore commercializzazione (sentenze 4 novembre 1997, causa C‑337/95, Parfums Christian Dior, Racc. pag. I‑6013, punto 38, nonché BMW, cit., punto 48).

78 Risulta da tali elementi che il titolare di un marchio non ha il diritto di vietare che un inserzionista faccia – a partire da una parola chiave identica o simile a tale marchio, da lui scelta, senza il consenso del detto titolare, nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet – pubblicità per la rivendita di prodotti d’occasione inizialmente immessi in commercio nel SEE con tale marchio dal titolare del marchio stesso o con il suo consenso, salvo che sussistano motivi legittimi, ai sensi dell’art. 7, n. 2, della direttiva 89/104, idonei a giustificare l’opposizione di tale titolare.

79 Un motivo legittimo siffatto esiste, in particolare, quando l’uso da parte dell’inserzionista di un segno identico o simile ad un marchio rechi un serio pregiudizio alla notorietà del marchio stesso (citate sentenze Parfums Christian Dior, punto 46, e BMW, punto 49).

80 Sussiste del pari un motivo legittimo ai sensi dell’art. 7, n. 2, della direttiva 89/104 nel caso in cui il rivenditore, attraverso il suo annuncio effettuato a partire dal segno identico o simile al marchio, dia l’impressione che esista un collegamento economico tra lui e il titolare del marchio, e in particolare che la sua impresa appartenga alla rete di distribuzione di tale titolare o che esista un rapporto speciale fra le due imprese. Infatti, un annuncio capace di dare una simile impressione non è necessario per garantire l’ulteriore commercializzazione di prodotti immessi sul mercato con il marchio dal titolare o col suo consenso e, pertanto, per garantire l’obiettivo del principio di esaurimento stabilito dall’art. 7 della direttiva 89/104 (v., in tal senso, sentenze BMW, cit., punti 51 e 52, e 26 aprile 2007, causa C‑348/04, Boehringer Ingelheim e a., Racc. pag. I‑3391, punto 46).

81 Ne consegue che le circostanze, contemplate al punto 54 della presente sentenza, nelle quali il titolare di un marchio ha il diritto, a norma dell’art. 5, n. 1, della direttiva 89/104, di vietare che un inserzionista utilizzi un segno identico o simile a tale marchio come parola chiave – vale a dire le circostanze nelle quali l’uso del segno suddetto da parte dell’inserzionista non consente o consente soltanto difficilmente all’utente di Internet normalmente informato e ragionevolmente attento di sapere se i prodotti o i servizi a cui l’annuncio si riferisce provengano dal titolare del marchio o da un’impresa economicamente collegata a quest’ultimo ovvero, al contrario, da un terzo – corrispondono ad una situazione nella quale trova applicazione l’art. 7, n. 2, della citata direttiva e nella quale, di conseguenza, l’inserzionista non può avvalersi della regola che prevede l’esaurimento del diritto conferito dal marchio, enunciata all’art. 7, n. 1, della medesima direttiva.

82 Come si è rilevato ai punti 34‑36 nonché 52 e 53 della presente sentenza, spetta al giudice nazionale valutare se gli annunci della Primakabin, così come visualizzati in caso di ricerca effettuata dagli utenti di Internet a partire dai termini «portakabin», «portacabin», «portokabin» e «portocabin», consentissero o no all’utente di Internet normalmente informato e ragionevolmente attento di sapere se la Primakabin fosse un soggetto terzo rispetto alla Portakabin o, al contrario, fosse economicamente collegata a quest’ultima.

