Liberare l’e-commerce con un disegno di legge

di Andrea Monti – PC Professionale n. 217 aprile 2009
Una “rivoluzione dolce” che renderà più semplice per le aziende stipulare contratti online, anche senza firma digitale

Il 12 marzo 2009, il sen. Enrico Musso (FI) ha presentato un disegno di legge (ddl) che promette di agevolare fortemente lo sviluppo dell’e-commerce B2B, affidando al processo di gestione dell’ordine di acquisto il compito di garantire le parti sui contenuti del contratto e rendendo così non necessario firmare, anche digitalmente, un modulo.

E’ evidente che, se venisse approvato, questo ddl semplificherebbe moltissimo l’attività degli operatori di e-commerce, aumentando le tutele per gli acquirenti nella stipulazione di contratti online.

Per capire come sia possibile compiere questa piccola rivoluzione giuridica, si deve considerare che la stragrande maggioranza degli acquisti di e-commerce riguarda beni e servizi per i quali non serve un contratto scritto. Tecnicamente, si chiamano contratti a “forma libera”, come quelli che concludiamo quando acquistiamo, per esempio, dei libri o andiamo al ristorante. Anche se la forma scritta non è obbligatoria, quando il contratto prevede delle condizioni generali con la presenza di clausole svantaggiose per la parte che acquista, l’art. 1341 del Codice civile impone che queste clausole siano approvate per iscritto e separatamente. Lo scopo di questa norma è garantire il contraente debole che firmando due volte è – o dovrebbe essere – messo a conoscenza di quello che sta facendo. In pratica, questa norma del Codice rende necessario stampare su carta il contratto per consentire al contraente di firmare le clausole in questione. Oppure, in alternativa, sarebbe necessario utilizzare la firma digitale, che nei fatti non è decollata come strumento di massa, ed è difficile che lo diventerà.

E’ evidente che questo modo di fare riduce di molto l’efficienza dei processi di acquisto online, che ad oggi sostituiscono la firma delle clausole in questione con la selezione di una check-box. Si tratta di una soluzione pragmatica, ma non conforme alla legge che richiede espressamente l’accettazione in forma scritta. Il risultato è che tantissime transazioni online sono – almeno parzialmente – viziate dal punto di vista legale. D’altra parte, il sistema della doppia firma offre una garanzia puramente formale sul fatto che l’acquirente abbia letto, compreso ed accettato le clausole a suo svantaggio. E’ un dato di esperienza comune, infatti, che difficilmente leggiamo un contratto quando ce lo troviamo davanti, per non parlare di quello che accade con l’accettazione delle licenze d’uso dei software.

La novità del ddl Musso – un vero e proprio uovo di Colombo – sta nel prendere atto di come funzionano i processi di e-commerce: una procedura di acquisto ben gestita (vedi, su tutte, quella di Amazon.com) è notevolmente più garantista per i diritti di entrambe le parti di una tonnellata di firme. Se il carrello online è ben progettato, infatti, è praticamente impossibile concludere l’acquisto per errore. E allora, perchè non applicare lo stesso principio anche all’approvazione delle clausole contrattuali? E proprio ragionando in questo modo che il ddl Musso prevede una semplice modifica all’art. 1341 del Codice civile, stabilendo che le clausole vessatorie hanno effetto se accettate anche “con modalità tecniche di manifestazione specifica del consenso diverse dalla forma scritta e o dalla sottoscrizione, che garantiscano i requisiti di cui al precedente comma”.

In altri termini, dunque, quando la stipulazione avviene con sistemi tradizionali, si utilizza il sistema della doppia firma. Quando, invece, il contratto è online, spetta all’operatore di e-commerce progettare la sua piattaforma in modo che il processo tecnico garantisca l’effettiva conoscibilità, da parte dell’acquirente, degli obblighi che sta assumendo. Dunque, se da un lato questa modifica normativa consente ai venditori di poter applicare clausole che nei contratti online non sarebbe (facilmente) possibile utilizzare, dall’altro anche l’acquirente è maggiormente tutelato perchè viene concretamente ed effettivamente messo in condizioni di manifestare in libertà il proprio consenso.

Inoltre, un effetto collaterale della proposta Musso è la riduzione delle frodi online: il venditore, infatti, sarebbe obbligato ad adottare un livello di trasparenza tale, da rendere molto difficile raggirare un cliente. Inoltre, il riferimento che il futuro nuovo articolo del Codice civile fa alle “modalità tecniche di manifestazione del consenso” è talmente ampio da non essere vincolato a questa o quella tecnologia – e non necessariamente all’utilizzo della Rete. Quello che conta, infatti, è solo il risultato: proteggere il contraente debole. Con quale strumento, invece, è del tutto irrilevante.

E’ evidente che, a differenza di quelle che fanno riferimento specifico a tecnologie e protocolli del momento – una norma così concepita è destinata a resistere all’evoluzione tecnologica, dando certezze agli operatori. Come detto in apertura, l’ambito di applicazione di questo disegno di legge è quello del B2B e non riguarda gli acquisti dei consumatori. Per questi ultimi, infatti, valgono le tutele del Codice del consumo che escludono assolutamente l’applicabilità di clausole svantaggiose. Ma questo non fa venir meno l’interesse per un’iniziativa che – una volta tanto – affronta in modo consapevole e corretto i problemi delle attività online e dimostra che sapendo in quali punti intervenire, non è necessario progettare architetture normative faraoniche per raggiungere un obiettivo.

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