La neutralità del motore. Il caso Pirate Bay può frenare l’innovazione

di Andrea Monti – Nova IlSole24Ore del 23 aprile 2009
La sentenza (di primo grado) che ha condannato i gestori di The Pirate Bay per avere agevolato lo scambio non autorizzato di materiale protetto da diritto d’autore non fa che ribadire, in termini di principio, l’ovvio: chi è complice di un reato, deve essere punito.

Ma è nella sua applicazione pratica che diventa discutibile. Senza girarci attorno, il problema è chiaro: se è vero che The Pirate Bay è un semplice motore di ricerca, perché i suoi gestori sono responsabili dei contenuti che indicizza, e quelli di altri motori “tradizionali” no? La risposta più immediata potrebbe essere che The Pirate Bay è “ideologicamente contro” il diritto d’autore (e quindi ne promuove la violazione), mentre i motori tradizionali, oltre a essere neutri indicizzatori di contenuti, sono pronti a rimuovere non solo quelli illegali, ma anche quelli sgraditi, dietro semplice richiesta di chi si qualifica come “titolare” di un diritto leso. Ovviamente, non è così perché anche i motori diversi da The Pirate Bay consentono di reperire contenuti illeciti (se non altro, perché indirettamente rendono raggiungibili anche risorse torrent – non di per sè illegali, comunque) e dunque ricadrebbero pienamente nel teorema della condanna svedese.

Ma se anche la condanna basata sul presupposto ideologico che caratterizza The Pirate Bay fosse valida, allora il problema non sarebbe la tecnologia in se stessa, quanto piuttosto l’uso che se ne fa. E’ un dato di fatto che la nascita e lo sviluppo di una importante e utile innovazione tecnologica sono stati avversati da sostenitori di modelli economici palesemente obsoleti. Così come è un dato di fatto che costoro hanno alla fine cominciato a cambiare idea solo grazie all’atto di forza di chi ha usato, imperterrito, software P2P, nonostante il terrorismo mediatico, la militarizzazione dei cinema, l’adozione di sistemi anticopia che rendono un vero e proprio calvario la vita di chi vuole pagare per la fruizione di un’opera creativa (cioè, paradossalmente, dei soli utenti virtuosi) e, infine, il sostegno a normative draconiane e repressive. Tutto questo, invece di intuire le potenzialità nuove del mezzo tecnologico e di utilizzarle da subito per rinnovare il modello economico che fonda la creazione di valore tramite contenuti.

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