83 Nondimeno, occorre fornire al giudice del rinvio alcune indicazioni, certo non esaustive, affinché esso possa pronunciarsi in modo adeguato in ordine a tale punto, tenuto conto delle specificità della vendita di prodotti d’occasione. Tali indicazioni riguardano tre elementi che le parti della causa principale hanno evidenziato nelle loro osservazioni dinanzi alla Corte, vale a dire: in primo luogo, l’interesse degli operatori economici nonché dei consumatori a che le vendite di prodotti d’occasione su Internet non vengano indebitamente limitate, in secondo luogo, il bisogno di una comunicazione trasparente riguardo all’origine di tali prodotti e, in terzo luogo, il fatto che l’annuncio della Primakabin intitolato «portakabin d’occasione» indirizzava l’utente di Internet verso offerte relative alla rivendita non soltanto di prodotti fabbricati dalla Portakabin ma anche di prodotti di altri fabbricanti.

84 Quanto al primo di tali elementi, occorrerà tener conto del fatto che la vendita di prodotti d’occasione contrassegnati da un marchio è una forma di commercio ben consolidata, con la quale il consumatore medio ha familiarità. Pertanto, il semplice fatto che un inserzionista utilizzi il marchio altrui con l’aggiunta di termini, come «usato» o «d’occasione», indicanti che il prodotto in questione costituisce l’oggetto di una rivendita, non consente di concludere che l’annuncio suggerisca l’esistenza di un collegamento economico tra il rivenditore e il titolare del marchio o rechi un serio pregiudizio alla notorietà di tale marchio.

85 Quanto al secondo dei citati elementi, la Portakabin ha evidenziato che la Primakabin aveva tolto dagli edifici mobili d’occasione che vendeva la menzione del marchio PORTAKABIN, sostituendola con la menzione «Primakabin». A sostegno di tale asserzione, la Portakabin ha accluso alle proprie osservazioni scritte un documento da cui risulta che agli utenti di Internet che cliccavano sull’annuncio «portakabin d’occasione» venivano mostrati edifici mobili sui quali era apposta la menzione «Primakabin». All’udienza, la Primakabin, in risposta ad un quesito della Corte, ha confermato tale prassi di sostituzione di etichette, sottolineando però che essa aveva proceduto in tal modo soltanto in un numero limitato di casi.

86 A questo proposito, è giocoforza constatare che, quando il rivenditore rimuove, senza il consenso del titolare di un marchio, la menzione di tale marchio apposta sui prodotti (smarchiatura) e la sostituisce con un’etichetta recante il proprio nome, di modo che il marchio del fabbricante dei prodotti in questione venga interamente occultato, il titolare del marchio ha il diritto di opporsi a che il rivenditore utilizzi il marchio stesso per annunciare la rivendita in questione. Infatti, in un simile caso, viene arrecato un pregiudizio alla funzione essenziale del marchio consistente nell’indicare e nel garantire l’origine del prodotto e si impedisce al consumatore di distinguere i prodotti provenienti dal titolare del marchio da quelli provenienti dal rivenditore o da altri soggetti terzi (v., in tal senso, sentenze 11 novembre 1997, causa C‑349/95, Loendersloot, Racc. pag. I‑6227, punto 24, e Boehringer Ingelheim e a., cit., punti 14, 32 e 45‑47).

87 Quanto al terzo degli elementi menzionati al punto 83 della presente sentenza, è pacifico tra le parti della causa principale che l’annuncio «portakabin d’occasione» – che la Primakabin faceva apparire allorché gli utenti di Internet digitavano nel motore di ricerca i termini «portakabin», «portacabin», «portokabin» o «portocabin» – trasferiva tali utenti, quando questi cliccavano su tale link promozionale, verso pagine web sulle quali la Primakabin offriva in vendita, oltre a prodotti inizialmente fabbricati e commercializzati dalla Portakabin, anche prodotti di altri marchi.

88 La Portakabin ritiene che, in tali circostanze, il link promozionale creato dalla Primakabin a partire dai segni identici o simili al marchio PORTAKABIN fosse ingannevole. Inoltre, la Primakabin avrebbe tratto profitti più elevati del necessario dalla notorietà del marchio PORTAKABIN ed arrecato un serio pregiudizio a quest’ultima.

89 Orbene, come la Corte ha già rilevato, la semplice circostanza che un rivenditore tragga vantaggio dall’uso del marchio altrui, in ragione del fatto che la pubblicità per la rivendita dei prodotti contrassegnati da tale marchio, peraltro corretta e leale, conferisce alla sua attività un’aura di qualità, non costituisce un motivo legittimo ai sensi dell’art. 7, n. 2, della direttiva 89/104 (sentenza BMW, cit., punto 53).

90 A questo proposito, occorre considerare che un rivenditore che venda prodotti d’occasione di un marchio altrui e che sia specializzato nella vendita di questi prodotti, difficilmente può comunicare tale informazione ai propri potenziali clienti senza utilizzare il marchio in questione (v., per analogia, sentenza BMW, cit., punto 54).

91 In una simile situazione, caratterizzata dalla presenza di una specializzazione nella rivendita di prodotti di un marchio altrui, non si può vietare al rivenditore di utilizzare tale marchio per annunciare al pubblico le proprie attività di rivendita comprendenti, oltre alla vendita di prodotti d’occasione del marchio suddetto, la vendita di altri prodotti d’occasione, a meno che la rivendita di questi altri prodotti non rischi, in ragione della sua ampiezza, delle sue modalità di presentazione o della sua scarsa qualità, di menomare gravemente l’immagine che il titolare è riuscito a creare intorno al proprio marchio.

92 Alla luce dell’insieme delle considerazioni che precedono, occorre rispondere alla terza questione dichiarando che l’art. 7 della direttiva 89/104 deve essere interpretato nel senso che il titolare di un marchio non ha il diritto di vietare che un inserzionista faccia – a partire da un segno identico o simile a tale marchio, da lui scelto, senza il consenso del detto titolare, come parola chiave nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet – pubblicità per la rivendita di prodotti fabbricati dal citato titolare del marchio e immessi in commercio nel SEE da questi stesso o con il suo consenso, salvo che sussista un motivo legittimo, ai sensi dell’art. 7, n. 2, della citata direttiva, idoneo a giustificare l’opposizione di tale titolare, come, ad esempio, un uso del segno in questione che induca a ritenere esistente un collegamento economico tra il rivenditore e il titolare stesso oppure un uso che rechi un serio pregiudizio alla notorietà del marchio di cui trattasi.

93 Il giudice nazionale, cui spetta valutare se sussista o no un motivo legittimo siffatto nella controversia sottoposta alla sua cognizione: – non può, sulla base del semplice fatto che un inserzionista utilizza un marchio altrui con l’aggiunta di termini, come «usato» o «d’occasione», indicanti che i prodotti in questione costituiscono l’oggetto di una rivendita, concludere che l’annuncio suggerisca l’esistenza di un collegamento economico tra il rivenditore e il titolare del marchio o rechi un serio pregiudizio alla notorietà di tale marchio; – è tenuto a constatare l’esistenza di un motivo legittimo siffatto, qualora il rivenditore, senza il consenso del titolare del marchio che egli utilizza nell’ambito della pubblicità per le proprie attività di rivendita, abbia rimosso la menzione di tale marchio figurante sui prodotti fabbricati e immessi in commercio dal titolare stesso e l’abbia sostituita con un’etichetta recante il proprio nome, in modo da occultare il marchio in questione, e – è tenuto a dichiarare che non si può vietare ad un rivenditore specializzato nella vendita di prodotti d’occasione di un marchio altrui di utilizzare tale marchio per annunciare al pubblico attività di rivendita comprendenti, oltre alla vendita di prodotti d’occasione del marchio in questione, la vendita di altri prodotti d’occasione, a meno che la rivendita di questi altri prodotti non rischi, in ragione della sua ampiezza, delle sue modalità di presentazione o della sua scarsa qualità, di menomare gravemente l’immagine che il titolare è riuscito a creare intorno al proprio marchio.

Sulle spese

94 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese.

Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione)

dichiara:

1) L’art. 5, n. 1, della Prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi di impresa, come modificata dall’Accordo sullo Spazio economico europeo del 2 maggio 1992, deve essere interpretato nel senso che il titolare di un marchio ha il diritto di vietare che un inserzionista faccia – a partire da una parola chiave identica o simile a tale marchio, da lui scelta, senza il consenso del detto titolare, nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet – pubblicità per prodotti o servizi identici a quelli per i quali il marchio in questione è registrato, qualora tale pubblicità non consenta o consenta soltanto difficilmente all’utente medio di Internet di sapere se i prodotti o i servizi cui si riferisce l’annuncio provengano dal titolare del marchio o da un’impresa economicamente collegata a quest’ultimo ovvero, al contrario, da un terzo.

2) L’art. 6 della direttiva 89/104, come modificata dall’Accordo sullo Spazio economico europeo del 2 maggio 1992, deve essere interpretato nel senso che, quando l’uso, da parte di inserzionisti, di segni identici o simili a marchi come parole chiave nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet sia suscettibile di divieto ai sensi dell’art. 5 della medesima direttiva, tali inserzionisti non possono, di regola, avvalersi della deroga stabilita dall’art. 6, n. 1, di questa direttiva per sottrarsi al divieto stesso. Spetta tuttavia al giudice nazionale verificare, alla luce delle circostanze proprie del caso di specie, se effettivamente non sussista alcun utilizzo dei segni in questione ai sensi del menzionato art. 6, n. 1, il quale possa ritenersi effettuato in conformità agli usi consueti di lealtà in campo industriale e commerciale.

3) L’art. 7 della direttiva 89/104, come modificata dall’Accordo sullo Spazio economico europeo del 2 maggio 1992, deve essere interpretato nel senso che il titolare di un marchio non ha il diritto di vietare che un inserzionista faccia – a partire da un segno identico o simile a tale marchio, da lui scelto, senza il consenso del detto titolare, come parola chiave nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet – pubblicità per la rivendita di prodotti fabbricati dal citato titolare del marchio e immessi in commercio nello Spazio economico europeo da questi stesso o con il suo consenso, salvo che sussista un motivo legittimo, ai sensi dell’art. 7, n. 2, della citata direttiva, idoneo a giustificare l’opposizione di tale titolare, come, ad esempio, un uso del segno in questione che induca a ritenere esistente un collegamento economico tra il rivenditore e il titolare stesso oppure un uso che rechi un serio pregiudizio alla notorietà del marchio di cui trattasi.

Il giudice nazionale, cui spetta valutare se sussista o no un motivo legittimo siffatto nella controversia sottoposta alla sua cognizione:

– non può, sulla base del semplice fatto che un inserzionista utilizza un marchio altrui con l’aggiunta di termini, come «usato» o «d’occasione», indicanti che i prodotti in questione costituiscono l’oggetto di una rivendita, concludere che l’annuncio suggerisca l’esistenza di un collegamento economico tra il rivenditore e il titolare del marchio o rechi un serio pregiudizio alla notorietà di tale marchio;

– è tenuto a constatare l’esistenza di un motivo legittimo siffatto, qualora il rivenditore, senza il consenso del titolare del marchio che egli utilizza nell’ambito della pubblicità per le proprie attività di rivendita, abbia rimosso la menzione di tale marchio figurante sui prodotti fabbricati e immessi in commercio dal titolare stesso e l’abbia sostituita con un’etichetta recante il proprio nome, in modo da occultare il marchio in questione, e

– è tenuto a dichiarare che non si può vietare ad un rivenditore specializzato nella vendita di prodotti d’occasione di un marchio altrui di utilizzare tale marchio per annunciare al pubblico attività di rivendita comprendenti, oltre alla vendita di prodotti d’occasione del marchio in questione, la vendita di altri prodotti d’occasione, a meno che la rivendita di questi altri prodotti non rischi, in ragione della sua ampiezza, delle sue modalità di presentazione o della sua scarsa qualità, di menomare gravemente l’immagine che il titolare è riuscito a creare intorno al proprio marchio.

Firme

Testo originale sul sito della Corte di giustizia

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